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Radiohead, nuovo album.


massi
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Dopo essere scomparsi misteriosamente dai social nei giorni scorsi, i Radiohead annunciano l'uscita del nuovo album a cinque anni di distanza dal loro ultimo lavoro in studio "The King of Limbs".

Il video del secondo singolo "Daydreaming" diretto da Paul Thomas Anderson, online da venerdi:

https://www.youtube.com/watch?v=TTAU7lLDZYU

L'album sarà disponibile negli store digitali da questa sera 8 maggio alle 20:00 ora italiana.


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spadaccinonero
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lo ascolterò sicuramente anche se non è il mio genere...

edit

ho dato un primo ascolto e non mi sembra granché

😕


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massi
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Beh il primo ascolto non basta mai... sicuramente sono molto lontani dal tuo genere.
Qualche loro vecchio album ti potrebbe piacere di più.


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spadaccinonero
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Beh il primo ascolto non basta mai... sicuramente sono molto lontani dal tuo genere.
Qualche loro vecchio album ti potrebbe piacere di più.

beh, si sono anni luce dai miei gusti però mi aspettavo qualcosa di più fedele ai vecchi lavori, forse per questo non ho gradito...

nel pomeriggio darò un secondo ascolto più accurato e paziente


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massi
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Radiohead - A Moon Shaped Pool

Di Fabio Marco Ferragatta

“C’eravamo tanto amati”. Ma ora basta. I Radiohead sono… cosa sono i Radiohead? Una tra le più innovative band degli ultimi vent’anni? Un fenomeno? Un geyser di hype? Tutto assieme? Forse abbiamo trovato una quadra. E ad ogni disco, da qualche anno a questa parte, la menata è sempre la stessa. Azioni commerciali geniali a furor di popolo con tanto di download gratuiti o quasi (ma che fecero perdere la pazienza anche a Marc Ribot, tanto da dedicar loro, in maniera piuttosto diretta, un brano dei Ceramic Dog intitolato non a caso “Masters of the Internet”), edizioni deluxe da buttarci tutto lo stipendio – il qui presente lo sa bene – e all’alba del 2016, sparizioni dall’internet fino a creare convulsioni a tutti quanti.

Ma se finora il deleterio essere anomali anche in campo di marketing trovava sponda in dischi di una certo spessore oggi non si può dire lo stesso. Almeno io. C’è già chi si straccia le vesti per la bellezza intrinseca di “A Moon Shaped Pool”, nuova fatica della banda di Yorke e Greenwood, ci sono altri che latrano al vento frasi come “sono la band più sopravvalutata del mondo” e via così. Che bello il mondo di internet. Bello, come una sontuosa torta alla merda. Ma non divaghiamo.

Io sto lì, nel mezzo, ad assaporare un pasto amaro, a chiedermi se sia come fu con “In Rainbows“: primo ascolto PANICO, secondo ascolto HEY!, terzo ascolto AMORE PURO. E invece no. Ad ogni ascolto guardo il mio tatuaggio dedicato a “Kid A” e sto sempre peggio. Sì, li ho praticamente tirati fuori tutti, i dischi della band dell’Oxfordshire, e sapete perché? Perché questo disco pullula di outtakes. O b-sides. O qualcosa che assomiglia molto a questo tipo di roba. Ma un disco è pur sempre un disco, e va sviscerato a dovere.

Ci ho provato a godere dell’acustica sontuosità a là “Hail To The Thief” dell’opener “Burn The Witch“, ma l’immobilismo di chitarre e archi con annesso sentore di ridondante mi ha bloccato, anzi, paralizzato. Il testo è puerile (checché ne dicano in molti), e da Yorke non me lo aspetto, passo oltre. “Daydreaming” ci porta dalle parti di “Amnesiac“, ma senza il pathos dell’ambiente angusto di quel capolavoro, tutto minimal, in silenzio, afflati vocali, sensazioni di vuoto a ripetersi senza un perché. Ad assomigliare a sé stessi gli ‘head non ci guadagnano un granché, poiché la forza di questa band è sempre stata un’altra, ma ci siamo persi per strada, ammetterlo non sarebbe un male. “Decks Dark” mi da ragione, perché non appena smettono di guardarsi allo specchio volano via, con i cori spaventosi, le chitarre che grattano sottopelle e la splendida sensazione di orrore strisciante che serpeggia dalle orecchie al cuore, con il piano a spaccarti i nervi in diecimila parti, ed è la medesima sensazione che provo con “Ful Stop“, che è un maledetto capolavoro, nel suo essere (di)storta, malevola e insanguinata da synth acidi e ‘sto giro di basso che ti ammazza lì per lì. Tutto annega con l’irritante sintomo acustico e folkeggiante di “Desert Island Disk“, svenevole tanto nella melodia quanto nei suoni e negli incastri vocali di “Identikit” che darebbero i nervi al più ieratico dei monaci. “The Numbers” inizia benissimo, tanto che ti par di sentirli giocare a fare i Wilco, e pure bene, poi partono gli archi, stucchevoli come non mai, svolazzanti, tremendi, allucinanti nel senso più brutto possibile ed immaginabile e via, altra pallottola sprecata (ma la stronzata che assomiglino ai Coldplay tenetevela per voi, grazie). E tutto fila lento e destabilizzante, con il desiderio di skippare, cosa che faccio con l’immobile “Present Tense” e con l’altra dal titolo infinito – “Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief” – che ti straccia letteralmente il cazzo senza pietà alcuna, fino alla già conosciuta (su “I Might Be Wrong“) “True Love Waits“, con l’incipit kidAiano, che, forse, al terzo ascolto, mi da una soddisfazione. Ma non basta. Sarò io ad essere troppo esigente? Forse mi aspettavo troppo? Anche. Forse non è il caso di rimestare nei cassetti e tirar fuori roba che suona vecchia e molle anche quando è bella? Chi lo sa?

Intanto io sono pronto alla lapidazione. Ma a mia discolpa posso dire che il disco che avevo bollato al primo ascolto come “un album di merda”, è diventato a poco a poco un disco mediocre, non orrendo, sia mai, ma neanche bello, un’eco lontana di quanto ho amato i Radiohead, con tutti i sintomi che mi han lasciato dentro, fiaccati dagli anni (i loro) e dalla poca pazienza (la mia) di sopportare un corollario immenso per lavori di poco conto. Ma se volete un’ultima soddisfazione posso dirvi “Nigel Godrich è un gran produttore“. Se può bastare.

http://www.impattosonoro.it/2016/05/11/recensioni/radiohead-a-moon-shaped-pool/


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spadaccinonero
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@massi

il recensore scrive come se ascoltasse un album grind

XD

e a quanto leggo anche lui non è entusiasta di questa uscita
penso che principalmente il problema sia uno, ovvero che nel disco mancano quei picchi di estremo interesse che catturano l'attenzione dell'ascoltatore

un album piatto e privo di vera ispirazione lo si riconosce subito


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massi
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Quando ho postato la recensione qua sopra non avevo ancora l'album, ora che lo sto ascoltando da un paio di settimane devo dire che non mi trovo per niente d'accordo.
Per me A Moon Shaped Pool è un album stupendo.

Siccome non so recensire ho scelto fra le tante in rete quella che più condivido.

Di Gioele Sforza - www.ondarock.it

Essere i Radiohead, nel 2016, non è un mestiere semplice. Significa avere sul collo il peso di mille aspettative, frutto di una discografia che, nelle sue tappe fondamentali, si pone al vertice del panorama alternative degli ultimi vent'anni, e che però in tempi recenti ha palesato la sua prima vera macchia. "The King Of Limbs" ci ha consegnato una band indecisa e spenta; gran parte della delusione derivava da un output finale non soddisfacente, sia per il minutaggio ristretto, sia per scelte produttive un po' pasticciate. Nonostante dal vivo assumesse un respiro più ampio, di fatto una rivalutazione non è mai avvenuta, e il sentimento generale anche tra i fan della band più fedeli era che se i Radiohead avessero sbagliato anche questo tanto atteso nono album, la loro reputazione di band infallibile sarebbe definitivamente crollata, lasciando il passo all'accettazione dei loro attuali limiti e difetti. Un LP9 che, insomma, si poneva come la prova del nove per la band di Thom Yorke & co.

Dopo mesi di speculazioni e teorie che hanno monopolizzato dibattiti e discorsi un po' ovunque nel web, i Radiohead hanno fatto tutto in una settimana, con quel loro classico stile a sorpresa che ormai dai tempi di "In Rainbows" segna ogni nuova uscita. Prima il video in claymation per "Burn The Witch", poi quello esistenzialista per "Daydreaming", diretto da Paul Thomas Anderson, cui immediatamente ha fatto seguito l'annuncio di "A Moon Shaped Pool", rilasciato appena due giorni dopo. L'ennesima release azzeccata nei tempi e nei modi, come dimostra l'enorme risonanza che video e album stanno avendo. I meri fatti di marketing, così come l'hype cieco e smodato, ovviamente non dovrebbero occultare il puro dato musicale. E allora, che band ci riconsegna "A Moon Shaped Pool"?

Una band che probabilmente ha capito i limiti di una formula che iniziava a mostrare la corda e, messe da parte certe tendenze elettroniche divenute ormai stantie, svela il suo lato più umano e intimista. Non che l'introspezione e la malinconia non fossero già tratti essenziali della loro proposta musicale, che anzi in molti momenti ha sintetizzato lo spleen depresso e umbratile della nuova era tecnologica. Ma, laddove in capolavori come "Ok Computer" e "Kid A" questi sentimenti veicolavano un messaggio universale, in "A Moon Shaped Pool" mai come prima la sfera privata di Yorke si pone al centro della scena, con il dramma personale della recente separazione dalla compagna di una vita, Rachel Owen. Si tratta in parte di un ritorno alle atmosfere di "In Rainbows", ma senza la sua tavolozza sgargiante di colori, che ha fatto posto a un grigiore esistenziale che molti potrebbero scambiare per monotonia.

In realtà, tra le pieghe di un lavoro a prima vista monocorde, prende vita un'atmosfera strana e ineffabile. Queste undici canzoni, molte delle quali già conosciute in veste live, si situano in quell'imprecisato confine in cui la malinconia e la nostalgia diventano sentimenti prossimi alla serenità. È difficile stabilire cosa sia a guidare lo spirito inquieto di Yorke, se la rassegnazione o la speranza, o piuttosto la serena presa di coscienza dell'inutilità di inseguire sogni e ambizioni irraggiungibili. Nel video di "Daydreaming", il cantante vaga ansioso e smarrito in diversi edifici, dislocati in una rete labirintica e indistricabile, fino ad arrivare a un contatto diretto con la natura, là dove le emozioni scorrono ancora non contaminate dalla quotidianità. E mentre gli archi in reverse seguono il sussurro ondivago di Thom, dipingendo scenari cupi e misteriosi, tutta la tensione accumulata esplode, prima di affievolirsi in un finale dimesso che sa quasi di addio e rinuncia. È un brano che mette in luce l'abilità nel creare climax quasi cinematografici che Johnny Greenwood ha avuto modo di acquisire, anche grazie alla collaborazione avuta in tempi recenti con lo stesso Anderson.

Del resto, archi e orchestrazioni ricoprono un ruolo vitale nel corso di tutto il disco. Il singolo "Burn The Witch", invettiva contro un sistema opprimente che ricorda l'impegno politico di "Hail To The Thief", accumula tensione su tensione grazie ad archi ostinati e dirompenti, perfetto contraltare alla voce fluttuante di Yorke. Altrove sono cori angelici a elevare il lirismo dei brani, come quello che irrompe nel mezzo della rockeggiante "Identikit", o che dona a "Decks Dark", prossima al trip-hop, un'aura di misterioso fascino. Nello sfondo è onnipresente il pianoforte, cristallino e torrenziale, che assieme alle trame della chitarra acustica, e a un tessuto ritmico tenue, va a dipingere paesaggi eterei e sfuggenti, a tratti tipicamente folk (in alcuni passaggi emergono echi di Nick Drake e Tim Buckley), come testimoniano "Desert Island Disk" e "Glass Eyes". Proprio "Glass Eyes" merita una menzione a parte: un po' la "Faust Arp" di questo disco, è il classico brano che a un ascolto fugace sembra un mero riempitivo, salvo poi rilasciare suggestioni sempre nuove in quelli successivi. Tale effetto è probabilmente dovuto alla simbiosi di pochi, ma decisivi elementi: primo fra tutti, il testo poetico e introspettivo, che vede Yorke , appena sceso dal treno, alienato in mezzo alla folla muta e indifferente; a conferire maggiore profondità sono gli archi, qui commoventi come non mai, che sul finire, tra le note di cello appena abbozzate, fanno quasi rivivere la catarsi di "Motion Picture Soundtrack", fattasi ancora più intima e personale.

Per chi asserisce che questo disco difetti di melodie, il miglior controesempio è sicuramente "Present Tense", già nota ai fan sin dal 2009, e che si colloca di diritto tra le melodie più belle pennellate dai Radiohead, con il suo trascinante incedere bossanova. Anche la psichedelia fa capolino in diversi momenti, sia essa d'impronta kraut-rock come nella cavalcata "Ful Stop" o leggiadra e svogliata come in "The Numbers", sorta di inno anti-cambiamento climatico. Effettistica curata, insieme a linee di basso che disegnano groove ipnotici, concorrono a creare un clima di sospensione estatica in cui smarrirsi.
Nulla, però, è paragonabile al candore e alla grazia di "True Love Waits". Brano noto da oltre vent'anni e già inserito nel live "I Might Be Wrong" del 2001, viene qui spogliato del suo arrangiamento acustico e adornato di un pianoforte spoglio e spettrale, reminiscente di quello che apriva "Kid A" in "Everything In Its Right Place". Se la celebre versione acustica faceva emergere acuti di disperazione, qui la rassegnazione la fa da padrone, guidando la voce rotta di Yorke lunga una melodia sconsolata che chiude idealmente un cerchio aperto molto tempo fa.

"A Moon Shaped Pool" è un graditissimo ritorno di una band che sembrava aver perso la bussola, ma che ha ritrovato ispirazione e capacità di emozionare come non accadeva da quasi dieci anni. È un colpo di classe in cui c'è molta esperienza, e a volte manierismo. Ma grazie al cielo, i Radiohead che fanno i Radiohead sono ancora un gran bel sentire.

http://www.ondarock.it/recensioni/2016_radiohead_amoonshapedpool.htm

Mi piacerebbe sentire il parere di qualche fan della prima ora... possibile che non ci sia nessuno a cui piacciono i Radiohead su CDC???


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reio
 reio
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ho sentito di fretta qualche traccia in macchina e il giudizio è ampiamnte negativo

forse con il tempo


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massi
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ho sentito di fretta qualche traccia in macchina e il giudizio è ampiamnte negativo

forse con il tempo

Il consiglio che posso darti è di avere un po' di pazienza, sicuramente non è un album "immediato".
Quando esce un nuovo lavoro di un artista che mi piace, in questo caso i Radiohead, evito l'mp3 e mi faccio un bel CD da ascoltare in macchina. Lo tengo nel lettore per un bel po' di tempo perchè mi piace sviscerarlo, assorbirlo completamente.
A volte un album che mi cattura al primo ascolto mi stanca in poco tempo, altre volte album che ci metto un po' più di tempo a recepire si rivelano stupendi.
Il tuo giudizio negativo è da fan o da ascoltatore occasionale?


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reio
 reio
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Il tuo giudizio negativo è da fan o da ascoltatore occasionale?

direi da ascoltatore occasionale. mi piacevano, e mi piacciono tuttora, i dischi degli anni 90, poi ho lasciato un po' andare
è che ora come ora i "miagolii" di yorke proprio non mi vanno giu


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massi
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Il tuo giudizio negativo è da fan o da ascoltatore occasionale?

direi da ascoltatore occasionale. mi piacevano, e mi piacciono tuttora, i dischi degli anni 90, poi ho lasciato un po' andare
è che ora come ora i "miagolii" di yorke proprio non mi vanno giu

Certo anche io sono molto legato ai loro lavori degli anni '90, in particolare Ok Computer.
Ancora oggi considero il brano Paranoid Android, insieme al video, una vera opera d'arte.

https://www.youtube.com/watch?v=sPLEbAVjiLA

C'ho messo un po' per accettare il loro cambiamento, ma l'ho sempre rispettato perchè apprezzo chi si evolve seguendo la sua strada e non il facile consenso.
Disse Bob Dylan: "Prima o poi devi saper deludere il tuo pubblico".


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