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Lo sputo


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Il caso. Se Kassovitz girasse “L’odio 2.0″ il protagonista Saïd voterebbe Marine Le Pen

“Il pene di Le Pen si issa appen appen“.

Così Saïd, insieme a Vinz (Vincent Cassel, che ieri ha compiuto cinquant’anni) e a Hubert, in cima a un palazzo che fissa la Torre Eiffel, sputa in faccia al destino – e a un gruppo di militanti del Front National – ne L’Odio (La Haine), capolavoro cinematografico di Mathieu Kassovitz che da poco ha spento venti candeline.

La pellicola è uno spietato squarcio della realtà delle banlieue, delle guerriglie sociali dei Novanta, del malessere della periferia, della lacerante consapevolezza di essere condannati alla sconfitta. Già, il film è un ritratto in bianco e nero, intriso di disincanto e disagio, della vita di tre vittime coscienti (così vicine eppure così lontane dai ragazzi di vita di pasoliniana memoria), impotenti spettatori delle contraddizioni della modernità e anime vaganti in una Parigi in caduta libera e vuota, a loro aliena eppure intimamente intrecciata, pronta a promettere cambiamenti ancora più inquietanti. Sarà esattamente così.

Ma dal 1995 anche qualcos’altro è cambiato. E se Kassovitz girasse L’Odio 2.0, Saïd forse sarebbe tra i militanti del FN, o comunque li saluterebbe a gran voce dalla terrazza, probabilmente tra lo stupore dei suoi due sodali. A questo punto Saïd inizierebbe a spiegare loro che la Le Pen ha parlato anche di “fratelli musulmani”, che l’immigrazione selvaggia negli ultimi due decenni ha sconquassato il paese, facendo saltare ogni tappo sociale. Ma soprattutto che in vent’anni il Front National è riuscito a diventare vox populi. Dietro la ‘dédiabolisation’ – processo che continua inarrestabile: proprio negli scorsi giorni Jean Marie Le Pen sembra essere stato definitivamente estromesso dal partito – c’è una rifondazione assoluta, una svolta identitaria che mette tutti di fronte all’evidenza, ai nemici comuni e concreti, a un’azione e riflessione trasversali ispirate alla metapolitica di eco gramsciana. Ecco il cenacolo Les Horaces (sotto l’esperta regia dell’economista Messhia e la costante influenza dei due ex enarchi Philippot e Martel), l’associazione giovanile patriottica “Jean Moulin”.

Sempre più blocchi – da sempre avversi al FN chiuso e gretto – confluiscono nel modello lepenista, contribuiscono alla sua realizzazione senza che si snaturi. È la destra storicamente gollista, il patriottismo in senso lato, deluso e ora infatuato, ad aderire, a convertirsi e a contribuire alla crescita del partito, a nutrirlo. Non lo combatte più.

Insomma, il Front National ora non solo è anima di tutto il popolo, ma anche finalmente contenitore intellettuale, vessillo dei volti da tv, di intellettuali, scrittori, economisti. Un laboratorio in divenire (ciò che all’Italia manca). Sempre tenendo fermi, anzi rafforzando, i temi cardine: l’alternativa al degrado – proprio quello de L’odio -, la strenua opposizione alla globalizzazione, il sovranismo, il mostro euro e l’Europa dei popoli, il lavoro, le istanze sociali, violentate a sinistra, ora raccolte in frantumi da Marine&Marion, simboli di un modello nuovo, senza categorie, rivoluzionario, aperto, vasto e coerente. L’ennesima dimostrazione? La inaspettata rosa blu (“simbolo di femminilità e di ottimismo. Alcuni vedranno nella rosa il simbolo della sinistra e nel blu il colore della destra. Questa visione delle cose non mi dispiace, perché quello che io cerco è il luogo d’incontro di tutti i francesi, al di là degli sterili e superati steccati”) accompagnata dallo slogan “In nome del popolo” (“è una linea di condotta, una professione di fede. Non sono Le multinazionali o i media a decidere per il popolo, ma il popolo stesso”) per la campagna elettorale del 2017. E probabilmente Fillon (ennesimo golem richiamato dalla tomba a cui è stato ordinato di fare l’anti-lepenista con proposte lepeniste) rimarrà eterno secondo, come è accaduto in tutta la sua carriera.

L’impressione è che la frattura contrapponga sempre più il popolo e il Front National, contro il resto. Contro il degrado. E sempre più persone, più fasce, decidono di saltare dall’altra parte, prima che sia troppo tardi. Saïd l’ha fatto. Forse non scriverebbe più, sul cartellone stradale, “Le Monde est à Nous”, ma “Le Monde est a Nous, le Front National”.

“Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene.” Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio”.

Una chicca: il primo ministro di allora che organizzò una proiezione speciale del film chiedendo ai membri del suo dipartimento di partecipare. Gli agenti di polizia presenti voltarono le spalle alla proiezione in segno di protesta contro il ritratto della brutalità della polizia rappresentato dal film. Chi era il primo ministro? Alain Juppé, oggi candidato (ancora) alle primarie del centrodestra francese. I fantasmi del passato sbagliavano già allora.

Di Francesco Petrocelli

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