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«Chávez è qui, siamo tutti noi»


Tao
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Geraldina Colotti, inviata a Caracas

Grande emozione nel paese per i funerali del leader venezuelano. Una folla immensa ha reso omaggio al suo feretro. Delegazioni da tutto il resto del mondo

Personalità politiche da tutto il mondo sono arrivate a Caracas per assistere ai funerali del presidente Hugo Chávez, che si tengono oggi. Il leader socialista è morto il 5 marzo, dopo una lunga battaglia contro il tumore che lo ha colpito nel 2011. Il giorno dopo, il feretro è stato portato nella cappella dell’Accademia militare, a Forte Tiuna, per una veglia di tre giorni. Una moltitudine di persone lo ha accompagnato nel suo breve viaggio, tra lacrime e canti. La macchina con la bara è passata lentamente tra due ali di folla che sembravano avvolgere il feretro in un ultimo abbraccio. Il flusso di persone in coda per rendere un ultimo saluto al comandante è stato ininterrotto. L’emozione collettiva è grande nel paese:«Chávez è qui, siamo tutti noi», sono i commenti più diffusi. In molti sono venuti da fuori per assistere al funerale. Allo scalo per Caracas da Francoforte, ieri si intrecciavano i discorsi e le discussioni come questa. Quattro uomini dai tratti mediorientali commentano i giornali. Dicono di essere siro-venezuelani. Chávez – affermano tutti – è stato un grande statista, e il proceso bolivariano non finirà «La gente che non aveva voce oggi prende parola – dice quello coi baffi, snocciolando il rosario islamico», e il più anziano aggiunge: «Aveva un modo di esprimersi che arrivava diretto al punto. Una volta, a chi gli ha chiesto perché faceva ancora il comunista quando nei paesi come l’Unione sovietica il comunismo era crollato, ha risposto: si vede che non era più quello buono, e bisogna rifarlo meglio. Chávez ti faceva vedere il concetto», dice l’uomo facendo cerchi con le mani. Una ragazza che si presenta come ecuadoriana, interviene: «Da noi, con il governo Correa gli studenti vanno a studiare all’estero gratuitamente: a condizione di tornare almeno per 5 anni nel paese. Cose del genere abbiamo potuto farle anche grazie alla collaborazione con paesi come il Venezuela di Chávez che vedono le cose allo stesso modo». Qualche passeggero in fila per l’imbarco dissente visibilmente. I venezuelani di Miami hanno festeggiato la morte di Chávez. E così ha fatto nel paese l’opposizione più accesa, nonostante le dichiarazioni distensive rilasciate dal leader della coalizione Mud, Henrique Capriles Radonski: di nuovo scelto per rappresentare il centro-destra alle elezioni che dovranno tenersi entro 30 giorni dalla morte di Chávez, contro il quale aveva perso alle presidenziali del 7 ottobre. Poco prima di annunciare la morte del presidente, il suo vice Nicolas Maduro ha comunicato al paese l’espulsione di due diplomatici statunitensi, accusati di reclutare militari per piani eversivi. Poi, il governo ha ventilato l’ipotesi che i soliti nemici abbiano inoculato il cancro al presidente, uccidendolo come il leader palestinese Arafat. L’accusa - avanzata in un primo momento anche da Chávez a fronte dell’ammalarsi per tumore di altri presidenti progressisti latinoamericani -, continua a circolare in Venezuela.

Chávez, 58 anni e di umili origini, sapeva suscitare grandi passioni: caudillo, populista… In occidente, i suoi detrattori lo hanno da subito ingabbiato in categorie poco affidabili per i salotti buoni. In questi giorni, il mondo intero gli sta rendendo omaggio (si è distinta, invece la Ong Human right watch, che lo ha accusato di esser stato antidemocratico in tema di diritti umani). Sull’aereo, oltre agli ambasciatori venezuelani in Europa, c’era anche una delegazione di parlamentari europei diretta al funerale. Mentre il leader di Syriza, Alexis Istpros riposava, abbiamo parlato con Maite Mola, vicepresidente del Partido di Izquierda europeo (Pie): «I giornali spagnoli si sono comportati in modo vergognoso nei confronti di Chavez – ha detto Mola al manifesto – ma il loro è solo un modo per occultare il grande cambiamento che si è messo in marcia in Venezuela e negli altri paesi progressisti dell’America latina. Ho sentito dei politici spagnoli dire: sì, vabbè, le misure sociali, ma quello è sempre un dittatore. Ma se sono cose di poco conto le misure sociali, perché non ci si mette l’Europa a realizzarle anziché distruggerle? E poi, quale dittatore con tutte le elezioni che ha vinto? La verità è che una certa stampa guarda ancora al sud del mondo con occhio neocoloniale: come se i processi di formazione dei leader dovessero essere fatti con lo stampino europeo indipendentemente dai contesti storici».

Geraldina Colotti
Fonte: www.ilmanifesto.it
8.03.2013

 


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