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Il Patto


Tao
 Tao
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C’era un Patto tra Provenzano, i carabinieri dei ROS, una parte del mondo politico. Un patto per far finire le stragi di Stato (Italicus, Uffizi, San Giovanni in Laterano, oltre a Lima, Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino), in cambio della latitanza protetta dei boss e della possibilità di “immersione” della mafia, cioè consentirle i suoi affari dopo aver ricostruito un equilibrio con la politica. Nel papello con cui Riina avanzò le sue richieste c’erano la fine del carcere duro (41bis), la chiusura dell’Asinara e di Pianosa, la revisione del maxi-processo, e molti altri “favori”. E infatti dal 1993 le stragi si interrompono. E’ questa la tesi de “Il Patto” (Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci – Chiarelettere, 2010 - http://www.chiarelettere.it/dettaglio/66410/il_patto ), e i riscontri non vengono solo dalle carte.

Per anni Luigi Ilardo, un mafioso di rango, ambasciatore di Provenzano nella Sicilia dell’est, fu in realtà un infiltrato, cioè uno che faceva il doppio gioco. Nome in codice “Oriente”. Rivelò ogni cosa al Colonnello Riccio, compreso il covo di Provenzano, latitante da quarant’anni. Ma nessuno andò a prenderlo. Oggi c’è un processo a Palermo, tra i tanti, in cui le informazioni di Oriente sono alla base dell’imputazione al Generale Mori e al suo collaboratore De Donno del mancato arresto di Provenzano. Ilardo venne ucciso, inutile dirlo, proprio mentre stava per diventare un collaboratore di giustizia. Un pentito.

Ma in questo libro, di cui nessun giornale parla (a eccezione di una fredda recensione del Corriere) e che invece sta vendendo moltissimo, c’è ben altro. Si segue il filo dei rapporti tra mafia, Dell’Utri, Berlusconi, la massoneria, la politica degli anni Novanta e fino ad oggi, si pongono domande inquietanti, si portano alla luce tesi, ragionamenti, documenti, riscontri. Come l’analisi dei motivi e della dinamica della strage di via Capaci e dell’ancor più misterioso omicidio di Borsellino. Non furono uccisi per vendetta dalla mafia, ma forse dai servizi segreti, per motivi assai più gravi.

Ho trascorso tre giorni col cuore in gola, ho maledetto il nostro Paese, ho definitivamente assunto consapevolezza di quanto siamo impotenti di fronte alla conduzione della cosa pubblica, della giustizia, dell’ordine, della politica. E’ con fiero rancore, con lucida e feroce indignazione che ho chiuso il libro dopo l’ultima pagina. Sono sempre più convinto che l’unico modo sia astenersi, tirarsi fuori, non far parte di questo teatrino degli orrori manovrato da burattinai efferati, in cui l’unica cosa che ci è consentita sarebbe avallare lo scempio del potere con la nostra quiescienza di consumatori e lavoratori silenziosi, senza diritto di parola, senza dignità.

Ci resta solo una via: non chiedere niente a nessuno, fare tutto da sé, e quel che non si può, non farlo. Non desiderare il potere, gli oggetti, il favore di nessuno. Non piegarsi di fronte alle logiche del mercato, del capoufficio. Vivere in maggiore silenzio, pensare, studiare, coltivare l’idea che si ha di sé, fino all’autenticità inutile e muta di quello che siamo e che possiamo. In sintesi: requisire al potere, per quel che ognuno può, il nostro contributo di consumatori, lavoratori, membri della società, votanti perfino. Not in my name! E soprattutto non con il mio avallo, con il mio contributo, con la mia partecipazione. Quel Sistema campa e prospera solo se c’è gente che consuma, che aspira, che cerca la raccomandazione, che si candida, che partecipa al meccanismo che ha tante entrate (noi) e una sola uscita: la loro cassa piena di armi, potere, violenza, denaro.

Volevo votare l’unica voce che bilancia lo scempio, e cioè l’IdV. Non amo chi giudica, non amo le forze dell’ordine, mi fa paura la giustizia, e non stimo chi urla, ma la voce contro senza compromesso dell’IdV mi pareva l’unico residuo di equilibrio, l’unico peso sull’altro piatto della bilancia… E invece sono confuso. Penso che dopo tanti anni per la prima volta non voterò. Votare è comunque dichiarare che il sistema funziona, avere fiducia che la voce del singolo unita alle altre ha un peso e anche io governo il Paese. Se leggete questo libro, invece, capite una volta di più che non è così, che i giochi sono altri, altrove, per altre ragioni, e si cibano soprattutto del nostro voto, del nostro contributo prono al sistema. Viene in mente quel che diceva Brecht “Se il popolo non fa il suo dovere, il Governo lo scioglierà e ne eleggerà un altro”.

Pensare a Falcone e Borsellino, a Piersanti Mattarella, a Pio la Torre e ai tanti cittadini onesti di questo paese sacrificati al potere, dal potere, per mano mafiosa, fa rabbrividire. Toglie il fiato.

Simone Perotti
Fonte: http://blog.chiarelettere.it
Link: http://blog.chiarelettere.it/?r=174931
5.03.2010


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Bubba
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C’era un Patto tra Provenzano, i carabinieri dei ROS, una parte del mondo politico. Un patto per far finire le stragi di Stato (Italicus, Uffizi, San Giovanni in Laterano, oltre a Lima, Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino), in cambio della latitanza protetta dei boss e della possibilità di “immersione” della mafia, cioè consentirle i suoi affari dopo aver ricostruito un equilibrio con la politica.

Un patto, che a quanto racconta Ciancimino, sarebbe durato fino all'arresto di Provenzano. E allora qualcuno dovrebbe spiegare come mai il ROS dava la caccia a Provenzano, ma non riusciva a prenderlo perchè delle persone facevano le "soffiate" ai mafiosi. Tra queste, oltre a Cuffaro e Giorgio Riolo, c'era un ufficiale della DIA di nome Pippo Ciuro, che praticamente lavorava nell'ufficio di Ingroia, visto che era il suo fedele attendente, e d'estate andavano in vacanza insieme a Travaglio.

Sia Ciuro che Cuffaro sono stati arrestati e inchiodati dal ROS. Anche questo faceva parte del "Patto"?

Nel papello con cui Riina avanzò le sue richieste c’erano la fine del carcere duro (41bis), la chiusura dell’Asinara e di Pianosa, la revisione del maxi-processo, e molti altri “favori”. E infatti dal 1993 le stragi si interrompono..

Il carcere duro era appena iniziato dopo la strage di Capaci, e già Riina ne chiedeva la fine? Che tempismo! Tra l'altro la richiesta non è stata accolta.
La chiusura delle carceri la si deve al governo Prodi, non a Berlusconi.
La revisione del Maxi non c'è mai stata.

Ammazza che "patto"!

Ricordo poi che secondo il patto, Provenzano doveva garantire la fine delle stragi già dopo l'arresto di Riina. Invece le stragi sono continuate anche dopo.

E’ questa la tesi de “Il Patto” (Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci – Chiarelettere, 2010 - http://www.chiarelettere.it/dettaglio/66410/il_patto ), e i riscontri non vengono solo dalle carte

Chi? Sigfrido Ranucci? Quello che ha mandato in onda sulla Rai una intervista manipolata dicendo che era una sintesi? Allora mi fido!
Mi chiedo poi se ci siano proprio riscontri cartacei.

Per anni Luigi Ilardo, un mafioso di rango, ambasciatore di Provenzano nella Sicilia dell’est, fu in realtà un infiltrato, cioè uno che faceva il doppio gioco. Nome in codice “Oriente”. Rivelò ogni cosa al Colonnello Riccio, compreso il covo di Provenzano, latitante da quarant’anni. Ma nessuno andò a prenderlo. Oggi c’è un processo a Palermo, tra i tanti, in cui le informazioni di Oriente sono alla base dell’imputazione al Generale Mori e al suo collaboratore De Donno del mancato arresto di Provenzano. Ilardo venne ucciso, inutile dirlo, proprio mentre stava per diventare un collaboratore di giustizia. Un pentito.

Ma c'è qualcuno mai che menzioni il fatto che il colonnello Riccio si è deciso a raccontare questi fatti solo nel 2001, a 6 anni di distanza, e solo dopo essere stato denunciato per gravi reati proprio da Mario Mori? E poi condannato in primo e secondo grado?
Nonchè smentito da altri carabinieri e dal procuratore Pignatone?

Ah, poi volevo ricordare al preciso giornalista che ha scritto 'sta roba, che sotto processo non è De Donno, ma Obinu.
De Donno è l'odiatissimo autore dell'inchiesta Mafia Appalti. Quella "insabbiata" (parola di Peter Gomez) dalla procura di Palermo.
Si sa che il vero target dei procuratori è lui. Al giornalista gli è scappato.


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