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Fidel Castro: un leader politicamente scorretto


cubainforma
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Iroel Sánchez cubainformazione.it

È stata così innascondibile l'impressionante reazione di dolore ed impegno del popolo cubano per la morte di Fidel che alcuni media si sono dedicati ad interpretarla e svalutarla per poi vendere l'idea di un paese minato dall'incertezza e dallo scoraggiamento, "senza riferimenti". La diagnosi e dietro la profezia che desiderano si autoavveri: "Cuba è così congelata nel tempo che qualsiasi cambiamento arrivi, dovrà essere brusco per essere efficace".
Perfino nella psicologia hanno cercato spiegazioni. Si è detto -e scritto- che il modo in cui hanno reagito i cubani non è razionale, che obbedisce ad una "sindrome di Stoccolma" si è falsamente suggerito che il lutto, è obbligato perché "se qualcuno beve alcol o ascolta musica in auto o in casa, gli danno una multa equivalente a $ 50", e si è focalizzata l'immagine del dolore causato dalla partenza del Comandante in "molti anziani/e", come se non fossero i giovani quelli che iniziarono lo slogan "Io sono Fidel" e li gridarono, fragorosamente, nell'omaggio di Piazza della Rivoluzione.
Considerando i cubani/e come se stessi, i giornalisti inviati a L'Avana per coprire il funerale di Fidel cercano nelle ragioni materiali -allusioni a pentole per il riso e frigo- ciò che per loro è invisibile. Se cercassero un poco nella storia di Cuba per sapere chi i cubani hanno venerato capirebbero la verità. Si accorgerebbero di Antonio Maceo, che con un pugno di uomini e, dopo una guerra devastante non accettò una pace senza indipendenza e abolizione della schiavitù, di José Martí che più che offrire ai lavoratori emigrati andò a chiedere -e ottenne da loro- un giorno di salario al mese per armare i liberatori di Cuba, di Antonio Guiteras che quando gli ambasciatori USA comandavano in America Latina ebbe il coraggio di espellerne uno dal suo ufficio, o Jesus Menendez che impose ai monopoli USA un accordo unico nella storia a beneficio dei lavoratori dello zucchero. Naturalmente, nessuno di questi riferimenti è stato trasmesso attraverso i mezzi di comunicazione né si costruì attraverso i ben pagati editorialisti del dollaro.
Forse nelle menti dei cubani che danno un emozionato addio al suo leader non vi è un ricordo di qualcosa di materiale ma vittorie che ottennero insieme a Fidel come il ritorno dei Cinque prigionieri antiterroristi ingiustamente condannati negli USA o la restituzione di Elián González, a quelli che contro il senso comune, il Comandante, assicurò avrebbe portato indietro.
E' che guardandosi in uno specchio, cercando il clientelismo, i politicanti e la demagogia in uso in società che vogliono servire da esempio a Cuba non ci si incontra con il Fidel che ammira il popolo cubano.
Gli ultimi pronunciamenti del Comandante furono, come sempre, politicamente scorretti. "Non mi fido della politica degli USA", ha detto nel gennaio 2015; "fratello Obama", chiamò ironicamente il presidente USA per mettere a nudo le intenzioni della sua visita a Cuba e dirgli, con un degno gesto degno di Maceo "non abbiamo bisogno che l'impero ci regali niente", e nel suo ultimo discorso ha confermato il suo status di comunista. Non è stato ambiguo o equidistante, sempre prese partito, è stato radicale, "estremista" direbbe qualcuno, come Martí, Maceo, Guiteras, e Menendez, e perciò sta insieme a loro nel cuore dei cubani, perché ottenne ciò che portò quelli a dare la vita.
Cosa ringraziano, allora, i cubani quando salutano il Comandante? Diciamolo non con le parole di un rivoluzionario, ma con quelle di un detrattore che in un atto di onestà che gli costò terminare un'intervista su una radio dell'estrema destra spagnola, ha detto quello che tutti coloro che hanno reso omaggio al Comandante, in questi giorni sa, benissimo "Quando arrivò Fidel trionfò ed convertì un paese da marionetta, di prostitute, giocatori d'azzardo e di nordamericani e lo convertì in una delle nazioni più importanti del mondo."


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