Premetto che ho visto il film solo di recente, a causa di questa recensione QUI letta sulla copia cartacea della rivista (ma esattamente identica).
Inoltre ribadisco per l'ennesima volta che a me non piace il genere Horror. Bisogna anche capire che il mio apparente masochismo ha una ragione: cerco ossessivamente film marginali, usciti dai radar dei critici e attaccati in vario modo, al fine di confrontarli poi con quelli osannati dalla stessa critica.
Devo dire che Natali è un bersaglio preferenziale dei più accaniti e anche se i suoi film sono tutti di ottimo livello, alla fine la stroncatura è sempre più o meno netta. Intendiamoci, Natali non è un regista che produce cose "facili" da recensire, tanto meno da capire.
Di recente ho visto il suo "Nothing" e devo dire che ho trovato la pellicola difficile non meno delle altre, anche se non mi è piaciuta e non mi sento di metterla sullo stesso piano ad esempio di "Cypher", la pellicola meno citata e (guarda che stranezza) quella che ritengo il suoi capolavoro, migliore anche di "The Cube" con cui si è fatto conoscere al grande pubblico. Natali non è un regista che si può confrontare troppo con altri, perchè esplora con la macchina temi apparentemente banali e spesso percorsi da altri, costruendo però prospettive sottili che ribalta continuamente, sottili in quando lasciano lo spettatore davanti a una continuità narrativa senza stacchi che non permette di "notare" il ribaltamento di prospettive anche evidente, senza la chiave di lettura sottostante. Se la telecamera segue il protagonista non vedremo mai stacchi da lui e non ci accorgeremo quindi del cambio radicale di prospettiva a meno che non teniamo insieme i contesti con una chiave (appunto) "magica" che però è nascosta nelle pieghe della narrazione, non è mai esplicitata. In "The Cube" il cambio di prospettiva è più evidente alla fine, quando l'unico che sopravvive è il disabile (sfido chiunque a dirmi che ha "capito" subito perchè è quello che si salva) l'unico che era incapace di fuggire senza aiuto, la cui sopravvivenza appare evidente solo se si chiarisce che il primo che muore (all'inizio del film) è proprio il più abile (il ladro): il disabile apparentemente sopravvive perché viene protetto dal contesto (gli altri intrappolati nel cubo come lui) ma è anche quello che sarebbe comunque sopravvissuto fin dal principio, perchè senza "gli altri" avrebbe fatto la cosa giusta, cioè nulla: sarebbe rimasto fermo ad aspettare che l'uscita si aprisse. Quindi il ribaltamento sta nel fatto che il contesto determina i significati e quindi (in questo caso) cos'è "abilità" è cos'è "disabilità" e Natali porta il tema alla sua esasperazione massima. Con questa chiave si capisce che il ribaltamento di "The Cube" è più generale e posto su più strati interpretativi: il film esplora il rapporto tra abilità e disabilità in tutte le sfaccettature, sia innate che indotte da fatica e stress particolarmente elevati. In questo senso le scene splanttern non sono fine a se stesse e "coreografiche" come nei film di Dario Argento, ma funzionali all'esplorazione del tema in oggetto. In "Nothing", forse il film meno riuscito del regista, Natali cerca di esplorare il rapporto tra l'esercizio del potere e l'individuo: potere sociale, potere personale, potere sugli oggetti. Ma lo fa prendendosi la libertà di sfottere lo spettatore (forse un po stanco della critica "miope" che lo bersaglia instancabile) come volesse dire "persino se ti sbatto in faccia la complessità narrativa nuda rendendo tutto il resto 'cretino' e 'vuoto', non riuscirai altro che leggere la tua confusione". In effetti i film di Natali dovrebbero mettere il panico a qualsiasi recensore intelligente, ma per fortuna la massa di persone che si occupa di recensire non ha un pubblico migliore e quindi i recensori possono dormire tranquilli che tanto non rischiano quello sputtanamento a cui (senza saperlo) si espongono.
Il caso di "Haunter" credo sia l'apice di questo discorso. Ma partiamo dalla critica di una rivista specializzata come "Nocturno". Tra i film che vengono paragonati, "The Sixth Sense" di Shyamalan l'avevo visto più volte e anche se non ricordavo "Ricomincio da capo" di Ramis, non mi mancano gli esempi dei film basati su loop temporali. Mi mancava però "The Others" di Alejandro Amenábar che il recensore senza tanti peli sulla lingua giudica diversamente dal film di Natali. Gioco forza era quindi andarmi a vedere anche questa pellicola, spacciata come "ghost movie" migliore. In effetti "The Others" pare si muova sullo stesso filone, cioè mostrare il mondo dei morti dal punto di vista dei fantasmi, ma a mio avviso c'è un solo modo per definire quella pellicola: "imbarazzante" e unicamente per "correttezza politichese". Fuori dai denti è una merda colossale: recite al limite dell'incazzatura, battute scontate è gratuitamente stupide (i bambini che devono studiare è una perla memorabile) scene "a casaccio" scollate dalla continuità narrativa, scenografie così scontate da rasentare la barzelletta della settimana enigmistica, inquadrature fisse che stanno bene in un videogame, luci e fotografia poverissime e realizzate con tante scuse (come la fotosensibilità dei bambini o l'ossessione per le porte chiuse). Non è tanto la Kidman qui a farci brutta figura, è il film che la fa brillare del peggio che riesce a dare e parla uno che non ha per niente in simpatia l'attrice! Se fossi il lei avrei appeso a una corda il regista per "manifesta inettitudine". "The Others" si sicuro è la punta di diamante dei film scontati sul genere "ghost movie" e di qui non ci piove, ma per confrontarlo ad "Haunter" bisogna proprio averlo visto "per sbaglio" e sotto l'effetto di qualche pesante allucinogeno.
Lo schema narrativo dei due film appare simile eppure non potrebbero essere più distanti uno dall'altro per stile e qualità narrativa, tanto raffazzonata è la prima, tanto lineare è la seconda. Tanto per cominciare "Haunter" tratta il tema del loop e il "ghost movie" non diversamente da come trattava lo splattern in "The Cube", cioè come scusa per esplorare tutt'altro. Ogni elemento serve come tutti i film di Natali a costruire un ribaltamento di prospettiva senza però mai perdere il filo narrativo principale. Devo ammettere però che in questo caso è molto più machiavellico trovare la chiave: ci ho dovuto riflettere parecchio per arrivarci. Un indizio è il teschio nell'occhio che ci ricorda il "memento mori", ma in verità il film non inizia con quello, ma inizia con una scena che non viene più ripresa ma che ci verrà "ricordata" spesso indirettamente: quella dei vasetti da conserva con dentro "spettri" umani, ordinati e riposti su scaffali in legno. L'indizio alla fine è nascosto, la protagonista sta per uscire dalla casa in uno spazio di luce, ma il particolare importante è che non esce (e non prende con se la bicicletta) e così ci chiarisce la chiave: il rapporto tra contenuto e contenitore. Quindi la casa "contenitore", oggetti "contenitore", i corpi, il tempo, celle e così via. Il ribaltamento di prospettiva quindi riguarda il significato del contenitore nel contesto: quando lei si sveglia al mattino sul comodino ha sempre il walkie talkie che contiene "solo" la voce del fratello, quando diventa Olivia ha la prospettiva del suo contesto, quando Edgar la chiude nell'automobile ha la prospettiva delle prima vittima, quando le vittime iniziano a "svegliarsi" perchè prendono coscienza dei contenitori e quindi dei significati sottesi (il fratellino gli occhiali), Lisa assume la prospettiva dei vincoli che legano le vittime alla casa, quando torna nella casa dopo aver liberato i genitori dai loro vincoli assume la prospettiva di Edgar e via così.
"Haunter" è una sequenza di luoghi comuni, ma non nel senso che replica a pappagallo cliché fotocopiati da altre pellicole, nel senso che costruisce contesti ordinari con cui sperimentare la chiave, il contenitore. La faccenda diventa evidente ad esempio quando la videocamera inizia una carrellata da sinistra verso destra di scene che servono apparentemente solo per sottolineare i loop temporale, come fosse un album fotografico di eventi contenuti in situazioni separate. Ma riguardando l'intero film si scopre che tutte le scene si riferiscono a un contenitore specifico di una "matriosca" con un particolare contenuto (sia simbolico che legato alla trama) e che per ognuno la protagonista cambia prospettiva quando ne viene a contatto. Come nella cantina quando "prigioniera" entra in contatto con l'anello della prima vittima, Frances Nichols e questo in automatico apre la via d'uscita dal luogo dove si trova per farla arrivare dove Frances è morta per incontrarla: nel garage.
In conclusione, se si cerca in "Haunter" un film Horror o splattern o in Natali una lettura facile e che "fa tenerezza", il rischio (non del tutto scongiurato da un pubblico comunque poco attento) è di fare una magra figura.
Peggio però è banalizzarlo per renderlo quello che non è, cioè un tentativo riuscito male di fare paura tramite scene ritrite e di mettere al centro la "buona famigliola americana". La sottigliezza di Natali infatti è che nei suoi film, sistematicamente, non ne esce mai nessuno troppo bene: ricordate chi si salva alla fine in "The Cube"?
Qui si salvano tutti apparentemente, ma come sempre Natali non fai niente di banale perchè sia banale: "Haunter" si potrebbe tradurre oltre che "fantasma" come "qualcuno che ci ossessiona", un frequentatore assiduo, un inseguitore. Apparentemente stiamo parlando di Edgar, ma in realtà con la chiave capiamo meglio che si tratta dell'idea o significato "contenitore", qualcosa di cui non possiamo liberarci senza che tutto svanisca in niente. Epperò proprio il contenitore diventa così la sorgente del dramma umano ... se vi sembra banale questo, vi consiglio di rifletterci bene.