Età del ferro – Pietro da Cortona.
Sala della Stufa, Firenze 1641
Il recente articolo pubblicato su CdC: https://comedonchisciotte.org/gran-bretagna-uomo-trans-incinto-finisce-in-copertina/
mi dà l’opportunità per esprimermi in maniera più circostanziata e diretta su quel che sta succedendo nella nostra società. Non mi riferisco agli antichi mali che da sempre affliggono l’Italia ma ad alcuni fenomeni che si distaccano dai codificati parametri di illeciti e perversioni a tutti noti, specialmente nella sfera della sessualità e della moralità dell’uomo.
A parziale ma non giustificata comprensione c’è da dire che tanti eccessi sono la naturale reazione specialmente italiana alla repressione dei costumi operata per molti secoli dal cristianesimo, specialmente contro la donna, e contro le naturali leggi dell’amore e i naturali istinti dell’attrazione fisica, per cui quella che doveva essere la religione dell’amore e della carità, si è trasformata nella religione della repressione e dell’intolleranza. Tutto ciò ha pesato e tuttora pesa sul cambiamento (in peggio!) delle regole di vita, sul modo di pensare, o come io credo, sul decadimento dei costumi.
Una cosa però è certa: l’etica e la sensibilità del genere umano, quello maschile come quello femminile, sono le manifestazioni della natura, e sono questi che registrano i maggiori attacchi, dal che si giunge alla semplice constatazione che qualcosa di maligno e di velenoso è all’opera, come un cancro, per distruggere non più una classe sociale o una ideologia, o un governo, ma l’intero genere umano o una buona parte d’esso. Questo tarlo, infine, nel mondo moderno ha i suoi apostoli, configurabili nelle varie ideologie di morte, nel modo in cui si sono espressi e si esprimono tuttora nei due settori più sensibili della società: la politica e la salute. Mi limito a questi due, senza tirare in ballo la religione, sulla quale il discorso è sicuramente più lungo e delicato.
Tutto ciò si riassume in quella visione mitica che Esiodo ripartì e riassunse nelle età del mondo. Nell’età del ferro, che per Esiodo coincide con il presente, classificare e giudicare le azioni degli uomini diventa molto difficile: in esse si mescolano, a un tempo, giustizia e ingiustizia, armonia e discordia. Gli uomini hanno il compito, - aggiunge Esiodo in forma poetica - siano essi agricoltori guerrieri o sacerdoti, di realizzare il trionfo di Dìke (Giustizia) all’interno di ogni ambito sociale. È una speranza per Esiodo, per noi è il simbolo di un fallimento.
Infatti, guarda caso, in questa ultima e finale età della terra, a mancare è soprattutto la giustizia, la stessa idea di giustizia, soffocata dall’arbitrio, dal crimine, dalla corruzione, dall’egoismo, dalla droga, dal sesso (di questi ultimi si serve la politica per plagiare la coscienza dei giovani).( https://brasil.elpais.com/internacional/2020-03-26/eua-acusam-maduro-de-narcotrafico-e-oferecem-15-milhoes-de-dolares-por-informacoes-que-levem-a-detencao.html )
Inoltre, la quinta età, quella del ferro, è l’età a cui Esiodo ha dato maggiore attenzione ed è caratterizzata dalla ‘hybris’ e dall’angustia.
Leggiamo nella Teogonia:
‘Ora infatti è la stirpe di ferro né mai di giorno
né di notte smetteranno da fatica e dolore
di venire consumati; e gli dei infliggeranno loro dure angustie.’
(w. 176-178)
E prosegue profeticamente con qualche espressione enigmatica:
‘Zeus distruggerà anche questa stirpe di uomini mortali,
nel momento in cui alla nascita appariranno canuti sulle tempie;
né il padre avrà più lo stesso sentire dei figli né i figli del padre,
né l’ospite all’ospite o l’amico all’amico,
né il fratello al fratello sarà caro come prima;
disprezzeranno i genitori non appena questi invecchiati,
se ne lamenteranno usando dure parole,
sventurati, neppure consapevoli dello sguardo degli dei; né essi
ai genitori vegliardi vorranno dare, a loro volta, cibo.’
(w. 180-188)
E poco più avanti:
‘Nessun favore si accorderà a chi è fedele alla parola data né al giusto
né al virtuoso: di preferenza l’autore di misfatti e la tracotanza
fatta uomo apprezzeranno; la giustizia sarà nelle mani e il pudore
non esisterà; il malvagio nuocerà all’uomo nobile
ricorrendo a parole tortuose e per di più giurerà;
la competitività invidiosa tutti quanti i poveri umani,
col suo sguardo sinistro, accompagnerà, chiassosa e compiaciuta del male’
(w. 190-6).
L’uso del futuro, in tono oracolare, per annunciare la decadenza e il trionfo del male, che prelude, probabilmente alla sparizione della quinta stirpe, fa capire che, seppure il processo sia in atto, è però proiettato in un tempo a venire, o almeno sono proiettati in un tempo a venire i segni di una più marcata e irrimediabile decadenza, cui farà seguito la fuga di Aidos (un personaggio della mitologia greca che corrisponde alla divinità della vergogna, della modestia, del rispetto e dell’umiltà) e Nemesi dal mondo (Nemesi, nella mitologia, provvedeva soprattutto a metter giustizia ai delitti irrisolti o impuniti). Senza queste divinità, che sono personificazioni di precise condizioni psichiche e umane, non ci saranno più, dice il veggente Esiodo, le condizioni dell’armonia e dell’ordine (cioè di Dike, la dea della giustizia) e prevarrà il male. Inversamente, senza Dike non può esserci pudore o rispetto e non c’è la reazione al male che si trasforma in giusta punizione del malfattore.
Mancanza di pudore e di decenza come persecuzione contro i giusti e gli onesti per favorire i criminali e i corrotti è una caratteristica del tempo che viviamo e ne abbiamo visti esempi, anche eclatanti, nel nostro Paese.
Stupisce ed addolora che il regno di Jupiter, (latendum in latium) che trionfò infine sull’informe, sul mostruoso e, noi diremmo, sull’irrazionale, si trovi a registrare la progressiva e forse irrimediabile decadenza del genere umano, e che il poeta Esiodo racconta bene con dettagliate intuizioni, con illuminazione nonché coerenza nella Teogonia di cui sto parlando.
È un’antica convinzione, quella secondo cui il mondo conosce cicli, morti e rinascite epocali; in ogni modo, le cinque stirpi non vanno intese tanto come fasi che si succedono cronologicamente, per quanto Esiodo sembri suggerirlo in vario modo, quanto come esempi fuori del tempo a somiglianza del mito teogonico. Dunque, non deve stupire il fatto che sotto il regno di Zeus (età dell’oro) ci siano crisi e involuzioni, per quanto questa affermazione sia temperata dalle sagge parole secondo cui anche per quelli dell’età del ferro ´si troveranno beni mescolati ai mali’.
Emerge, com’è nella natura stessa fortemente personale ed esortativa del poema, la funzione del poeta, amato dalle Muse, che conosce, sia pure oscuramente, la mente di Zeus che è al fondo però imperscrutabile, e quindi indica la strada all’umanità, quella del meglio ovvero della virtù, cioè della responsabilità, delle scelte consapevoli, in un’epoca in cui si è spenta la stirpe gloriosa degli eroi.
Il punto di partenza della storia umana è l’età dell’oro, cioè quell’epoca quando «comuni erano le mense, comuni le adunanze per gli dèi immortali e per gli uomini mortali: un’epoca distinta da tutte le altre generazioni, per la mancanza assoluta di fatiche, di affanni e di miseria per gli uomini che vivevano al pari degli dèi, e passavano la vita con l'animo sgombro da angosce, fuori dalle fatiche e dalla miseria; né la triste vecchiaia incombeva su loro, ma sempre con lo stesso vigore nei piedi e nelle mani godevano nelle feste, lontani da tutti i malanni».
La causa della scomparsa di questa vita serena e felice, e dell'avvento di un'età considerata di gran lunga inferiore alla prima, è insita nella natura umana, ed è affiorata spontaneamente nella seconda età - quella d’argento -, quando gli uomini crescevano felici e beati per cento anni nella loro innocenza, però dopo, «poco tempo essi vivevano, con angosce nell'animo, a causa della loro stoltezza, dacché non riuscivano a tenersi lontani dalla tracotante violenza nei loro rapporti, cessarono di venerare gli dei immortali che è pio dovere degli uomini, secondo le tradizioni locali».
La stirpe mortale è stata stolta, dacché non ha saputo approfittare della sua condizione beata; e la sua cattiva volontà l’ha portata ad azioni di forza nei rapporti umani, al disprezzo del culto degli dei, che è in realtà la prima espressione della comunità umana. Violenza e disprezzo hanno determinato la scomparsa della beatitudine umana; gli uomini sono caduti sempre più in basso. La terza generazione, che Esiodo chiama «quella del bronzo», esprime in maniera diversa dalla seconda le medesime doti di violenza e di empietà, e giunge alla stessa fine: «sopraffatti dalle loro stesse mani – dice Esiodo - se ne andarono alla squallida dimora del terribile Ade, ingloriosi, ché la nera morte li rapi, quantunque terribili, ed essi abbandonarono la luce splendente del sole».
Con la quarta generazione si entra nel campo della storia, la stirpe «più giusta e più buona, la stirpe divina degli uomini eroi, che vengono chiamati semidei, la stirpe che ha preceduto la nostra”.
Alla generazione che segue, spetta il nome di «età del ferro» ; gli uomini vivono nella miseria e negli affanni; pochi sono i beni, che essi possono godere, e molte le angosce; ma quando Zeus deciderà di fare scomparire anche questa età ferrea, ciò che avverrà nel mondo sarà immensamente peggiore: gli uomini nasceranno già vecchi « con le tempie canute »; i figli non saranno simili al padre; non vi sarà più rispetto per i genitori, non più fedeltà al giuramento né piú differenza di funzioni e di sesso. L'umanità avrà così compiuto l'intera parabola della sua degradazione, cominciata con il disprezzo della divinità e delle sue leggi, e terminata con il disprezzo del prossimo e delle norme del viver comune.
Esiodo conclude infine con la dea Giustizia che trionfa sempre col tempo, e con la visione di due città: la città della giustizia e quella dell'ingiustizia. Ai due quadri segue la necessaria, logica conclusione di tutto il discorso esiodeo: un invito ai sovrani, ai giudici, perché seguano sempre la giustizia, con la mente rivolta agli dei, i quali vogliono sulla terra le opere giuste: «Tre decine di migliaia sono infatti sulla terra gli immortali, occulti custodi da parte di Zeus degli uomini mortali. Essi stanno a guardia della giustizia e delle opere scellerate, vestiti di tenebra, aggirandosi per ogni luogo della terra».
Ma più significativi ancora sono gli ultimi tre versi, che concludono tutto il poema di Esiodo: «Felice e fortunato chi tutte queste cose conoscendo lavora senza colpa di fronte agli immortali, osservando i presagi ed evitando gli errori». Qui è condensata tutta la saggezza, espressa attraverso i miti, i moniti, i precetti etici, religiosi, pratici, del Poema sulle Cinque età del mondo: felice e fortunato deve considerarsi chi lavora con giustizia; nel rispetto della giustizia e rendendo onore agli dèi.
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