ROMA – Chi decise di autorizzare l’attracco della Enrica Lexie nel porto di Kochi, chi decise di autoconsegnarsi alla giustizia indiana? Che ne sarà dei due marò, soldati italiani in servizio e in divisa, trattati come detenuti comuni? E’ il primo degli errori fatali, il primo di una catena che rischia di strozzare perfino il vertice della linea di comando, quindi Monti in persona. E’ il suo primo vero passo falso, l’ultimo di una serie che coinvolge il ministero della Difesa, quello degli Esteri, il servizio consolare.
Far sbarcare i marò a Kochi segnala da subito una sottovalutazione del problema che non si capisce chi abbia potuto autorizzare. Se è stato l’armatore a ordinarlo all’insaputa delle autorità italiane è grave perché la nave è di sua proprietà, non la gestione della sua sicurezza, specie quando all’interno dell’imbarcazione un presidio nazionale esisteva. Ora c’è chi spinge per ritirare la presenza dei militari dai mari infestati dai pirati. Se l’autorizzazione è venuta dai comandi italiani, dalla diplomazia, comunque da Roma, non è meno grave: significa non comprendere le implicazioni di una resa incondizionata, ci sono regole di ingaggio precise nelle contese in acque internazionali.
Il fallimento diplomatico nella disputa con il governo indiano è sotto gli occhi di tutti, a meno che non si voglia considerare un successo il fatto che i due militari siano reclusi in una specie di dependance del carcere di Trivandrum, possano indossare la divisa, ricevano pasti italiani invece del riso al curry. E’ la soluzione “creativa” indiana, che non trascura lo status dei militari ma assicura la detenzione. Non è bastata l’opposizione quasi fisica del sottosegretario De Mistura al trasferimento in carcere dei due fucilieri italiani. E’ giunta comunque troppo tardi perché sortisse qualche effetto. Soprattutto, la decisione del tribunale di Kollam ha anticipato i risultati delle perizie sui proiettili rinvenuti sul peschereccio. Non solo: ha anticipato anche il verdetto sulla titolarità della giurisdizione dell’Alta Corte del Kerala, il punto critico su chi deve giudicare un fatto avvenuto in acque internazionali.
Non si è capito da subito la portata del fatto di sangue incriminato: la regione conta due milioni di pescatori, si respira il clima già avvelenato di una’aspra contesa elettorale, in ogni caso, da destra come da sinistra, la questione sarebbe stata strumentalizzata. L’Italia ha avuto una condotta ondivaga. Ha oscillato tra l’eccesso di prudenza del ministro degli Esteri Terzi e la sicurezza della Difesa, convinta in assoluto che i marò non abbiano colpito il peschereccio. Il primo ora, il 6 marzo, ha denunciato l’illegittimità del provvedimento di reclusione e ha convocato l’ambasciatore indiano in Italia, dopo che era giunto perfino in India, per un viaggio già programmato, ma con sorrisi, strette di mano e imprenditori al seguito. Sulla dinamica dell’incidente invece, nessuno, nemmeno da Roma è più sicuro di quello che è successo veramente, smentendo la sicumera iniziale del ministro Di Paola.
Ora Monti corre ai ripari, la matassa si è ingigantita a dismisura, un bandolo è lungi dall’essere trovato e i partiti, specie il Pdl, non si lasciano sfuggire la ghiotta occasione di riversare sul “salvatore” i risentimenti accumulati. Liberiamo i marò sulle magliette, facciamola pagare all’India, il ministro intervenga in aula, maratone oratorie al Pantheon, il ventaglio delle soluzioni altisonanti e tardive è già spiegato. L’Italia ha sottostimato la questione, ha sovrastimato il suo peso internazionale, ha deciso con presunzione di agire da sola. Solo oggi il vicepresidente italiano del Parlamento europeo si è appellato all’Europa, ricevendo in cambio la dichiarazione stizzita del commissario inglese Lady Ashton, “nessuno ci ha chiesto nulla”. Bisognava chiedere a Usa e Gran Bretagna, capaci di ben altra influenza sul governo indiano. Serviva prima la credibilità e la vantata autorevolezza internazionale di Mr Monti in persona: ora rischia di essere in colpevole ritardo.
6 marzo 2012 | 13:10
Il sottoscrito e stato mercenario per un bel po di tempo,con la differenza che allora (anni 80-a) non esisteva il pase al mondo che andava a rompere i coglioni a chiunque per riportare a casa i suoi mercenari.
Cosa farebbe la colonia Italia se fosse succeso essatamente il contrario,cioe che due militari Indiani amazzavano due pescatori italiani,vorei sapere chi si domanderebbe se il fatto fosse successo in acque internazionali o no,se ne sbatererbero altamente i coglioni la sola cosa importante sarebbe l'aresto degli millitari Indiani che hanno sparato, e alle proteste del India risponderebero che i due Stronzi hanno ammazzato due pescatori Italiani percio la competenza e dei tribunali Italiani.
Se io dovessi amazzare un americano di merda a nessuno di cosidetti tribunali internazionali interesserebbe se l'o amazzato in Africa,Brasile,Argentina o Afganistan, la giurisdizione sarebbe amerikana,percio non vedo per qualle motivo i due mercenari italiani dovrebbero essere sotto la giurisdizione Italiana visto che hanno amazzato due cittadini Indiani???????
il giudizio si deve svolgere con le regole indiane.
se le regole prevedono carcere preventivo l'italia non ha diritto di chiedere la scarcerazione tanto meno la restituzione dei soldati. ma siamo matti?
l'unica cosa che può chiedere l'italia è che il processo sia rapido e giusto.
chi pretende la restituzione dei soldati accusati di omicidio fa parte di quell'italietta razzista che dimentica che il sistema giudiziario indiano è ben più affidabile ed imparziale di quello italiano.