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Giappone: il futuro è un ciliegio in fiore


helios
Illustrious Member
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http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/397177/

Devastato dallo tsunami
il Paese ritrova la volontà
di vivere

È la stagione della fioritura dei ciliegi, a Tokyo, un tempo in cui tradizionalmente il Giappone celebra la natura effimera, transitoria, della vita, che da secoli trova il suo simbolo nel breve, meraviglioso apparire e sparire di questi delicati petali rosa pallido. La fioritura dei ciliegi è tornata anche quest’anno, che non è un anno normale, dato il terribile disastro iniziato l’11 marzo con il terremoto e l’onda dello tsunami e continuato con il dramma nucleare, disastro che il primo ministro giapponese Naoto Kan ha giustamente definito «la peggior crisi del Giappone dal 1945».

Questo dunque non è il momento giusto per festeggiare. Un numero ancora imprecisato di giapponesi è morto poche settimane fa, e calcolando i dispersi è probabile che alla fine si arriverà a 25-35 mila vittime, oltre a centinaia di chilometri di coste polverizzate nel Nord-Est del Paese. L’idea del sakura , la caducità incarnata dalla fioritura dei ciliegi, ancora una volta era stata confermata dalla natura. E non è finita: gli ingegneri ancora lottano per stabilizzare l’impianto nucleare di Fukushima, dove lo tsunami ha disattivato i generatori di uno dei sei reattori, causando il loro surriscaldamento, con conseguenze potenzialmente esplosive.

Non sorprende perciò che in molti dei parchi e dei templi di Tokyo, dove di solito si festeggia la fioritura, le autorità abbiano collocato dei cartelli che esortano alla moderazione, e alcuni politici abbiano fatto eco: hanami , le feste inondate di birra e sake che si tengono all’inizio di aprile sotto i rami degli alberi, sarebbero inappropriate. Eppure, come ho visto coi miei occhi nei dieci giorni che ho appena trascorso in Giappone, questo si è rivelato uno dei rari casi di disobbedienza da parte della popolazione. Come negli anni scorsi i boschetti di ciliegi sono stati affollatissimi, con la gente in fila per fotografare i fiori più belli e i gruppi di amici e famigliari seduti a terra la sera, sui teli di plastica, a mangiare e bere e brindare continuamente alla salute gli uni degli altri, ormai completamente ubriachi. Perché è una nazione decisa a tornare alla normalità il più presto possibile. Dopo tutto, la stagione dell’ hanami è breve: rinviare significa aspettare un anno intero. Nelle prime due settimane successive allo tsunami, bar e ristoranti a Tokyo erano spesso vuoti. Adesso si stanno di nuovo riempiendo. Le strade restano più buie del solito, perché la scarsità di corrente costringe a tenere basse le luci e chiudere prima molti uffici. Si possono ancora sentire notizie di scaffali nei supermercati svuotati dei generi di base, come l’acqua in bottiglia o la carta igienica, ma gli acquisti indotti dal panico sono per lo più finiti. Le radiazioni non sono più una paura seria. Lo choc da 11 marzo è cessato, grazie a Dio.

I dolori nascosti per pudore La stessa sensazione, di un popolo che si risolleva rapidamente e cerca di riprendere la sua vita, la si può provare nelle zone realmente devastate del Nord-Est, compresa la grande città più vicina all’epicentro del terremoto, Sendai. Lì, però, la definizione di «normale» è molto diversa. La vita nel Nord-Est non potrà mai più essere la stessa.

Ogni viso sembra nascondere una tragedia. Il taxista che è venuto a prendermi al porto, dove lo tsunami ha distrutto i magazzini e lanciato tutt’intorno, come fossero giocattoli, camion e automobili, era impeccabilmente vestito di un abito blu. Ma la sua casa, mi disse, era stata portata via dall’onda e adesso lui vive in un centro profughi. Per fortuna nessuno della sua famiglia è morto. Questo non era il caso, ahimè, del ristorante di Sendai dov’ero andato a cena la sera prima: la cameriera, vestita di un magnifico kimono, cercava di sorridere come sempre, poi però sono arrivate le lacrime. Aveva perso dei parenti. Ma il lavoro andava ripreso, anche se gli affari erano solo il 30 per cento del livello normale.

Sendai è virtualmente intatta, testimonianza della qualità della tecnologia edilizia giapponese e delle regole da rispettare. Ma è fuori di lì, lungo la costa, nelle città e nei villaggi più piccoli, che si vedono scene veramente sconvolgenti. Inizialmente, ai margini della zona toccata dallo tsunami, la scena non sembra tragica: auto finite in mezzo alle risaie, dove non dovrebbero essere, il segno del livello raggiunto dall’acqua nelle case, spazzatura ammucchiata nelle strade. Una scena non così diversa da quelle che si possono vedere in alcune parti di Londra o di Napoli. Alcuni posti sembrano addirittura risparmiati. Poi però, appena dietro un angolo, la devastazione può essere grave in modo inimmaginabile: interi edifici in cemento rovesciati su un fianco, mucchi di veicoli, piccole case trasformate in ammassi di legname e intonaco, brandelli e pezzi di vita quotidiana sparsi tutt’attorno.

Il vecchio che dirige il traffico A Onogawa, una città di pescatori dove la baia si restringe fra alte colline, l’onda si è sollevata fino a quasi 40 metri. In cima alla scogliera affacciata sul porto si erge un ospedale nuovo di zecca, che per fortuna l’onda ha appena sfiorato. Sono salito fino al parcheggio per guardare dall’alto la devastazione e ho trovato un uomo anziano, con una fascia ufficiale al braccio, che dirigeva il traffico in modo molto efficiente. «Com’è strano gli ha detto l’amico giapponese che era con me - vedere macchine finite sul tetto delle case più alte, giù in città». «Sì - ha risposto senza scomporsi - e quella nera laggiù, su quell’edificio un po’ più in là, è la mia. Era parcheggiata qua, vicino all’ospedale. Sembra non sia danneggiata, ma non riuscirò mai a tirarla giù».

Quello che più colpisce, dopo lo choc al vedere le città distrutte e a immaginare il dolore per tante vite perse, è il rapido adeguamento alla nuova situazione. Sebbene si continui a cercare e a trovare nuovi corpi nelle zone più colpite, si è cominciato a ripulire. Una buona parte del lavoro viene fatto dall’esercito e dalle tante squadre di soccorso straniere venute qua per dare una mano. Molto, però, viene fatto dagli stessi abitanti, assistiti da gruppi di volontari giunti da tutto il Giappone.

Il compito, ovviamente, sarà immane. Uno degli aspetti più problematici è cercare di capire la portata di quanto va fatto. Il bisogno immediato, come sempre accade con i disastri naturali, è umanitario: ricoveri provvisori, cibo, sicurezza, assistenza medica. Secondo le organizzazioni con le quali ho parlato, quell’aiuto temporaneo è stato fornito più rapidamente e più efficacemente di quanto non sia mai stato fatto in disastri di proporzioni simili in altri Paesi sviluppati, come il ciclone Katrina negli Stati Uniti nel 2005 o il terremoto all’Aquila nel 2009. C’è ancora penuria - soprattutto di benzina, ma qualche volta anche di alcuni farmaci ma ora che le strade sono state ripulite dalle macerie la maggior parte delle merci riesce ad arrivare.

Sul piano locale, il primo lavoro è cercare di capire come trasformare le sistemazioni temporanee in sistemazioni a lungo termine. Le scuole, adesso chiuse per le vacanze, dovrebbero riaprire entro aprile, ma molte vengono usate come centri di evacuazione. Molti insegnanti, insieme a bambini, genitori e nonni, sono morti l’11 marzo. Ma c’è una fortissima determinazione a riattivare questa struttura di base della vita quotidiana, soprattutto per il bene dei bambini. Così le autorità locali, aiutate dalle organizzazioni di soccorso, a cominciare da Save the Children, stanno allestendo asili e scuole provvisori, mentre i produttori di quei costosi ed elegantissimi zainetti che sono assolutamente la normale attrezzatura di base di tutti i bambini giapponesi, ne hanno regalati trentamila da distribuire nella zone de
vastate.

La ricostruzione dei luoghi sarà la parte più dolente. Le case si possono ricostruire rapidamente, ma per le fonti di reddito occorrerà molto più tempo. E anche la ricostruzione nazionale promette di essere difficile, una difficoltà esacerbata dalla lotta, non ancora finita, per stabilizzare la centrale di Fukushima. I peggiori rischi di una esplosione in stile Cernobil sembrano eliminati, ma la situazione nucleare resta seria, soprattutto per chi vive in prossimità dell’impianto e per vivere dipende dalla pesca al largo delle coste.

L’ignominiosa fuga dei diplomatici A Tokyo, i 200 km di lì, sono ormai pochi ad avere ancora paura delle radiazioni. Una nuova parola, sprezzante, ha fatto la sua comparsa nella lingua giapponese per descrivere quegli uomini d’affari e diplomatici stranieri che, presi dal panico, si sono fiondati sugli aerei per scappare dal Paese o si sono spostati sulle città più a Sud, come Kyoto o Osaka. In giapponese uno straniero è un gaijin (letteralmente: persona esterna) e adesso quelli che hanno perso la testa sono diventati, con un gioco di parole, flyjin . A Tokyo poi si fanno speciali critiche alle ambasciate di Austria, Germania e Francia, che hanno consigliato ai loro connazionali di partire e poi hanno chiuso uffici e attività. Per fortuna i britannici e gli italiani hanno mostrato nervi più saldi e tutti hanno notato che sono rimasti.

Sono l’elettricità e le radiazioni a gettare ancora un’ombra sulla capacità di risposta del governo. Nel breve periodo si sa che l’area di Tokyo, che ospita 40 milioni di persone e ha un Pil grande come quello della maggior parte dei Paesi, avrà una capacità energetica ridotta del 25 per cento, e questo proprio in estate, quando per il caldo c’è il picco della domanda. Così si stanno facendo rapidamente dei piani per razionare l’elettricità e ridurre la richiesta. Su tempi più lunghi, le radiazioni e il destino di Fukushima costituiscono una grossa incognita per le finanze del governo, perché non si sa ancora a quanto ammonteranno i risarcimenti per le famiglie e le attività colpite dalle radiazioni. Non si sa nemmeno se l’area attorno all’impianto, con un raggio valutato in 20- 0 chilometri secondo la natura e l’interpretazione del pericolo da radiazioni, sarà inabitabile per sempre oppure no. Formalmente, il conto dovrebbe andare alla compagnia energetica che gestisce l’impianto, la Tepco, ma in pratica quel costo la farebbe fallire, così il governo dovrà subentrare.

In senso più generale, il compito del governo sarà quello di trovare soluzioni non solo per ricostruire e riprogettare le aree devastate, ma anche per rivitalizzare l’economia nazionale in modo tale da poter affrontare il costo di quella ricostruzione. Come l’Italia, anche il Giappone è una società con una popolazione che invecchia e che negli ultimi dieci anni ha avuto una crescita economica lenta, con gruppi d’interesse che hanno bloccato le riforme che avrebbero potuto spingere gli investimenti e la produttività. Il punto ora è se provare di nuovo a introdurre quelle riforme, o evitare la controversia nell’interesse dell’unità nazionale.

La voracità degli uomini d’affari Quasi certamente, durante le prossime settimane, il partito democratico al governo formerà una «grande coalizione» con il partito liberal-democratico attualmente all’opposizione e altri gruppi più piccoli, per facilitare lo sforzo, in termini parlamentari. I ministri, che tradizionalmente sono la centrale elettrica della politica giapponese, stanno già disegnando le prime bozze dei piani. Anche i gruppi d’affari, che sanno che alla fine dovranno pagare una parte dei costi, ma che sanno anche che lo tsunami ha mostrato che occorre ripensare a come affrontare il rischio e dunque devono riposizionare i loro affari, stanno abbozzando i loro piani.

Coordinare questo sforzo collettivo e trovare un accordo sul meglio da fare in quello che potrebbe facilmente diventare un programma da 500-750 miliardi di dollari, sarà enormemente difficile. Ma se si dovesse scommettere su un Paese capace di fare un eccellente lavoro in un impegno così immane, quello è il Giappone. La fioritura dei ciliegi può essere effimera, ma il senso di determinazione nazionale e di coesione sociale di fronte alla crisi sembra assai più duraturo.


Citazione
dana74
Illustrious Member
Registrato: 3 anni fa
Post: 14766
 

è inutile che a la stampa facciano tanto i romanzieri la realtà è tragica e che la smettano di minimizzare i danni da radioattività (chissa se nell'area di 20-30) si potrà tornare ad abitare..comechissà, provino loro.

Tornare alla vita al più presto possibile? Insomma la contaminazione non esiste o pensano quelli della stampa che bastano un paio di pioggie?
Si rimpriange oltretutto la società pre tsunami invocandone un pronto ripristino trascurando che proprio codesta società artificale e di consumi inutili indotti HANNO "costretto" al nucleare, CAUSA DI UN ENORME PROBLEMA non solo giapponese (ma planetario, della flora e della fauna) E NON SOLO PER UNA GENERAZIONE


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sacrabolt
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Registrato: 3 anni fa
Post: 821
 

la scelta peggiore è quella di salvare la tepco, incoraggiando così i prossimi caimani del profitto in tasca e perdite alla collettività.
Ma la frase più penosa, di questo peraltro retorico ed inutile articolo è "Le radiazioni non sono più una paura seria. Lo choc da 11 marzo è cessato, grazie a Dio."

Inizia la fase del "dopo", come se il peggio fosse passato e cagate come l'articolo in questione ne sono l'esempio: un popolo così eroico che trova intelligente stiparsi in scatolette che devono essere scaldate d'inverno e raffreddate d'estate con montagne di megawatt marca westinghouse, generati con un'aborto di tecnologia mlitare fritto e rifritto, la cui massima fulgida efficienza è quella di riciclare testate atomiche ed inurire proiettili con i veleni discarto.

Mi aspetto che la stampa italica si allinei a breve con altri articoli di corrieri, repubblichi e compagnia che già preparano la giornata della smemoria per il vicino referendum.
Per curiosità un paio di giorni fa ho cercato sul pdf di repubblica la parola "fukushima": ne è uscita solo un'occorrenza in un articolo di un cuoco dell'alta borghesia di manhattan che misura la radioattività del pesce.


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