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Francia e Germania hanno firmato un patto con l’Ucraina per armarla per altri dieci anni


dana74
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Venerdì 16 febbraio il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky è volato a Berlino e a Parigi per firmare due accordi di sicurezza bilaterali in linea con il vertice NATO tenutosi a Vilnius nel 2023. Entrambi i patti, secondo i quali Germania e Francia invieranno all’Ucraina miliardi di euro, avranno una durata di dieci anni e prevedono la collaborazione in diversi settori dal campo bellico a quello dell’intelligence fino ad arrivare agli aiuti civili e umanitari. Le firme arrivano in un momento difficile per Kiev che sta perdendo sempre più terreno nella propria campagna militare contro la Russia e che nell’ultimo periodo ha vissuto non poche difficoltà nel convincere i propri alleati, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, a continuare a inviare aiuti: di fronte a degli USA sempre più restii nel mandare armi e denaro all’Ucraina e a una Unione Europea ormai vicinissima alle elezioni, i patti portati avanti da Francia e Germania potrebbero essere ben più determinanti di quello che sembrano e aprire la via a un maggior numero di negoziati bilaterali nel caso in cui alle prossime europee la destra nazionalista e conservatrice meno nettamente schierata al fianco di Kiev dovesse popolare il nuovo Parlamento.
 
L’accordo con la Francia è diviso in sette diversi titoli comprese introduzione e disposizioni finali, e contempla l’invio di 3 miliardi di euro a supporto della causa ucraina da spendere nella produzione di armamenti, nel contrasto alla Russia, in progetti di cooperazione ed esercitazioni militari congiunte, e nelle sfere civile e umanitaria. Nelle linee generali, esso prevede che la Francia fornisca “assistenza militare e civile per permettere all’Ucraina di difendere la sua sovranità, la sua indipendenza e la sua integrità territoriale davanti all’aggressione della Federazione Russa”, e che aiuti a “costruire le capacità militari, la resilienza e la capacità economica ucraine per disincentivare una futura aggressione”. Il patto prevede anche sostegno nel campo di intelligence e contro-intelligence, cybersecurity e comunicazione strategica col fine di “contrastare l’interferenza e la manipolazione di informazione” russe, nonché una implementazione dei sistemi di protezione delle infrastrutture critiche. Nell’accordo si legge anche che i due Paesi avvieranno un progetto di cooperazione nella produzione di armamenti, che Parigi continuerà comunque a inviare a Kiev fornendo assistenza “prioritaria, ma non limitata a: difesa aerea, artiglieria, armi a lunga gittata, veicoli corazzati, capacità di velivoli”. Il supporto della Francia si estenderà anche sul canale diplomatico, infatti Parigi si impegna a facilitare l’ingresso dell’Ucraina nell’UE e nella NATO dando anche una mano a Kiev ad attuare le riforme necessarie a soddisfare i requisiti di ingresso, mentre da parte Ucraina il sostegno sarà militare, tanto che è previsto che essa difenda la Francia in caso di aggressione esterna.
 
Il patto con la Germania è sotto certi punti di vista analogo a quello con la Francia, e conta 7,1 miliardi di euro in aiuti militari da parte di Berlino. Se dal punto di vista militare gli aiuti sono rivolti agli stessi settori a cui si rivolgono quelli francesi, nel campo più strettamente economico e di “ricostruzione”, nonostante l’estrema generalità con cui vengono descritti gli eventuali investimenti tedeschi, l’accordo con la Germania sembra essere più mirato. Esso, nello specifico, cita una “intensificazione della cooperazione in aree come l’industria della costruzione, la cybersecurity, la trasformazione digitale/Industria 4.0, l’industria chimica, l’ingegneria elettronica/elettrica, l’ingegneria energetica, l’agricoltura, l’ingegneria meccanica, l’industria di armi e l’energia verde/a idrogeno”. Sebbene non siano del tutto chiari gli investimenti che verranno condotti su suolo ucraino, sia il patto francese sia – e anzi da quel che pare in maggior misura – quello tedesco sembrano mettere sul piatto anche interessi di natura economica, industriale e ingegneristica.
 
Visto il periodo di grande difficoltà per l’ucraina questi due accordi bilaterali potrebbero inaugurare una stagione di aiuti individuali e patti con i singoli Paesi. Il momento è infatti certamente delicato per Kiev. Tra dicembre e gennaio gli USA, che hanno da poco presentato un inaspettato piano per sostenere l’Ucraina, non sembravano più intenzionati a inviare pacchetti di finanziamenti a Kiev e anche l’Europa ha bloccato i propri fondi con il veto di Orban, scioltosi solo qualche giorno fa. Nello stesso discorso di inizio anno Zelensky chiedeva ai propri alleati più denaro e più armi, e qualche giorno fa ha annunciato un ingente rimpasto dei vertici militari, cacciando il capo delle forze armate, a dimostrazione del fatto che la guerra in Ucraina non sta volgendo come previsto. A riprova di ciò, è arrivata la notizia che questa notte le truppe di Kiev si sono ritirate da Avdiivka, secondo molti analisti una delle città strategicamente più importanti del Paese, conquistata dalla Russia dopo giorni di assedio. Il tempismo con cui Zelensky ha firmato i patti con Germania e Francia non può in questo contesto che apparire come una prova del fatto che gli aiuti arrivati finora non bastano, e che l’Ucraina sta perdendo la guerra.
 
[di Dario Lucisano] 18 Febbraio 2024 - 10:00
 
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La Danimarca consegnerà TUTTA la sua ARTIGLIERIA all'Ucraina - Primo Ministro Frederiksen

Lei ha anche osservato che gli europei non dovrebbero aspettare lo scoppio della crisi per accettare i finanziamenti per le forniture da parte degli Stati Uniti alle Forze armate ucraine. video al link https://t.me/databaseitalia/9648

 

FINLANDIA, APRONO PIÙ POLIGONI DI TIRO PER DIFENDERSI DALLA RUSSIA

Laddove non arriva il potere dei militari può iniziare quello dei civili.
 
In Finlandia infatti, presi da un profondo allarme russofobo, il governo ha escogitato un piano davvero originale. In sostanza si tratta di aprire 300 nuovi poligoni di tiro per invogliare la popolazione a imparare a sparare e a maneggiare armi.
 
Si spera così che il tiro con armi da fuoco nel Paese nordico – che l’anno scorso è diventato il nuovo membro della NATO e che condivide un confine di 1.330 km con la Russia – possa diventare popolare quanto il calcio o l’hockey su ghiaccio.
 
Ci sono circa 670 poligoni di tiro in Finlandia, rispetto ai circa 2.000 dell’inizio del secolo. Entro il 2030, il governo prevede di aumentare il numero a circa 1.000.
 
Jukka Kopra, deputato del partito della Coalizione Nazionale e presidente del comitato di difesa finlandese, ha dichiarato al Guardian: “L’attuale governo mira ad aumentare il numero di poligoni di tiro in Finlandia da circa 600-700 fino a 1.000. Ciò è dovuto al nostro modello di difesa, che trae vantaggio dal fatto che le persone acquisiscano e sviluppino le proprie capacità di tiro da sole”.
 
Dopo l’inizio dell’operazione in Ucraina da parte della Russia, la popolarità dei corsi di formazione volontari volti a insegnare ai riservisti e ai civili come difendere la Finlandia è raddoppiata. C’è stato anche un forte aumento nel numero di finlandesi che richiedono licenze per armi da fuoco.
 
Dal 30 novembre 1939 al 13 marzo 1940 la Finlandia e l’Unione Sovietica furono impegnate in una breve ma sanguinosa guerra, che i sovietici speravano di portare a termine in poco tempo ma che invece costò un numero di vittime molto elevato, anche grazie alla tenace resistenza dei finlandesi e alle avverse condizioni climatiche.
 
Le ostilità cessarono nel marzo 1940 con la firma del Trattato di pace di Mosca in cui la Finlandia cedette il 9% del suo territorio all’Unione Sovietica. Tornando al presente, l’anno scorso l’associazione finlandese per l’addestramento e la formazione alla difesa MPK ha organizzato 116 giornate di formazione, un aumento significativo rispetto agli anni precedenti quando di solito erano circa 50.
 
Un portavoce del ministero della difesa finlandese ha detto: “Le procedure di autorizzazione ambientale e la legislazione relativa ai poligoni di tiro saranno semplificate. L’obiettivo per il numero di poligoni di tiro all’aperto sarà di circa 1.000 entro la fine del decennio. L’obiettivo sarà quello di stabilire un numero sufficiente di poligoni di tiro e tattici in tutto il Paese”.
 
Insomma, se non si possono armare abbastanza i militari, si equipaggiano i civili con armi e corsi di tiro. In questo modo la Finlandia spera di contenere la possibile minaccia russa, che al momento però vive più nelle fantasie di chi governa il Paese che nella concreta possibilità che Mosca invii le sue truppe verso Helsinki.
19 Febbraio 2024 - Edoardo Gagliardi
 

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dana74
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per forza, gli usa devono dare più armi e soldi ad Israele, tutto per loro, per la cancellazione del popolo palestinese

https://www.lindipendente.online/2024/02/19/gli-usa-a-fianco-del-massacro-di-gaza-nuove-armi-e-protezione-allonu-per-israele/

Gli USA a fianco del massacro di Gaza: nuove armi e protezione all’ONU per Israele

Nonostante l’amministrazione statunitense abbia sollecitato più volte il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a tutelare i civili palestinesi e il presidente Joe Biden abbia addirittura dichiarato recentemente che «la risposta di Israele a Gaza è stata esagerata», gli USA continuano di fatto a sostenere pienamente Israele sia in sede ONU sia attraverso nuovi aiuti bellici. Proprio ieri, l’ambasciatrice americana presso le Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, ha avvertito che, se la risoluzione per un cessate il fuoco umanitario a Gaza proposta dall’Algeria dovesse essere votata questa settimana al Consiglio di sicurezza così come è stata redatta, gli Stati Uniti non l’approverebbero esercitando il loro diritto di veto. L’ambasciatrice ha spiegato che gli Stati Uniti starebbero lavorando a un accordo tra Israele e Hamas che prevederebbe il rilascio degli ostaggi e una pausa nei combattimenti per almeno sei settimane. «Crediamo che questo accordo rappresenti la migliore opportunità per riunire tutti gli ostaggi alle loro famiglie e consentire una pausa prolungata nei combattimenti […] La risoluzione presentata dal Consiglio di Sicurezza, al contrario, non raggiungerebbe questi risultati», ha affermato. Si tratta di un avvertimento che arriva dopo l’approvazione da parte del Senato americano di un nuovo pacchetto di aiuti da più di 95 miliardi di dollari che include fondi per Israele, insieme a risorse per l’Ucraina, Taiwan e aiuti umanitari per la Striscia di Gaza.

Il nuovo pacchetto è stato votato martedì al Senato e dovrà ora ottenere la maggioranza della Camera per essere approvato in via definitiva. Cosa non scontata considerati i contrasti tra Democratici e Repubblicani per quanto riguarda gli aiuti all’Ucraina: alla Camera i repubblicani hanno una maggioranza di sei voti e diversi di loro sono contrari al nuovo invio di armi a Kiev. Per quanto riguarda gli aiuti a Israele, invece, c’è maggiore unanimità al Congresso: il Wall Street Journal ha rivelato che l’amministrazione americana prevede di inviare armi allo Stato ebraico per un importo stimato di decine di milioni di dollari, nonostante gli USA stessi insistano per un cessate il fuoco temporaneo a Gaza. Le forniture comprenderebbero circa un migliaio di bombe MK.82, sistemi KMU-572 per la precisione delle bombe stesse ed altro. Il piano è tuttavia ancora in fase di revisione interna e potrebbe cambiare prima di essere inviato in Commissione al Congresso per la definitiva approvazione. La comunicazione di Washington appare, dunque, nettamente in contrasto con le sue decisioni operative: mentre infatti Biden critica pubblicamente Netanyahu, nei fatti continua a fare pressioni sul Congresso per inviare armi e munizioni a Israele: secondo Bloomberg, Washington alla fine di ottobre ha consegnato a Tel Aviv 36.000 proiettili per i cannoni da 30 mm, 1.800 munizioni per i lanciarazzi M141 e almeno 3.500 dispositivi per la visione notturna.

Considerata la discrasia tra parole e fatti, dunque, quella della Casa Bianca sembra una strategia di comunicazione elettorale in vista delle presidenziali di novembre, tesa a “tranquillizzare” quella parte dell’elettorato democratico critico nei confronti della campagna militare israeliana. Un’azione di facciata, dunque, resa necessaria anche dal crollo dei consensi verso Biden: un recente sondaggio del New York Times, infatti, ha evidenziato un crescente disaccordo tra gli elettori democratici e le politiche di Joe Biden, riguardo al conflitto tra Israele e Hamas. Su circa 1000 intervistati, il 57% critica la gestione del conflitto da parte dell’amministrazione USA, mentre solo un 33% la supporta. Sorprendentemente, il 46% considera Trump più affidabile per risolvere la situazione in Medio Oriente, contro il 38% che predilige Biden.

Nei fatti, gli USA continuano ad inviare armi e a porre il veto all’ONU sulle risoluzioni che chiedono un cessate il fuoco: già ad ottobre – e successivamente a dicembre – Washington aveva bocciato tali risoluzioni e l’ambasciatrice Thomas-Greenfield aveva giustificato la decisione dicendo che erano in corso trattative diplomatiche portate avanti dagli Stati Uniti. Tuttavia, dopo quattro mesi, il lavoro diplomatico millantato dagli USA non ha sortito alcun risultato concreto per quanto riguarda l’interruzione dei combattimenti. Al contrario, la campagna bellica israeliana prosegue con sempre maggiore intensità: le forze israeliane hanno continuato le operazioni di sgombero nella città meridionale di Khan Younis e nella zona centrale della Striscia di Gaza. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha dichiarato ieri che la Brigata Khan Younis di Hamas è stata “sconfitta e non funziona in alcun modo come entità militare”. Nella zona centrale dell’enclave, invece, gli aerei israeliani hanno condotto attacchi contro un quartier generale operativo del gruppo di resistenza palestinese e altri obiettivi a Nuseirat e Deir al Balah il 17 febbraio. Gallant ha detto che l’IDF continuerà le operazioni per smantellare i rimanenti sei battaglioni di Hamas nel centro della Striscia, mentre il ministro del Gabinetto di Guerra israeliano Benny Gantz ha dichiarato che le forze israeliane entreranno a Rafah all’inizio del Ramadan – ossia il 10 marzo – se Hamas non rilascerà i rimanenti ostaggi israeliani. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, il bilancio delle vittime palestinesi della guerra è salito a 28.340.

[di Giorgia Audiello]


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