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Il Forteto Firenze


JeanPaulGuilloche
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​”Al Forteto regole crudeli ed esperienza criminale”
“Amministratori pubblici e esponenti politici hanno garantito sovvenzioni e sostegno istituzionale”
Di Monica Serra

Le vittime degli abusi sessuali “sono entrate nella comunità Il Forteto su disposizioni della pubblica autorità (tribunale per i minorenni, servizio sociale, servizio di salute mentale). Oggi come allora la tesi dell’accusa deve fare i conti, innanzitutto, con il dato obiettivo di un sistema pubblico che ha mantenuto costantemente aperta una linea di credito illimitata verso l’esperienza educativa e pedagogica de Il Forteto”. Sono state depositate oggi le motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Firenze ha condannato il fondatore della comunità per bambini in difficoltà di Vicchio del Mugello, Rodolfo Fiesoli, a 17 anni e mezzo di reclusione per violenza sessuale su minori e maltrattamenti.
Oltre al “profeta” sono state condannate altre 13 persone, che hanno lavorato nella comunità. Una”linea di credito illimitata”, si legge nelle motivazioni di 940 pagine redatte dal giudice Matteo Zanobini, “accordata dagli operatori, che hanno indicato in quella comunità una risorsa utile ed efficace per la tutela di minorenni in situazione di disagio, se non di vero e proprio abbandono; credito ribadito dai provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile che, ancora nel 2012 (dopo l’arresto del capo indiscusso Rodolfo Fiesoli), ha confermato affidamenti familiari a favore di alcuni soci della cooperativa; da amministratori pubblici e da esponenti politici che hanno garantito sovvenzioni e sostegno istituzionale”. Fiore all’occhiello prima, e grande imbarazzo poi, per la sinistra italiana, il Forteto è stato sovvenzionato dalla regione Toscana, così come numerose altre istituzioni, che ha elargito importanti finanziamenti tanto da farlo diventare, nella sua affiliazione della cooperativa agricola, una potenza economica.
“A prescindere dai programmi economici del gruppo – si legge ancora nelle motivazioni -, Il Forteto, fin dal suo nascere, aveva le caratteristiche tipiche di una setta, con un “credo” essenzialmente legato alle prospettive liberatorie proprie di un approccio terapeutico (ancorché praticato da persone totalmente incompetenti)”.
Il metodo terapeutico della comunità era costituito dalla confessione “pubblica” di problemi, veri o presunti, “fino al limite dell’ammissione di cause remote totalmente inesistenti (come gli abusi intrafamigliari), di malesseri attuali: metodo che, più tardi, con l’ingenuo avvalo di un sociologo e la credulità istituzionale, era stato rappresentato con l’altisonante concetto di “chiarimento””. Il Tribunale sottolinea che”le doti terapeutiche erano riconosciute ad una persona, Rodolfo Fiesoli, che deteneva il potere di ostacolare o consentire relazioni umane, di ottenere o pretendere rapporti omosessuali senza il consenso dell’interessato o a “puro titolo terapeutico” (dunque con l’inganno): quest’autorevolezza – tipica del “guaritore” – all’interno del gruppo, unita a capacità affabulatorie e ad una certa ammirata spregiudicatezza e provocatorietà, lo avevano reso capo indiscusso di un collettivo composto quasi esclusivamente da ragazzi e ragazze molto più giovani di lui”.
I giudici sottolineano anche che nella comunità del Forteto sotto la direzione di Fiesoli “venivano inflitte sofferenze e costrizioni psicologiche”, con le donne che erano separate dagli uomini perché si voleva”sostituire la famiglia tradizionale con una famiglia migliore, dove si potevano sviluppare delle dinamiche meno dannose che nella famiglia tradizionale, dove non c’era sincerità, chiarezza”. La comunità, definita dai giudici “setta”, caratterizzata dalla particolare divisione tra uomini e donne e l’esplicito invito all’astensione sessuale come mezzo di elevazione spirituale. “È interessante notare come Rodolfo Fiesoli, pur essendo pacificamente un omosessuale, fosse riuscito a trasfigurare, agli occhi dei suoi stessi adepti, l’omosessualità in una “componente” propria di ogni persona, la cui piena realizzazione identitaria avrebbe trovato compimento solo riconoscendone la presenza attraverso relazioni “omoaffettive” – scrivono i giudici – Rodolfo Fiesoli ha infatti cercato di nascondere la propria omosessualità accreditandola come diversità di identità sessuale, per imporre a terzi l’obiettivo di una sessualità smaterializzata e spiritualizzata, tale da permettergli pratiche omosessuali sotto forma di prescrizione/imposizione di percorsi terapeutici finalizzati in realtà al suo esclusivo godimento”.
“Solo così si spiegano le condotte omosessuali di Rodolfo Fiesoli – proseguono le motivazioni – testimoniate dal Martinelli e dal Benvenuti negli esordi comunitari fino agli approcci più recenti con Giuseppe Aversa, passando lungo la trafila dei “compagni di letto” narrata da Pietracito e consolidatasi con una vera e propria convivenza stabile con Fabrizio Forti durata dal 2004 al 2011″. “Una dichiarata omosessualità da parte di Rodolfo Fiesoli – spiega il Tribunale – gli avrebbe impedito non solo il “governo” del gruppo attraverso una figura dominante, spiritualizzata ma dai modi bruschi e canzonatori, ma anche il consenso e l’appoggio della comunità esterna, del mondo politico e sindacale, dell’intellighenzia votata ad attività solidaristiche e alla beneficienza pubblica”. Per questo il tema della sessualità “è stato manipolato e camuffato al punto da mettere sia gli imputati sia le vittime in seria difficoltà quando sono stati invitati nel corso del processo ad illustrare le abitudini sessuali che hanno caratterizzato le relazioni dei membri della comunità Il Forteto. Il tema della sessualità era tuttavia strettamente connesso alla critica radicale del modello di famiglia tradizionale”.
A far luce sugli orrori del Mugello contribuì in misura determinante una commissione d’inchiesta bipartisan istituita dalla regione Toscana nel 2013 e presieduta dal consigliere regionale di Forza Italia Stefano Mugnai che, il 17 giugno scorso, quando è stata pronunciata la sentenza di condanna, aveva affermato con soddisfazione: “Con questa sentenza, sulla cui sostanza non avevo dubbi, sul Forteto si scolpisce una verità giudiziaria che ristabilisce giustizia per le vittime di quel sistema abusante e che di fatto collima perfettamente con le drammatiche risultanze della commissione”.


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