DA TALLINN A BUDAPEST CONTRO I COMUNISTI E' GUERRA ALLE STATUE
Due ondate, che potrebbero trasformarsi in uno Tsunami si stanno muovendo in Europa. Forse, chissà? Effetto indotto dei discorsi di Putin assai poco graditi (a Washington e Londra, oltre che a Varsavia, Vilnius, Tallinn, Budapest e Praga). O forse non c'entra la cronaca e rientra in campo la storia e il desiderio di rivalsa.
Tallinn ha dato il via, smontando il monumento ai caduti russi della grande guerra patriottica, che gli estoni sentono (ma non tutti) come un'occupazione. Ed è vero che molti estoni, all'epoca, si arruolarono nella famigerata ventesima divisione delle SS. Preferivano essere occupati dalla Germania nazista e parteciparono volentieri ai pogrom antiebraici. Smontano i monumenti anti-nazisti ed elevano monumenti ai loro eroi nazisti, quelli che considerano i veri liberatori, con il governo che chiude un occhio. La storia ha però lasciato in Estonia quasi trecentomila cittadini di etnia e lingua russa.
La soluzione che il governo di Tallinn ha provato è stata di non dargli la nazionalità. O, meglio, per non turbare i rapporti con l'Europa, di cui ora fanno parte, di dargliela con il contagocce. Ma trecentomila su meno di un milione e mezzo di popolazione è una bella cifra, che produce la singolare conseguenza di migliaia di cittadini europei privi di ogni cittadinanza nazionale. L'attenzione era già alta. Non si poteva evitare di giocare col monumento? I sondaggi dicevano peraltro che solo il 37% degli estoni lo chiedeva. Dunque non c'era fretta. Ma si è preferito dargli una lezione, ai russi, violando perfino la convenzione di Ginevra del 1947, con annesso protocollo del 1977, che prescrive l'intangibilità dei monumenti funebri dei caduti in tutte le guerre.
Saggi furono coloro che scrissero quelle righe. Avevano previsto che qualcuno avrebbe cercato di fare di quelle tombe strumenti di provocazione e di rivalsa. Risultato: gravi disordini a Tallinn, un morto, forse due, e tensione altissima attorno all'Ambasciata estone a Mosca. Dove in questi giorni si sono ripetute le manifestazioni e l'ambasciatrice è stata ieri accompagnata alla stazione. Mosca sta reagendo duramente. Da ieri ci sono lavori in corso sulla linea ferroviaria che collega Tallinn a San Pietroburgo. E dove passeranno le merci che collegavano Russia ed Estonia? Brutta storia. E, in questo caso, chi ha soffiato sul fuoco è stato il piccolo Davide estone e non il grande Golia russo. Se ne è preoccupata anche la presidenza spagnola dell'Osce, che ieri ha espresso «profonda inquietudine» e invitato Russia ed Estonia, entrambi membri dell'organizzazione, a «mostrare moderazione» e a risolvere la crisi «con dialogo e cooperazione».
Il ministro degli esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, presidente in carica dell'Osce, ha definito «profondamente inquietante che manifestazioni inizialmente pacifiche si siano trasformate in incidenti e poi in una crisi grave fra stati membri dell'Osce». Quasi in sincronia, nel cimitero kerepesi di Budapest, sono spariti i resti dello storico leader comunista ungherese Yanos Kadar, e quelli della moglie, che gli stavano accanto. Sul monumento ai caduti comunisti nello stesso cimitero gli esterrefatti funzionari di polizia hanno trovato la scritta: «Assassino e traditore non riposerai in terra santa». Qui i russi non c'entrano, e c'entrano i comunisti. Le autorità condannano ed esecrano, ma certe cose succedono in certi climi politici.
Il problema è chi li fa nascere e chi li alimenta. E i comunisti c'entrano anche in Polonia, dove i fratelli Kaczynski hanno fatto partire, con qualche anno di ritardo ma con grande zelo, quella che chiamano la «Lustrazya». Tutti i funzionari pubblici, in altre parole, devono firmare una dichiarazione in cui testimoniano di non aver mai collaborato con i servizi segreti comunisti. Sono quasi settecentomila persone che dovranno giurare fedeltà democrazia dei fratelli Kaczynski, come in Italia chiese il fascismo. Con qualche successo, visto che in Italia i professori universitari che rifiutarono di firmare furono soltanto dodici.
A Varsavia ne ha fatto le spese perfino l'ex ministro degli esteri del primo governo di Solidarnosc, Bronislaw Geremek, che, essendosi rifiutato di compilare il modulo, è stato niente meno che del suo mandato di parlamentare europeo. L'indignazione a Bruxelles è stata quasi unanime con l'eccezione dei fascisti (quelli italiani in prima linea). Doppie minacce di crescere. E adesso proviamo a immaginare cosa pensano i russi dell'Oltre Dnestr, gli abkhazi di Sukhumi, gli osseti di Tzkhinvali, che parlano russo e si sentono figli della Russia. Se Mosca li abbandona saranno trattati come a Tallinn. E combatteranno per non finire in quella situazione. Ma, con l'aria che tira, Putin non li abbandonerà di certo.
Giulietto Chiesa
Fonte: www.giuliettochiesa.it
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(La Stampa - 4-5-07)