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Antibiotici, la resistenza di Big pharma


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Le mutazioni genetiche dei batteri non sono una novità e vanno considerate una reazione naturale degli organismi. Eppure, è scattato l’allarme mondiale. Il vero problema? È la scarsità di investimenti sulla ricerca

L’individuazione di un batterio resistente anche agli antibiotici di ultima istanza in una paziente statunitense ha finalmente risvegliato nell’opinione pubblica il problema della resistenza agli antibiotici. Il singolo caso di cui hanno parlato i media di tutto il mondo è meno preoccupante di quanto appaia dai titoli. Tuttavia, le difese contro le infezioni batteriche stanno davvero perdendo efficacia e la questione riguarda tutti, dato che gli antibiotici sono i principali responsabili dell’aumento dell’aspettativa di vita nei paesi sviluppati.

La signora quarantanovenne in cura per un’infezione urinaria in Pennsylvania non è la paziente zero di un’apocalisse vicina. Il batterio Escherichia coli che ha provocato la malattia è ospitato normalmente anche nel nostro intestino, ed è dunque assai comune. I medici che seguono la paziente hanno individuato nel batterio una mutazione genetica che conferisce resistenza a diversi antibiotici, tra cui la colistina.
Lo sviluppo della resistenza agli antibiotici osservata in molti batteri, di per sé, è un problema noto da almeno due decenni. Finora è stato aggirato usando diversi farmaci contro lo stesso batterio, fino a trovare quello efficace. Ma quando la resistenza riguarda la colistina, il problema è decisamente più grave. Si tratta, infatti, di un farmaco così potente da essere utilizzato come rimedio di ultima istanza nei confronti di diversi tipi di infezione batterica, proprio quando gli altri antibiotici non funzionano.

Palestre di allenamento

L’allarmismo mediatico è però esagerato per diverse ragioni. Prima di tutto, il ceppo di E.coli rimane vulnerabile contro un’altra classe di antibiotici molto efficaci, i carbapenemi. In secondo luogo, in altre parti del mondo altri casi analoghi erano già stati registrati senza scatenare catastrofismi. Il rischio che le diverse resistenze si combinino in un unico batterio dunque esiste e prima o poi si concretizzerà. A quel punto, si spera, avremo inventato nuovi farmaci. Non si tratterà solo di fortuna. Le scelte in campo farmaceutico, infatti, possono influenzare sia la diffusione di nuove resistenze agli antibiotici che la velocità con cui altri farmaci diventeranno disponibili.
Che un batterio sviluppi resistenza a un antibiotico è perfettamente naturale. Qualunque specie, sottoposta alla selezione dovuta ad un agente esterno, riaccorda il suo patrimonio genetico fino a trovare la combinazione che permette la sopravvivenza. Ogni antibiotico somministrato, dunque, rischia di trasformarsi in una «palestra» di allenamento per batteri più forti e resistenti. Perciò, è importante che tali farmaci siano somministrati solo quando servono. Una volta prescritti, poi, l’uso dovrebbe andare ben oltre la durata dei sintomi della malattia, che spesso spariscono nel giro di uno o due giorni. Occorre che la colonia batterica sia debellata del tutto affinché non abbia il tempo di adattarsi all’antibiotico e diventarne immune. Come insegna l’esperienza comune, invece, gli antibiotici vengono spesso prescritti e utilizzati in modo poco accurato.

Un’aumentata attenzione da parte dei medici e dei pazienti potrebbe però non bastare a frenare lo sviluppo di resistenze. Gran parte degli antibiotici commercializzati sono utilizzati nell’allevamento, molto spesso a scopo preventivo e non terapeutico. Nell’Unione Europea si consumano annualmente settemila tonnellate di antibiotici destinate agli animali, circa il doppio di quelle prescritte agli abitanti umani del continente. Negli Usa, entrano in commercio ogni anno quindicimila tonnellate di antimicrobici per uso veterinario e tremila per uso medico (cinque a uno). Dato che i batteri e altri microbi che infettano uomo e animali sono spesso gli stessi e le resistenze passano facilmente da un microrganismo all’altro, gli abusi di questi farmaci sugli animali sono più importanti che nell’uomo.
Farmaci poco redditizi

Dal punto di vista della risposta ai batteri resistenti siamo molto indietro. Il numero di nuovi agenti antibatterici approvati per il commercio è costantemente calato dagli anni ’80 a oggi. Ciò non significa che non vi siano nuovi farmaci in corso di sperimentazione. L’Ong statunitense Pew Charitable Trusts, infatti, ne ha contati 39. Ma si tratta per lo più di miglioramenti di farmaci già esistenti, con lo stesso problema di resistenza di quelli attuali. Nessuna nuova tipologia di antibiotici è stata introdotta sul mercato negli ultimi trent’anni. Dato che solo un farmaco su cinque in media supera tutti i test di efficacia e sicurezza ed entra in commercio, nei prossimi anni c’è da attendersi solo una manciata di nuovi principi attivi.
La ricerca di base, in realtà, suggerisce diverse alternative agli antimicrobici tradizionali. Un rapporto commissionato dal Wellcome Trust e dal ministero della sanità inglese, pubblicato alla fine del 2015 sulla rivista The Lancet – Infectious Disease, ha individuato ben 19 possibili approcci promettenti, tra cui vaccini, probiotici, antibiotici peptidici, batteriofagi geneticamente modificati. Langue, però, la traduzione dei risultati scientifici in nuove medicine.

Tra questi farmaci di ultima generazione, gli unici che potrebbero ragionevolmente entrare in commercio entro il 2025 avrebbero solo un ruolo coadiuvante o preventivo. Per gli altri, che potrebbero davvero sostituire gli antimicrobici attuali sul piano dell’efficacia, servono tempo e finanziamenti, possibilmente coordinati a livello internazionale per rispondere a un’emergenza globale. Le stime prevedono che nel 2050 malattie come tubercolosi, malaria e altre infezioni (non solo batteriche) causeranno nel mondo dieci milioni di morti ogni anno a causa della resistenza ai farmaci, in assenza di nuovi prodotti.

Gli investimenti nel settore, invece, sono bassissimi. Secondo una ricerca della London School of Economics, solo il 5% del venture capital totale tra il 2003 e il 2013 è stato destinato alla ricerca nel campo degli antibiotici. I finanziamenti pubblici non sono molto più ricchi.
Prossimi decenni in cifre

Secondo Michael J. Eichberg che dirige il Centro per la ricerca sulle malattie emergenti e trascurate dell’università di Berkeley in California, i programmi Usa e Ue per lo sviluppo di nuovi antibiotici assommano poco più di un miliardo di dollari. Altrettanti sono attesi da un apposito fondo di innovazione recentemente creato da Cina e Regno Unito. Altri due miliardi dovrebbero arrivare da una partnership tra Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’organizzazione no-profit internazionale «Drug for neglected diseases» ancora in fase di avvio.

Si tratta di cifre per ora piuttosto scarse. Per ottenere quattro nuovi antibiotici nel prossimo decennio occorrono tra i 16 e i 37 miliardi di euro, scrive in un rapporto appena pubblicato da Jim O’Neill, ex-capo economista alla Goldman-Sachs e incaricato dal governo inglese di individuare una strategia per affrontare il problema della resistenza.

Se il settore risulta assai poco appetitoso per le case farmaceutiche, dipende in gran parte dal sistema dei brevetti. In teoria dovrebbero stimolare l’attività di innovazione, garantendo a chi trova un nuovo farmaco un monopolio ventennale sul suo uso per rientrare degli investimenti in ricerca e sviluppo. Tuttavia, come spesso accade, la realtà è ben diversa.

I nuovi farmaci dovrebbero essere utilizzati con molta parsimonia per evitare di ricreare lo stesso fenomeno di resistenza, e solo laddove gli antibiotici tradizionali si dimostrassero inefficaci.

Per molti anni ancora, dunque, non dovrebbero essere usati su larga scala in sostituzione dei farmaci attuali. Dunq
ue, «le prospettive di profitto saranno poco attraenti rispetto all’investimento finché la resistenza agli antibiotici tradizionali non sarà abbastanza estesa. Ma a quel punto, i nuovi antibiotici saranno prossimi a perdere la tutela brevettuale» vanificando l’investimento iniziale, scrive O’Neill.

Condivisione dei dati

La strada maestra, dunque, consiste nel superare il sistema dei brevetti alla ricerca di un nuovo quadro legale internazionale che stimoli davvero la ricerca. Le proposte in campo si affidano quasi tutte all’intervento pubblico. O’Neill, ad esempio, propone un sistema di «premi» da assegnare a chi portasse sul mercato nuovi antibiotici. Queste ricompense dovrebbero essere abbastanza cospicue da ripagare l’investimento (circa un miliardo di dollari per ogni nuovo antibiotico) e provenire da un fondo globale finanziato attraverso una tassazione di scopo del consumo attuale di antibiotici e delle case farmaceutiche che non investono abbastanza nel settore.
Altrettanto urgente è la condivisione dei dati delle ricerche, che troppo spesso vengono custoditi gelosamente da università e case farmaceutiche, costringendo gli scienziati a ripetere ricerche già svolte da altri colleghi sprecando tempo e risorse preziose.

Idee e strategie non mancano, dunque. Gli ostacoli alla loro traduzione pratica provengono dalla scarsa capacità di mettere l’interesse pubblico al di sopra degli interessi di breve termine delle case farmaceutiche e delle politiche di austerità degli Stati economicamente più sviluppati. Ma il tempo a disposizione è sempre di meno. E potremmo farne le spese tutti.

Andrea Capocci
Fonte: www.ilmanifesto.info
30.05.2016


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Truman
Membro Moderator
Registrato: 2 anni fa
Post: 4113
 

Farmaci poco redditizi
...
Andrea Capocci
Fonte: www.ilmanifesto.info
30.05.2016

La notizia è tutta qui: Big Pharma è assetata di denaro e comincia a guadagnare troppo poco con gli antibiotici, quindi scatena una campagna di terrore per spingere nuovi business.
Tutto il resto è fuffa.

Nel caso qualcuno chiedesse dove sta il business: vaccini, genetica, biotecnologie, qui Big Fuffa cerca il denaro.


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helios
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 16537
 

Se per una donna in cui hanno trovato un batterio resistente ad antibiotici scatenano tutto questo putiferio su TUTTI i media chissà che cosa hanno in mente di fare.


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yago
 yago
Honorable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 658
 

I batteri se ne fregano delle politiche economiche ed i patogeni uccidono. La scienza finora ha avuto la meglio in questa eterna lotta alla natura, ma non è affatto scontato che continuerà a vincerla. Gli antibiotici inoltre hanno sempre avuto il sistema immunitario come potente alleato e purtroppo l'uomo sta indebolendolo con l'inquinamento. Riporre una fiducia incondizionata nella scienza significa credere che l'uomo possa dominare la natura mentre invece ne è solo una piccola parte.


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cedric
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1697
 

E se il buon batterio colifecale (quindi uno di quelli normalmente presenti nella merda umana ed animale e negli acquedotti italiani) invece che mutare "naturalmente" fosse stato mutato "artificialmente" ?

Il batterio mutato potrebbe essere stato perso da qualche laboratorio di ricerca della Pennsylvania infettando la zia della sorella del cugino della parrucchiera della pescivendola della centralinista amante del custode del garage della ditta di noleggio auto che fornisce le vetture per il trasporto della posta del....

La tesi è intrigante perchè un agente mortale che non ha antidoti costituisce un ottimo deterrente contro attacchi nucleari a sorpresa. Se tu mi tiri addosso un centinaio di missili atomici per ammazzare metà della mia popolazione allora io apro le bottiglie dei batteri e ti ammazzo tre quarti della tua popolazione (oltre a metà di quella che è ancora rimasta sul pianeta, ma questo è un dettaglio tutto sommato trascurabile)

Deterrenza è la parola magica che finora ha salvato l'umanità dalla distruzione totale.


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