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IL DEMONE E L’OSTE «Hic manebimus optime»


mystes
Noble Member
Registrato: 3 anni fa
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Avevo fatto i conti senza il mio demone, e il demone mi aspettava sornione al varco.

Non avrei mai immaginato che avrebbe affrontato qualunque intemperia pur di adempiere al suo compito. Successivamente avrei appreso ad aver a che fare con un demone ardimentoso che non si sarebbe fermato di fronte a nulla.

Secondo la demonologia di Giamblico, che di queste cose se ne intendeva, esistono diverse nature di demoni, le quali si burlavano in generale molto dei pitagorici. Come è risaputo i pitagorici si intendono soprattutto di numeri e prediligono il numero impari che attribuiscono alla virilità, alla solarità in definitiva alla luce, mentre non avevano confidenza col numero pari in disaccordo con l’Unità.

Un grande esperto di numeri fu Arturo Reghini il quale conferma e ribadisce questa tradizione scrivendo nel Prologo “Dei Numeri Pitagorici” quanto segue: “il 6 è il solo che è prodotto di due fattori soli e di specie diversa e differenti di uno, ossia è il solo numero naturale entro la decade. Per questa ragione il numero 6 è il simbolo della generazione ed è sacro ad Afrodite. Esso è il prodotto della diade e della triade, è il primo prodotto di due fattori eterogenei, uno pari, e l’altro dispari, ossia uno femminile e l’altro maschile. Per questa ragione gli viene spesso applicato l’epiteto di genos. … il sei è identificato con Afrodite, non soltanto da Nicomaco ma corrisponde ad Afrodite anche secondo Lido, Moderato… pitagoricamente il numero di Afrodite è il sei..."

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Premesso tutto ciò metto un punto fermo allo “scherzetto aritmetico” recitato finora e passo ad occuparmi del demone e dell’oste, il primo molto attivo nell’uomo anche se invisibile, il secondo attivo per l’uomo e visibile giorno per giorno. Perché ho citato il numero sei, femmineo, obliquo ed ingannatore? Di natura seduttore? Perché il demone si diletta e si nutre della propria natura ed è così che fa dell’uomo il suo balocco, si prende gioco di tutti, e mi ha ingannato sempre quando avrei avuto bisogno di più lucidità e ragione.

Ma ho scoperto il modo di difendermi sia dal demone, sia dalle insidie del numero 6, e con l’aiuto della filosofia ho perfezionato il mio strumento di difesa.

Per prima cosa è assolutamente necessario non dare al demone opportunità di seduzione. Ogni occasione per lui è buona, in particolare tutte le volte che cadiamo in errore e ci comportiamo contro natura. Il demone con l’errore ci va a nozze, è il suo pane quotidiano. Non solo ci sguazza dentro, ma ti fa l’occhiolino e te lo presenta come la cosa più facile più normale e più bella del mondo.

Il punto più importante in questa diatriba demonologica è che al di sopra del demone agisce l’intelligenza, la quale è una ipostasi capace di dare ordini a tutti i suoi subordinati, inclusi i più recalcitranti e ribelli.

Nei piani alti della filosofia si sostiene che l’anima è immortale, ma nessuno dei filosofi ha fornito prove convincenti. Pitagora, ancor prima di tutti loro, aveva affrontato l’angoscioso problema liquidandolo in un distico nei celebri “Versi d’Oro”:

   “Così, se, il corpo lasciando, nell’etere libero andrai,

Spirito Nume immortale, non più vulnerabil sarai”.

Sicché secondo Pitagora, all’atto della morte quel che dobbiamo fare è separarci da un corpo destinato alla putrefazione, onde permettere all’anima di prendere il volo e farsi immortale.

Plotino è stato più prolifico ed ha dedicato all’immortalità dell’anima buona parte della Quarta Enneade: a pensarci bene non è molto, rispetto al numero delle Enneadi e ai numerosi argomenti trattati da Plotino.

I grandi filosofi si occuparono maggiormente della salute, sicché è lecito supporre che a lor signori interessava di più il “viver bene e sano” che il sapere ciò che non era possibile sapere.

Impossibile per la semplice ragione, come ricorda Reghini in un suo scritto, che nessun à tornato dall’Ade per raccontarci cosa potrebbe succedere al momento della separazione definitiva dell’anima dal corpo, per cui qualunque cosa si dica o si scriva sull’argomento è frutto di mera fantasia o di abile speculazione metafisica.

Anticamente, prima ancora della nascita dell’Accademia di Platone, la morte e l’aldilà furono oggetto di miti ed Omero, considerato il padre fondatore della mitologia, nei suoi poemi ne aveva raccontati alcuni. Altrettanto, prima di Omero, aveva fatto Esiodo.

Tutti i filosofi che vennero dopo Omero ed Esiodo, si ispirarono principalmente alla mitologia, per esprimere le loro teorie sulla morte e sull’immortalità dell’anima.

Scrivendo ciò, mi guarderei bene dal negare le possibilità raccontate dai Poeti e considero tutte le ipotesi e le tesi avanzate dai grandi filosofi ammissibili e interessanti, per la semplice ragione, come dice la maggior parte di loro, che è difficile accettare, soprattutto per uomini che durante la vita hanno prodotto opere di scienza e di culture diverse, l’idea che si separino da questo mondo, come semplici ospiti fatti di sola carne e sangue. C’è un semplice dettaglio, che dettaglio non è, l’individuo appartiene al genere umano e l’intelligenza umana non è appannaggio esclusivo di una sola individualità.

È diffusa a vari gradi in tutto il genere umano e il fatto che l’estinzione di un uomo non comporti l’estinzione dell’intelligenza, fa molto pensare. Ma se per ipotesi, il genere umano scomparisse tutto in un istante, che fine farebbe l’intelligenza? Io credo che i grandi filosofi si imbatterono in questo grande mistero che li costrinse a pensare e a produrre le geniali opere giunte sino a noi.

A questo punto il demone tacque e si mise da parte, sapendo bene che avrebbe potuto farsi gioco della sensibilità dell’uomo, ma non della sua intelligenza. (r s)  

 

 


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