A Destra di Porto Alegre. Perchè l'avanguardia è più no-global della sinistra
Sono contro l'impero capitalista guidato dagli Stati Uniti. Rivendicano la riscoperta della dimensione comunitaria contro il globalismo. Tra i loro referenti teorici ci sono intellettuali libertari come Noam Chomsky o miti della cultura di sinistra comunista come Che Guevara e Mao. Ma il loro cuore batte per le SS. E la loro cultura si fonda su scrittori come Leon Degrelle, Pierre Drieu La Rochelle o Julius Evola. Il loro intellettuale di spicco è Alain de Benoist. Combattono il globalismo delle multinazionali yankee. Ripropongono una società gerarchica non fondata sul denaro ma sull'ordine naturale: aristocratico e feudale. Quindi contro i "signori del denaro": gli ebrei. Sono i no global della destra radicale. Li analizza Marco Fraquelli, studioso della cultura di destra e autore di Il filosofo proibito. Tradizione e reazione nell'opera di Julius Evola (1994)
Marco Fraquelli
A destra di Porto Alegre
Perché la Destra è più noglobal della Sinistra
Prefazione di Giorgio Galli
A oltre dieci anni dalla pubblicazione del suo fortunato saggio su Julius Evola, definito da Franco Cardini “il più interessante e più serio contributo alla conoscenza del filosofo siciliano”, Marco Fraquelli torna a cimentarsi con un tema a lui caro (ancorché antiteticamente opposto alla sua formazione culturale e politica), quello della cultura di Destra. E lo fa occupandosi di un tema originale e, come sottolinea nella prefazione il politologo Giorgio Galli, del tutto inesplorato, come quello della opposizione della Destra alla globalizzazione. Si scopre così che, mentre altri filoni di pensiero sembrano aver avviato la loro riflessione sul fenomeno della globalizzazione solo a partire dagli anni Novanta del secolo scorso (con l’affacciarsi sulla scena mondiale dei movimenti di protesta antiglobale, prima di tutti i Social Forum di Seattle e Porto Alegre), molti pensatori ascrivibili all’ambito della Destra hanno invece affrontato – e denunciato – il tema addirittura da oltre un secolo, come sembra dimostrare la vicenda dei Protocolli dei Savi di Sion, che l’autore rilegge appunto in chiave “global”. Da lì parte l’analisi di Marco Fraquelli, per giungere ai fenomeni più vicini a noi, come la Nouvelle Droite di Alain de Benoist e Guillaume Faye, il Neopopulismo di Destra di Le Pen e Umberto Bossi, passando per la Destra radicale, i Communitarians e i pensatori anticonformisti alla Franco Cardini o Massimo Fini.
Noglobal? Destra Radicale!
Secondo la vulgata corrente i no global sarebbero i figli degli hippie, del ’68, degli indiani metropolitani. Ma sarà proprio così? O, piuttosto, le loro idee andrebbero ricercate nei meandri della destra estrema? In realtà molte tematiche anti-mondialiste oggi sbandierate dai pacifisti erano già patrimonio comune dei variegati fascismi europei degli anni ’30. Guru come Julius Evola, Oswald Spengler ed Ernst Jünger, nei loro tomi sul tramonto dell’Occidente e l’avvento dell’uomo nuovo in camicia nera, anticipavano molti temi della sinistra antagonista di oggi. E non solo. Gli “impresentabili” a destra di An, come Roberto Fiore e Adriano Tilgher di Alternativa sociale, sono i figli diretti di questa cultura. Sarebbe proprio il caso di dire: sono loro i veri no global. A scavare nelle origini del mondo antagonista ci ha pensato Marco Fraquelli con “A destra di Porto Alegre” (Rubbettino editore). Leggendo questo saggio scopriamo che i Protocolli dei Savi Anziani di Sion vanno considerati il primo testo no global della storia. Scritti dalla polizia segreta zarista alla fine dell’800 per giustificare i pogrom, sono diventati un classico dell’antisemitismo di tutti i tempi (tanto da godere attualmente di molta notorietà nel mondo islamico). I Protocolli, fra le letture predilette di Adolf Hitler, propugnano l’idea che i banchieri ebrei stiano per conquistare il mondo, utilizzando strumenti come le metropolitane, l’alcol, la distruzione della morale, la scristianizzazione. È quello che a destra chiamano “mondialismo”. I black block, mentre sfasciano i bancomat o assaltano i McDonald’s, preferiscono parlare, appunto, di globalizzazione. Poi c’è il nobile polacco Emmanuel Malynsky. Le sue opere sono tradotte dalla casa editrice Ar di Franco Freda: oltre ad esaltare il feudalesimo medievale, questo scrittore cattolico ultrareazionario, mette nello stesso calderone ebrei, massoni, capitalisti e comunisti. Le forze del caos, secondo il conte, tramano nell’ombra e conducono una “guerra occulta”, unite per imporre la scristianizzazione ai popoli cristiani. Per Fraquelli il passaggio dal complottismo anti-ebraico al concetto di mondialismo avviene a cavallo fra gli anni ’70 e ’80. In questo periodo è ormai quasi impossibile distinguere le argomentazioni della destra radicale da quelle dei pensatori no global come Toni Negri. Come scrive uno dei fondatori, insieme a Fiore, di “Terza Posizione”, Gabriele Adinolfi: «Ad agire è un intero sistema le cui élite che non corrispondono alle classi dirigenti democraticamente elette». Tu chiamalo, se vuoi, Wto, Banca mondiale, Fmi, Ue, Comitato olimpico... Sventola una bandiera arcobaleno o un bel cartellone no-tav e voilà. Il gioco è fatto. È ancora Adinolfi a dettare la “linea” nel suo libro intitolato, significativamente, “Nuovo ordine mondiale”: «Con globalizzazione s’intende significare l’omologazione tecnologica, economica e culturale del pianeta. Il mondialismo dal canto suo è soprattutto una cosa: bramosia di uniformità. Esso esalta e incoraggia la distruzione delle differenze; ciò non solo in ambito socioculturale e politico ma del quotidiano, in tutti i campi, dalla sfera intellettuale a quella alimentare... La globalizzazione è essenzialmente l’espansione del sistema americano a gestione multinazionale». L’avversario è indicato chiaramente: ed è il materialismo commerciale yankee, ben più delle Armate Rosse. D’altronde anche Alain de Benoist, il fondatore della cosiddetta Nuova destra, già nel 1983 aveva individuato “Il nemico principale” (come s’intitola un suo best seller stampato dalla Roccia di Erec): non era l’Unione Sovietica, ma “l’impero a stelle e strisce”, gli Usa appunto. Persino il vitalismo anarchico e disincantato di Corto Maltese, l’eroe disegnato da Hugo Pratt, accomuna il sentimento dei giovani “antagonisti” a quello di chi sceglie la “rivoluzione conservatrice”. Nella destra radicale si può rintracciare inoltre anche quella passione per l’Islam, per la “resistenza” dei popoli arabi, per il terzomondismo che contraddistingue gran parte della retorica pacifista odierna. Un personaggio, legato alla stagione delle violenze di piazza negli anni ’70, e ora deus ex machina della rivista Orion e della casa editrice Barbarossa, Maurizio Murelli, non a caso scrive: «Se è vero che l’Iran è la totale negazione degli attuali valori occidentali, del mondo pseudo-libero, ebbene ogni vero uomo non può che essere a fianco dei pasdaran». Ma i redattori di Orion vanno anche oltre. Votano per Rifondazione comunista (???!!!??? Dove l’ha letto?) e non disdegnano di elogiare Mao (?) e il Che (Questa è vera). E non si tratta di confondere le acque, sotto le direttive di loschi servizi segreti deviati. Loro ci credono davvero. Nazismo e comunismo, dicono, sono accomunati dalla stessa avversione al “disegno mondialista”. Orion è anche disposto a buttare a mare un classico del pensiero di destra, il razzismo, pur di portare avanti la battaglia anti-mondialista: «Siamo favorevoli allo Stato multirazziale», scrivono infatti. I no global possono trovare nel saggio di Fraquelli un bel po’ di materiale per riflettere. Forse, domani, eviteranno di organizzare l’ennesima manifestazione anti-fascista, visto che la loro matrice culturale è così simile a quella delle camicie nere.