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storia di Franco Marconi e del suo raggio


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LA STORIA 2/ Il finanziere che inventò il Raggio della morte e sfidò i nazisti
L’arma segreta fu sperimentata sull’Appennino reggiano. Un libro di Severino e Pavat

REGGIO EMILIA (16 luglio 2013) - La storia è ai limiti dell’incredibile: potrebbe essere un best seller di fanta-scienza-politica condito di intrighi alla Dan Brown, con tanto di servizi segreti e Ufo nazisti. Ma è una storia vera, ricostruita attraverso una mole di documenti, lettere, rapporti, carteggi ritrovati nell’archivio storico della Guardia di Finanza, all’Archivio centrale dello Stato e in altri depositi italiani: il racconto degli esperimenti condotti in piena guerra sul mitico “raggio della morte” e dell’eroismo del suo inventore, un giovane militare della Guardia di Finanza, finito a Dachau per non aver voluto consegnare i progetti dell’arma segreta al Terzo Reich.
E’ uscito in questi giorni Il raggio della morte - La storia segreta del militare italiano che avrebbe potuto cambiare il corso della seconda guerra mondiale, un libro frutto di cinque anni di ricerche, edito da Times Publishing e in vendita nelle edicole come allegato alla rivista X-Times. Lo hanno scritto il direttore del Museo storico della Guardia di Finanza, capitano Gerardo Severino (grazie al suo lavoro di ricerca Israele ha riconosciuto cinque uomini delle Fiamme Gialle come “Giusti fra le nazioni”) e Giancarlo Pavat, scrittore, studioso dei misteri della storia e dell’arte, in particolare dei labirinti, e anche lui in forza al Comando generale della Guardia di Finanza.

Il libro va ben oltre la curiosità storica per varie ragioni. In primo luogo perché restituisce all’Italia la figura del finanziere Franco Marconi, nato ad Arquata del Tronto nel 1920, giovane inventore che iniziò i suoi esperimenti nel 1939 (quando aveva appena 19 anni) e del quale si può ben dire - sempre in base ai documenti ritrovati - che salvò l’Europa dal dominio nazista pagando il prezzo delle torture e dei lager. Non chiese mai nulla per sé, tanto che nel 1958 andò in pensione col grado di appuntato scelto. Dopo la guerra i comandi militari gli imposero il silenzio sui suoi esperimenti e lui non ne parlò mai più, neppure con le figlie che vivono tuttora a Verona: morì nel 1991 portando nella tomba i suoi segreti. Ancora oggi non si sa dove siano i progetti, però da qualche parte sono.

In secondo luogo Severino e Pavat hanno dimostrato per la prima volta che le ricerche sul raggio della morte durante il fascismo avvennero sul serio e con risultati a quanto pare strabilianti: ma a condurle non fu Guglielmo Marconi (morto nel 1937) bensì un semplice e geniale finanziere che portava lo stesso cognome.

Infine, il libro rivela che l’esperimento più importante fu condotto nell’ottobre 1944 sul crinale appenninico in un punto ancora imprecisato fra il Reggiano e il Modenese, in piena zona di guerra partigiana. E che quel giorno accaddero fatti straordinari, nonostante l’inventore avesse manomesso l’apparecchio per ridurne la potenza nel vano tentativo di ingannare i gerarchi nazisti. Quel giorno, come si legge in un rapporto inviato al generale Wolff, a Berlino e a Mussolini, controfirmato da ufficiali tedeschi e funzionari della Rsi, il raggio provocò un fenomeno simile a “un’aurora boreale”.

Dopo anni di ricerche e verifiche puntigliose, gli autori hanno squarciato una coltre di silenzio durata oltre settant’anni su una vicenda che avrebbe potuto veramente cambiare il corso della guerra mondiale. Tuttavia la natura del “raggio della morte” resta avvolta nel mistero.

«Sappiamo dai documenti d’archivio, tutti declassificati e quindi consultabili da chiunque, che a partire dal 1939 Franco Marconi condusse moltissimi esperimenti finanziati dalla corpo della Guardia di Finanza - spiega Giancarlo Pavat - Ha lasciato un paio di descrizioni piuttosto fumose, e in base ad esse abbiamo ipotizzato che lavorasse sull’energia elettromagnetica e fosse giunto, fatte le debite proporzioni, alle stesse conclusioni di Nikolas Tesla. Marconi parlava di “folgorazione a distanza” o “disgregazione a distanza” e, in una dichiarazione del 1944 ritrovata all’Archivio centrale dello Stato scrisse di un’energia esistente nell’atmosfera che chiunque potrebbe trasformare in potenza di “eterna durata”. E’ certo che, col suo dispositivo celato in una grossa scatola, riusciva a far esplodere munizioni di ogni genere situate dentro edifici, oltre una collina e persino situate su imbarcazioni al largo, anche a distanza di chilometri e di fronte a numerosi testimoni».

Il raggio della morte era un tema molto in voga all’epoca, e Marconi aveva cominciato a studiarlo quando era appena quindicenne. Entrato in Guardia di Finanza a 18 anni, dopo il diploma in agraria, condusse il suo primo esperimento alle Bocche di Cattaro: da una spiaggia riuscì a far esplodere una boa o una piccola chiatta. «Dopo i primi successi il Corpo lo fa rientrare in Italia e decide di finanziare i suoi studi - racconta Pavat - Viene mandato a Genova, dove il generale Vinay gli mette a disposizione un piccolo laboratorio segreto nel castello Raggio, poi demolito nel dopoguerra. In Liguria, fra Genova e La Spezia, Marconi sviluppa la parte più importante dei suoi esperimenti, ai quali assistono sempre più increduli ufficiali della Fiamme Gialle, del Genio militare e gerarchi del partito fascista, sino a quando il castello Raggio non viene bombardato dagli alleati. A quel punto Marconi viene trasferito a Roma, alla scuola di Nettuno, dove lo sorprende l’8 settembre. Lui distrugge il laboratorio per non farlo cadere in mano ai tedeschi e cerca contatti con esponenti della Resistenza romana, fra cui il capitano Argenzano. Ma ricercato e braccato da tutti sale a Nord e torna a Genova, ancora una volta sotto la protezione di Vinay: riprende gli esperimenti rifiutandosi di consegnare i suoi apparecchi ai tedeschi e alla Rsi, che con i suoi agenti ne segue tutte le mosse. Quando Vinay viene destituito di fatto, Marconi viene mandato a Venezia dove un colonnello della Gnr lo tiene al riparo dai tedeschi».

Tuttavia a Berlino non stanno con le mani in mano: un giorno il finanziere-inventore viene prelevato da ufficiali del servizio di sicurezza delle SS e portato a Verona dove incontra il generale Karl Wolff, comandante supremo delle SS nel Nord Italia, che gli mette a disposizioni mezzi, attrezzature e un palazzo requisito in via Camozzini. Il giovane è costretto a lavorare lì insieme a tecnici italiani «che forse - afferma Pavat - facevano il doppio gioco». Gli esperimenti continuano a Peschiera, Desenzano e nella campagna di Verona, siano a quando le SS gli impongono una prova finale in piena zona di guerra, a ridosso della Linea gotica: scelgono un punto dell’Appennino compreso fra il reggiano e il modenese, un posto non identificato che viene raggiunta attraverso la Garfagnana. Il 18 ottobre 1944 la madre di tutti gli esperimenti avviene sotto gli occhi degli ufficiali nazisti e della Rsi. Nonostante le manomissioni operate da Marconi sulla sua centralina, il “raggio” mostra egualmente una potenza micidiale: parecchi uomini vicini agli impianti svengono, e fra i numerosi effetti collaterali si manifesta “l’aurora boreale”.«A quel punto i tedeschi si convincono di avere in mano l’arma segreta, tanto che di ritorno a Verona organizzano una festa - spiega Pavat - Dopo pochi giorni arriva a Verona una delegazione di scienziati tedeschi che mette alle strette il finanziere: deve andare con loro in Germania per organizzar
e la produzione del “raggio” su scala industriale. Marconi non ne vuole sapere, si rifiuta di rivelare dove sono nascosti i progetti e non si piega neppure davanti al plotone d’esecuzione. Lo torturano in carcere a Verona, ma non parla. Anzi, racconta di essersi inventato tutto e che il raggio della morte è una truffa bella e buona congegnata grazie a una polverina che lui stesso spargeva sugli oggetti per farli esplodere. I tedeschi, che avevano assistito all’esperimento del 18 ottobre, non se la bevono, però non sanno che pesci prendere: in novembre spediscono il finanziere Franco Marconi al lager di Bolzano, dove probabilmente conosce la ragazza che poi diventerà sua moglie, e da lì a Dachau, dove sopravvive agli stenti e alle violenze sino all’aprile 1945, quando il campo viene liberato dagli americani».

Al suo rientro in Italia viene riammesso nel corpo della Guardia di Finanza, e mandato davanti alla Commissione d’epurazione per sospetto collaborazionismo. «Lo interroga per due giorni il generale Malgeri, medaglia d’oro della Resistenza: probabilmente Marconi non la racconta tutta, però le testimonianze sulle esplosioni e l’attivazione a distanza dei motori elettrici sono inoppugnabili. In suo favore testimonia anche il capitano Argenzano, il quale conferma che Marconi voleva sottrarre la sua invenzione sia ai nazisti, sia ai repubblichini e anche agli alleati. L'accusato fu prosciolto: d’altra parte sei mesi nell’inferno di Dachau bastavano da soli a cancellare i sospetti di collaborazionismo».

Dopo la guerra Marconi si sposa a Verona e viene trasferito a Trento. Il raggio della morte cade nel dimenticatoio, e al massimo il finanziere si diletta con piccole invenzioni. Nel 1952 però l’Adige pubblica in due articoli la storia di militare che avrebbe truffato i tedeschi millantando l’invenzione del raggio della morte. Il giornale non fa nomi, tuttavia Marconi prepara una lunga replica e chiede ai suoi superiori il permesso di pubblicarla, ma dopo un frenetico carteggio fra i comandi, l’autorizzazione viene negata e a Marconi viene imposto di non parlare mai più della vicenda.

Una consegna che lui, militare tutto d’un pezzo, rispetterà anche dopo il 1958, quando verrà in pensione e sino alla morte. Per lui oggi parlano i documenti riemersi dagli archivi storici, e forse altri ancora che aspettano solo di essere ritrovati.

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Da:
http://www.ilgiornaledireggio.it/showPage.php?template=newsreggio&id=19728&masterPage=articoloreggio.htm

LA STORIA 1/ Fu testato in Appennino il Raggio della morte
Si formò un’aurora boreale sul crinale reggiano

di Pierluigi Ghiggini - 16 luglio 2013

REGGIO EMILIA - E’ il 18 ottobre 1944. Sul crinale dell’appennino, in un’area compresa tra le montagne reggiane e il modenese presidiata in forze da reparti tedeschi e della Rossi, avviene uno degli esperimenti più importanti della guerra.

L’appuntato di guardia di Finanza Franco Marconi, 24 anni, deve testare sul campo il suo “raggio della morte” sotto lo sguardo di alti ufficiali delle SS che rispondono direttamente al generale Wolff e tramite lui a Berlino. Marconi, che non intende consegnare ai tedeschi l’arma segreta (e neppure agli alleati: dirà che il raggio doveva servire a proteggere le città italiane, bloccando i bombardieri in volo), aveva cercato di perdere tempo, ma alla fine ha dovuto cedere. Il suo misterioso apparecchio, che consiste in una grossa centralina e diverse antenne sistemate in punti strategici, è pronto per entrare in funzione. Prima della partenza da Massa-Carrara (all’epoca provincia di Apuania) Marconi lo ha “revisionato” per ridurne la potenza, nella speranza di poter ingannare gli invasori. Ma non è così facile: lui stesso non immagina cosa può fare il suo “raggio”.

Al momento prestabilito, Marconi avvia l’apparato che, in barba alle modifiche, dimostra di possedere una potenza inaudita. Il momento viene fissato in un rapporto controfirmato dagli ufficiali tedeschi per il generale Wolff e per Mussolini (il quale risponderà subito, con una lettera in cui riconoscerà l’invenzione al giovane finanziere): accadono diversi fenomeni, compresi i malesseri che mettono fuori gioco li ufficiali vicino alla macchina, ma uno in particolare atterrisce i presenti e lo stesso Marconi: si tratta di un’esplosione di fenomeni atmosferici mai verificata in precedenza e che l’inventore descrive come “un’aurora boreale”.

Gli avvenimenti di quel giorno, una pagina inedita e sorprendente della nostra storia di guerra, sono documentati nel libro “Il raggio della morte” scritto da Gerardo Severino e Giancarlo Pavat, in distribuzione da pochi giorni nelle edicole.

«Marconi, come risulta dai documenti, aveva provocato molte volte esplosioni di munizioni e attivazioni di motori elettrici distanti anche parecchi chilometri, e spesso aveva parlato della produzione di fulmini - spiega lo scrittore Giancarlo Pavat - Tuttavia quella volta restò letteralmente sconvolto dagli effetti della sua invenzione. Nel rapporto parla di un fenomeno che non mi so spiegare, simile a un’aurora boreale. Nei giorni successivi fece nuove prove nell’appennino, sempre a ridosso della linea gotica ma più a oriente, tuttavia nessuna fu come il 18 ottobre».

Per questo Pavat ha voluto approfondire le ricerche condotta da Nicola Tosi con lo staff del Project Uap Italia sui fenomeni luminosi anomali della Pietra di Bismantova: «Credo che gli avvenimenti di quel giorno vadano rivisti alla luce delle indagini di oggi - afferma - Non possiamo escludere che il raggio avesse interagito con fenomeni energetici analoghi a quelli registrati da Tosi: del resto la zona è la stessa». E del resto a Hessdalen, la valle norvegese delle sfere di luce, fenomeni fantasmagorici sono all’ordine del giorno.

Chissà se Franco Marconi aveva scoperto davvero una forma di energia diffusa e inesauribile. «Sono giunto alla conclusione, studiando i documenti, che qualcosa di vero c’era - afferma l’autore - e che la tecnologia di Franco Marconi funzionava davvero, anche se probabilmente era ancora da migliorare». Ma il giovane, quando si rese conto del pericolo per l’umanità, preferì il lager di Dachau anziché consegnare il “raggio della morte” a Hitler.

Solo i progetti e gli studi di Marconi svelare il mistero. Dove sono nascosti? «Sappiamo che riuscì a recuperarli dai sotterranei del castello Raggio di Genova, ma lì ci siamo fermati. La famiglia non ha nulla: Marconi mantenne il segreto persino con le sue figlie. Chissà, forse li presero i tedeschi, o più probabilmente gli americani. Siamo rimasti colpiti da una notizia uscita ai primi di giugno sul “raggio del dolore” realizzato negli Usa, e abbiamo fatto appena in tempo a inserirla nel libro prima di andare in stampa».

E’ noto che il generale Wolff, che volle Marconi a Verona e gli impose l’esperimento in Appennino, trattò segretamente con gli alleati proprio a partire dall’ottobre 1944, e riuscì a evitare il processo a Norimberga grazie all’intervento di Allen Dulles. Chissà se c’entrava anche il raggio della morte...


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