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Arabia Saudita


alekxandros
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Tre mesi di lavoro in Arabia Saudita. Un warp spaziotemporale che mi ha risucchiato nel medioevo.

Nell'inconscio subliminare l'Arabia evoca cammelli, mercati di ambre e spezie, palme e datteri, raffinati profumi.

Che ci fosse qualcosa di drammaticamente storto, cominciai a rendermene conto all'arrivo: una coda di piccoli giovani bengalesi si tenevano per mano, tutti in divisa della ditta di pulizie che li mandava come schiavi moderni a servizio dei padroni sauditi. I loro volti parlavano di una vita di poverta' e sacrifici, l'unico sogno loro era barattare la propria vita per una manciata di dollari da mandare alla famiglia in Bangladesh. Un ispettore della polizia mi individua nella coda, unico bianco, e mi fa passare davanti; protesto sommessamente, poi lascio fare per non causare guai. Imparai ben presto che in Saudi devi lavorare, rigare dritto e chiudere il becco; tutto e' blindato e nessun saudita vuole mettere in discussione il loro modello di sviluppo e la loro dipendenza dal petrolio. Di fatto, nessun saudita vuol sapere quello che pensi, vogliono solo che tu li assecondi e soddisfi i loro desideri.

E' un popolo che ha sempre tenuto schiavi, il 20% della popolazione lo era, una volta erano eritrei e sudanesi, poi nel 1962 la schiavitu venne abolita e sostituita con l'importazione di lavoratori poco qualificati soprattutto da India, Bangladesh, Pakistan e Filippine. Circolano bruttissime storie di ragazzine indiane "comprate" e sparite per sempre, di filippine scappate dal loro "padrone" e che vivono - e tremano - in clandestinità; quanto siano vere, non so; ma è chiaro che qui, in una società fortissimamente machista, le donne immigrate sono di gran lunga le più vulnerabili.

Immigrati sono tutti i lavoratori dei servizi; tassisti sauditi sono pochissimi, e in breve imparo che sono da evitare; cercano spesso di fregarti sul prezzo, guidano come al grand prix, avverto in loro violenza e arroganza. La storia dietro questi immigrati e' quasi sempre la stessa: famiglia numerosa, necessita' di mantenere figli o fratelli all'universita', sogno di tornare un giorno a casa e comprare una casa, un ritorno a casa ogni 3 anni, quasi tutti hanno lasciato la moglie al paese perchè una donna in Arabia fa una vita da talpa. Uno si vende un pezzo di vita - quasi come vendersi un rene - per una illusione di un futuro migliore, per un dovere verso la famiglia.

Belli più di tutti sono i Pashtun, vengono dalle zone del Pakistan verso la frontiera con l'Afghanistan, da luoghi resi celebri dai racconti di Gino Strada... Peshawar... sono alti, forti, fieri nelle loro barbe curate e nei loro costumi, sembrano tutti il ritratto del comandante Massoud, sono calmi e gentili, odorano ancora di una civiltà di nomadi e pastori, fatta di mucche e di solidarietà di villaggio. Come fanno a sopravvivere in questo inferno di cemento. Come fa chi non era già stato prima globalizzato, violentato, piallato, brutalizzato, ad accettare così la distruzione di ogni vincolo con la comunità e con l'ambiente. Forse solo la religione e una piccola comunità di immigrati dallo stesso paese li tiene lontani dal suicidio.

L'idea che la vita serva ad essere felici, a realizzare i propri sogni, non li sfiora neanche. Quando chiedo loro di parlarmi della loro terra, evitano l'argomento, e imparo a non fare piu questo tipo di domanda; il dolore della nostalgia sarebbe terribile, meglio cicatrizzare la ferita dello sradicamento con una ciste di oblio. Fare domande sulla terra e' come grattare la crosta, fa sanguinare. Meglio domandare della famiglia, questo riconferma il significato del proprio sacrificio e anima i cuori. Qualcuno ha pure pagato ingenti somme per ottenere un visto per l'Arabia, la famiglia si è indebitata per mandare la vittima al sacrificio. E sono fortunati quelli che ce la fanno.

Quasi sempre i filippini quando sanno che sono Italiano mi implorano di aiutarli a trovare un lavoro in Italia, o ottenere un visto per l'Italia. Implorare e' la parola adatta, esplorano tutte le possibilita, non mollano finche ho risposto piu e piu volte negativamente a tutte le domande. si vede che sognano l'Italia giorno e notte, quasi tutti hanno familiari in Italia e tutti felicemente sistemati in un paese libero e tollerante - si fa per dire, tutto è relativo - mentre loro sono prigionieri di un paese fascista. Faccio uno sforzo per restare indifferente, ma il loro dolore e struggimento entra dentro e lascia il segno. E' come visitare una prigione e le mani dei condannati da dietro le sbarre si aggrappano a te perchè li porti via con loro, verso il sole e la libertà, una felicità lontana e impossibile quasi dimenticata nel logorarsi quotidiano della prigionia. Ricordo di una poesia studiata a scuola, Paul Eluard... Sur la jungle et le désert, Sur les nids sur les genêts, Sur l'écho de mon enfance, J'écris ton nom... Liberté. A pochi e' dato di vivere una vita normale, alzarsi ogni giorno in un paese libero, in pace, con la pancia piena e' una cosa di per se straordinaria che non dovremmo dare per scontata.

Le filippine danno una caccia spudorata ai maschi europei, basta che respiri e che ci sia una anche solo remota possibilita che ti porti via di la. E' un triste spettacolo ma probabilmente farei anch'io lo stesso al loro posto. Queste donne sono eroiche, la vita di una donna in Arabia e' drammatica, sono continuamente soggette ad assedio sessuale da tutti, perche fare sesso con una saudita e' estremamente pericoloso per cui tutti, locali e immigrati, si rivolgono alle filippine che comunque hanno fama di preda facile, il tiro al piccione. Le infermiere confessano di non avventurarsi mai fuori dalle mura dell'ospedale, mi mormorano storie di donne rapite, violate e sepolte nel deserto. Ricordano gli Eloi della Macchina del Tempo di H.G. Wells, mangiati dai Morlocks.

Viviamo in una nazione in cui una donna sorpresa in adulterio viene pubblicamente lapidata a morte. In generale le condanne a morte vengono condotte in pubblico, e i pochi arabi con cui ho ragionato sul tema ne sembrano entusiasti - bisogna dare il buon esempio, dicono, punirne uno per educarne cento. Ricordo un giorno in cui in Ciad tre ladroni vennero fucilati in pubblico da un plotone di soldatini ubriachi, la citta intera si riverso in piazza ad ubriacarsi del sangue e della disgrazia altrui, anestetico per le proprie sofferenze. Anche i miei colleghi laureati erano estasiati dallo spettacolo. Mi raccontano di un occidentale che venne trascinato in prima fila ad assistere ad una esecuzione per decapitazione, e si trovò inondato di sangue: per fare in modo che il condannato prima di morire vedesse la faccia di un infedele, supremo affronto. Un pensiero molto carino.

I gatti sauditi sono una cartina tornasole del mondo saudita. Cani non ce ne sono, i musulmani li considerano impuri perche si leccano i genitali. Ma gatti in giro ce ne sono, sono magri ispidi e spiritati,sporchissimi e arruffati, scappano terrorizzati quando si avvicina un umano, sembrano tutti usciti da un girone dantesco, come afflitti da un post traumatic stress disorder cronico. Uno ha la coda mozzata, dopo molti Kitekat riesco a vincere il suo orrore per gli umani, ma ogni volta che lo accarezzo freme di paura. Un altro si trascina sulle zampe davanti, la schiena spezzata, gli arti posteriori paralizzzati probabilmente da una automobile che gli è passata sopra: caro amico gatto, hai pagato cara la tua avventura saudita, per te non c'e' ritorno; volevo dargli un po' di Kitecat per lenire l'estremo affronto, fargli capire che almeno da qualche parte esiste l'amore, e che forse la luce di quell'amore lo può accompagnare nella sua strisciante esistenza ed illuminare i suoi più bui momenti; che c'e' qualcuno che partecipa del suo dolore, che non e' completamente solo nel suo dramma, che esiste un dio minore misericordioso anche verso i gatti... ma al momento l'avevo finito. Disdetta. Quando arrivai in Egitto, mi colpirono i gatti del Cairo, pasciuti, si
curi di sè, ti passano vicino con nonchalance, segno che l'umanità attorno gli è benevola e tollerante.

Riyadh e' un perfetto esperimento di laboratorio di coltivazione in vitro del batterio consumistico ed energivoro americano: si prenda un popolo nomade, quindi con scarse difese immunitarie alla demenza urbanistica moderna. Lo si inondi improvvisamente di energia e denaro, e si usi come catalizzatore il modello di vita americano. Si vedra come questo popolo, prima fluido, cristallizzerà sedentario riproducendo all'infinito lo schema del DNA urbanistico americano: shopping centers, parking lots, highways, uguali all'infinito, sempre ugualmente orrido e becero, un oceano di automobili in un mare di cemento. Le gambe ridotte a goffe appendici per il controllo di freno e acceleratore, la camminata si fa dondolante per mancanza di coordinamento motorio. Gli umani si circonderanno di una nuvola di gadgets elettronici, secerneranno corazze di automobili di lusso, di camions da 2 tonnellate, tanto la benzina e' quasi gratis. Non esistono attraversamenti pedonali, nessuno cammina per strada tranne qualche buon selvaggio indiano - grande India, ultimo baluardo di civiltà contro la marea del consumismo.

I sauditi sono il popolo al mondo che fa piu incidenti stradali mortali - nell'eccitazione causata dall'eccesso di energia, si dimenticano dei limiti che madre natura ci ha dato. E', comunque, molto evidente il ruolo dominante che gli Americani hanno avuto nel forgiare questo paese, sia dal punto di vista politico che economico e urbanistico. Penso che peggio di così non potevano fare. O forse si, ma ci arriveremo, dategli tempo. Dal punto di vista democratico, tutti dicono "questo è un paese libero, puoi fare quello che vuoi, basta che non parli male del re". E in genere di politica non si parla, tranne deprecare genericamente la guerra in Iraq e l'arroganza americana, ma parlare di come la CIA influenza i paesi arabi è assolutamente tabù.

Gli asiatici si adattano a vivere nel deserto metropolitano, dimostrando una filosofia di vita piu aperta ai cambiamenti e più adattabile all'ambiente della nostra. Gli Occidentali invece si asserragliano dentro delle specie di caserme dette Compound, circondati di filo spinato, cingolati con mitragliatrice, guardie di sicurezza che non servono a nulla. E' una prigione dentro all'immenso carcere a cielo aperto che è questo paese, e ci si sente ancora più dolorosamente isolati, segregati e lontani dalla societa civile. Non bastano i comforts tipo piscina e palestra a renderlo un luogo piacevole; siamo tutti comunque mercenari sradicati. Anche noi abbiamo venduto un pezzo della nostra vita per denaro.

I muezzin alle 5 di mattina iniziano una litania incessante di preghiere, ogni minareto ha un décalage di qualche minuto da quelli adiacenti, per cui la litania dura in eterno. Parlerei più a lungo della religione, ma ho francamente paura di ritorsioni per cui dico l'essenziale. Quant'era più bello l'induismo, con la sua glorificazione del creato e delle creature, i loro riti varipinti e fantastici, i loro templi una orgia di sensualità. Come sono geometrici e freddi i templi islamici, dove ogni rappresentazione della natura e degli animali è bandita; tutto è geometria, o complicati arabeschi. Peccato, ero venuto con la ferma intenzione di imparare l'arabo e di conoscere l'Islam, ma dopo un pò lascio perdere. Alcune cose le ho conservate, tipo dire "as salam aleikum" (la pace sia con te) e "Inshallah" (se dio vuole), le trovo cose belle.

I miei colleghi mi dicono "ma guarda che l'Islam è un parente stretto del Cristianesimo, noi riconosciamo in Gesù un profeta", e io gli chiedo "ma allora se siete tanto ecumenici perchè chiamate 'infedele' chi non è musulmano?", e lì balbettano qualche scusa poco convincente. Al lavoro ci sono frequenti pause per la preghiera, precedute da un richiamo degli altoparlanti. Ci vanno tutti a pregare, sospendendo ogni attività. A me la cosa non dispiace, in fondo fa un bel contrasto con il modo occidentale di vivere, strenuamente volto alla produzione e al consumo, e poi le preghiere islamiche fanno molto bene alla schiena, aumentano la flessibilità dei giunti. Peccato che a pregare ci sono solo uomini, anzi in tutta l'azienda, 30mila dipendenti, non c'è nemmeno una donna.

Le donne vivono una vita di semi-prigionia dorata, assistite da una serva filippina nelle faccende di casa; non possono guidare, che vuol dire che non possono andare da nessuna parte dato che non esistono neanche mezzi pubblici in Riyadh. La sera le portano a... direi a pascolare se non suonasse offensivo...nei centri commerciali, dove godono di un paio d'ore di aria, sempre chiaramente sotto stretta sorveglianza. Sono creature affascinanti, di cui si intravedono solo gli occhi e le mani curate; un pò mi fanno pena, un pò rabbia perchè si sono rassegnate a vivere in un carcere dorato, e comunque sono tremendamente razziste verso le donne non arabe, soprattutto verso le asiatiche che considerano bestie da soma. Vittime, e carnefici a loro volta; ma in fondo lo siamo tutti. Io sto accuratamente alla larga da loro, quando si avvicina una io scappo, l'ultima cosa che voglio per me è essere accusato di tentare di adescare una donna e passare 5 anni in carcere, qui la giustizia è amministrata da un tribunale religioso. L'immagine della donna è rigorosamente censurata, anche in farmacia sui prodotti di importazione che ritraggono il viso di una donna è apposto un bollino di censura; in TV i volti femminili vengono sfuocati; in genere a volto scoperto, ma pur sempre coperte di mantelloni neri, vanno sono le adolescenti o le straniere. Arrivato in Egitto, rimasi sconvolto al vedere ragazze in blue-jeans - pur coperti i capelli da un velo: in Arabia quei jeans sarebbero costati loro il carcere.

Dal lavoro mi buttano fuori presto, credo più che altro perchè non tollero l'autoritarismo del capo progetto - che sembra voler condurre il team come in una scuola coranica dove lui è il maestro - con licenza di fustigare pubblicamente gli allievi sorpresi in difetto. Ricordo le scuole coraniche in Ciad, un gruppo di ragazzini impauriti, rapati a zero, che recitano tutti assieme in un'assordante confusione i versetti del Corano; mentre il maestro va in giro con un frustino e picchia i meno zelanti - o forse picchia tutti, indistintamente. Io educato all'individualismo anarchico, alla creatività e al libero pensiero proprio non mi adatto al fare sottomesso dei miei colleghi.

Arrivato all'aeroporto, risulta che il visto era scaduto... altri 5 giorni di passione, correndo da un commissariato a un ufficio per farmi rinnovare il visto... una interminabile serie di intoppi burocratici, di gente che non vuole stare ad ascoltarmi... per un attimo penso che non riuscirò mai ad andarmene di lì... bravissimi al consolato Italiano che mi offrono conforto spirituale, altro non possono fare... ma mi consola moltissimo il pensiero che, male che vada, posso sempre gettarmi dalla cima del Kingdom Tower, il grattacielo più alto dell'Arabia, per riconquistare la liberta... che alla fine, a meno che mi incatenino e mi nutrano con flebo, nessuno può costringermi a vivere in una prigione. Qualcuno disse che puoi togliere a un uomo la libertà del corpo, chiudendolo in una prigione, ma la libertà dell'anima, del pensiero non gliela toglierai mai. Io, valdostano, nato libero di correre sulle montagne sospeso fra cielo e terra, attraversando foreste e valicando torrenti, non potrei mai tollerare la prigionia nè del corpo nè dell'anima. Come sa la volpe che, presa in una trappola, si trancia la zampa a morsi pur di sfuggire, pur sapendo che senza zampa non potrà mai sopravvivere: libertà ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta.

Ora sono di nuovo in terra d'Occidente, la preghiera delle 5 non mi sveglia più al mattino.... un pò mi vengono in mente le ultime parole de "La tregua" di Primo Levi....paura che la libertà sia solo un sogno, e che domattina mi risveglierò al solito grido....

link:

http://aroughride.blogspot.com/2008/06/distopie-petrolifere.html

http://petrolio.blogosfere.it/2008/06/liberateli.html


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