Contemplazione: la parola contemplazione trae l’odierno significato metafisico da un antico senso divinatorio e magico. (…) Templum, infatti, contrazione di tempulum, diminutivo di tempus, indicava, secondo Varrone, una porzione separata e specialmente lo spazio che l’augure segnava nei cieli colla sua bacchetta al fine di circoscrivere un dato limite dentro il quale faceva le sue osservazioni sul volo degli uccelli, ed anche significò una porzione di campo consacrato dall’augure e destinato a fini religiosi. Da questo primitivo significato etrusco-romano è passato all’odierno in modo affatto simile alle parole desiderare, considerare, passate dal senso astrologico a quello sentimentale e razionale. (…) Per poter contemplare è necessario non farsi dominare dai sensi, perché chi ne è schiavo od anche è semplicemente incapace di astrarre da essi, non può assorbirsi nella contemplazione. Questa libertà va conquistata rimanendo nei sensi e non fuggendone; accettandoli e non combattendoli; adoperandoli e non rinnegandoli. (Arturo Reghini, Dizionario Filologico, Ignis)
«E noi? Chi siamo noi?» chiede Plotino al lettore delle sulle Enneadi. Perché è questa, ancora e sempre, la domanda fondamentale da cui tutto dipende e la cui risposta impegna la vita intera. In verità - egli aggiunge - «noi siamo molte cose», ed è per tale ragione che abbiamo bisogno di conoscerci. Ciò che è assolutamente semplice e uno non ha alcuna necessità di assolvere alla richiesta del motto delfico “conosci te stesso”. Ciò che è semplice sa di sé in modo immediato, con un’evidenza e una trasparenza che sono assolute. Non ha bisogno di muoversi e di ricercare, non ha bisogno di percorrere i confini della propria natura per potersi vedere né tanto meno di mettersi a distanza per osservare ciò che, da troppo vicino, non si lascia scorgere. È sempre presente a sé e in sé. Il motto «conosci te stesso» riguarda unicamente chi è o diviene sé stesso: «Il precetto si rivolge a coloro che, a causa della propria molteplicità, devono enumerare le proprie componenti e rendersi conto di non sapere del tutto, o di non sapere proprio di quante e quali parti li compongano, quale sia la parte dominante o in che cosa consista il proprio sé». La «molteplicità», ma, ancora prima, è il termine che indica la «folla»: la «massa» imponente, che si aduna in un luogo, senza che si riesca a distinguere in essa il profilo dei singoli. Allo stesso modo, noi siamo complicati e molteplici ed è per tale ragione che non possiamo sottrarci all’imperativo della conoscenza. Noi siamo una massa indistinta e irrequieta, oscillante fra umori e opinioni diverse, fintanto che non cominciamo a «enumerare», distinguendo e separando a uno a uno ogni elemento, fintanto che non scopriamo che cosa davvero ci fa essere «noi stessi».
(…)
(continua)
Fonte: https://associazioneignis.blogspot.com/