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L’Argentina, Macri ed il fantasma del neoliberismos


Stodler
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COS'È SUCCESSO IN ARGENTINA? di Socrates

L’Argentina, Macri ed il fantasma del neoliberismos

Le elezioni argentine di domenica 22 Novembre saranno ricordate certamente come un momento storico nella politica del paese sudamericano.
Per la prima volta infatti il nuovo presidente è stato eletto dopo un ballottaggio e soprattutto si tratta di un personaggio che non proviene dalle file del peronismo (di destra o di sinistra) e nemmeno da quelle del radicalismo (l’altra corrente storica della politica argentina).

Mauricio Macri infatti è un personaggio “moderno”, sicuramente figlio del menemismo degli anni 90, con un passato imprenditoriale (il padre era un imprenditore italiano che ha fatto fortuna nel mondo delle costruzioni) e “calcistico” (Macri è stato presidente del Boca Juniors dal 1995 al 2008) prima di diventare sindaco di Buenos Aires per due mandati consecutivi. E’ stato eletto con il 51,6% dei voti, contro il 48,6% del candidato kirchnerista Daniel Scioli. La coalizione di Macri (Cambiemos, alleanza tra il PRO, Propuesta Republicana, una sorta di partito personale di Macri, e i radicali) ottiene la maggioranza a Buenos Aires, Cordoba, Mendoza, Jujuy oltre ad avanzare nell’enorme area della provincia di Buenos Aires, bastione storico del peronismo e zona più popolosa del Paese.

Al di là dei dati elettorali, l’elemento centrale delle elezioni argentine più che la vittoria di Macri è certamente la sconfitta del progetto kirchnerista, giunto ormai al capolinea dopo 13 anni di governo. Analizzare le ragioni della sconfitta non è un esercizio facile, la politica “istituzionale” argentina è un rebus spesso complesso, in cui il legame storico con l’epoca peronista viene utilizzato come spauracchio o modello in molti casi senza nessun fondamento concreto ed in cui la personalizzazione della politica raggiunge livelli altissimi.

Più interessante per le nostre latitudini è provare a comprendere il contesto sociale in cui si sono svolte le elezioni. Gli anni dei Kirchner sono stati infatti caratterizzati da due fasi: la prima fase, dal 2003 al 2009, segnata dalla crescita economica post-crisi, trainata dalle esportazioni della soia e di altre materie prime verso la Cina ed il Brasile, in cui il governo ha promosso una serie di politiche assistenzialiste che hanno avuto anche effetti concreti come l’aumento del tasso di educazione primaria o la riduzione della povertà assoluta, ed in cui c’è stato un parziale rilancio dell’industria nazionale, devastata dal periodo menemista. Un governo con una forte impronta “neo desarrollista”, che faceva dell’estrazione delle materie prime un asse portante della sua politica, in linea con altri governi progressisti del campo prettamente bolivariano. La seconda fase del kirchnerismo, dal 2010 al 2015, ha invece risentito pesantemente del crollo dei prezzi delle materie prime e della soia, della riduzione delle esportazioni verso la Cina e di una costante debolezza monetaria, influenzata principalmente da un’inflazione stellare, che ha raggiunto picchi del 36/37%.

La sconfitta del “progetto” kirchnerista può essere letta anche da questi elementi macroeconomici, il dato centrale infatti è che quel modello, pensato e sviluppato nell’Argentina post 2001, non ha mai voluto andare oltre l’asse di sviluppo basato su: estrazione di materie prime – esportazione verso nuovi partner (Cina, Brasile etc) – minima redistribuzione delle ricchezze in ottica assistenziale.

A livello economico non ha voluto mettere in discussione alcuni cancri endemici della società argentina quali lo strapotere dei grandi proprietari terrieri, il sistema politico clientelare, la dipendenza dalle importazioni in molti settori nevralgici (soprattutto nell’industria).

La sconfitta più grande però si ascrive più che altro al campo della partecipazione sociale e politica, sia Nestor che Cristina hanno riproposto in salsa moderna il “neocorporativismo” del peronismo in cui le organizzazioni “intermedie” come i sindacati peronisti (devastati dalla corruzione), le associazioni giovanili come il “Movimiento Evita” ed il legame con “Las madres de Plazo de Mayo” dovevano essere gli strumenti di partecipazione per il “popolo”, quando in realtà tutte le decisioni reali erano prese altrove e, molto spesso, gli esperimenti di autorganizzazione popolare, nati soprattutto nei quartieri marginali delle grandi città durante il movimento del 2001, sono stati repressi o marginalizzati. Unica eccezione è forse rappresentata dalle Fabricas Recuperadas, che continuano ad esistere e ad aumentare a livello di numero, ma che il governo ha spesso ostacolato soprattutto facendo di tutto per evitare la strutturazione di un movimento il più possibile unitario.

Venute meno le entrate derivanti dalle esportazioni ed aumentata in maniera costante l’inflazione è stato quindi sempre più difficile mantenere anche i programmi assistenziali che avevano avuto un discreto successo nella prima fase dei governi kirchneristi.

Leggendo i commenti post elettorali dei giornali argentini vicini al campo kirchnerista l’incredulità sembra regnare sovrana, sembra quasi che il “popolo” abbia “tradito”, quasi per un capriccio, chi ne aveva migliorate le condizioni e tirato fuori dal pantano della politica menemista; la realtà è ovviamente molto più articolata: la società argentina, nel complesso, rimane infatti profondamente classista, nei primi anni post-2001 l’impoverimento della classe media (rappresentata essenzialmente da dipendenti pubblici, piccoli commercianti, quel poco che rimaneva degli operai specializzati etc), l'aveva avvicinata alle rivendicazioni ed alle aspirazioni della popolazione più povera colpita dalla crisi ed ingannata dal menemismo, anche attraverso l’identificazione del “nemico comune” con politici, banchieri, grandi proprietari terrieri, finanzieri legati agli Stati Uniti, il FMI e la Banca Mondiale.

Il recupero di un certo benessere della classe media, dovuto anche all’elargizione dei programmi assistenziali, ha reinserito il germe della diffidenza classista, alimentato ulteriormente da alcuni fattori come la martellante campagna mediatica sull’insicurezza ed il dilagare della criminalità (di cui venivano accusati apertamente i più poveri, circoscritti geograficamente nelle villas miserias (1) e la retorica pompata dall’opposizione macrista che il governo, tramite i piani assistenziali, stesse regalando soldi e denaro a dei fannulloni in un momento in cui l’inflazione era galoppante e che, oltretutto, erano anche delinquenti (o “negros” come li chiamano in Argentina). Uno degli errori del Frente Para la Victoria (2) si può ritrovare proprio nel non aver voluto passare da politiche assistenziali a politiche di sviluppo e redistribuzione vera e propria, provando ad intaccare lo zoccolo duro delle enormi risorse e potere di grandi proprietari terrieri e finanzieri, da cui il governo di Cristina dipendeva in modo eccessivo avendo puntato tutto su un’economia devota all’export delle materie prime.

Il contesto interno del Paese comunque va inevitabilmente inquadrato all’interno della situazione continentale; l’esito del voto argentino, il ritorno di un neoliberista come Macri al potere, rischia di aprire un ciclo negativo in tutto il continente. Nell’articolo di Gaudichardabbiamo analizzato come il modello bolivariano stia entrando in una crisi abbastanza evidente, è vero che la sconfitta del kirchnerismo è ascrivibile solo parzialmente all’interno di questo campo però non possiamo negarci che il ritorno di un'opzione dichiaratamente neoliberista nel Paese simbolo del fallimento delle politiche monetarie ed economiche
dell’FMI sia un elemento molto preoccupante; il 6 Dicembre inoltre si svolgeranno le elezioni in Venezuela dove la crisi del governo Maduro si protrae ormai da diverso tempo e dove il ritorno della destra neoliberista sembra una possibilità concreta.

Al di là dei risultati elettorali comunque c’è un ultimo elemento da sottolineare: con l’elezione di Macri si chiude definitivamente lo spazio aperto dai movimenti del 2001, gran parte della responsabilità, come abbiamo visto, è ascrivibile ai governi kirchneristi che hanno fatto di tutto per chiudere quegli spazi. Rimangono le fabbriche recuperate, il movimento per i diritti dei Mapuche, quel poco che resta del movimento piquetero. Non è detto però che qualcosa di nuovo non stia nascendo (o rinascendo), in particolare nel terreno della difesa della “natura” contro lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali implementato negli ultimi anni e contro l’invasione delle multinazionali agro alimentari, oltre a nuove sperimentazioni partecipative dal basso che stanno sorgendo in alcune zone urbane della provincia di Buenos Aires.

Da questo punto di vista lo scontro che si profila con il governo Macri potrebbe riaprire un nuovo ciclo di lotte e conflitti, sperando che il contesto continentale non riporti le lancette del tempo indietro di 20 anni.

Note
1. equivalente argentino delle Favelas
2. la coalizione elettorale del kirchnerism

da Communia Network

http://sollevazione.blogspot.it/2015/11/cose-successo-in-argentina-di-socrates.html


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venezia63jr
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Gli americani battono cassa.$$$$$$


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mincuo
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Beh stranamente è un articolo abbastanza equilibrato. Lasciando stare "le destre" e "le sinistre" si nota quello che si è nota anche in Venezuela ad esempio.
E cioè che un cambio favorevolissimo (dopo una svalutazione massiccia) che ha rilanciato l'economia dopo la crisi del 2001 unito a un vero e proprio colpo di fortuna di 10 anni di materie prime (di cui sono paesi esportatori) a prezzi altissimi il che significa entrate extra cospicue, non è stato utilizzato per sviluppare un'economia interna capace di produrre beni a valore aggiunto (che rispetto alle materie prime hanno molto più guadagno e quindi sostengono le importazioni) e/o che sostituisse in parte l'import.
Invece hanno destinato queste risorse più a una politica sociale a assistenziale. Il che non è un male, solo che bisogna essere consci del fatto che la sua espansione è sostenuta da entrate straordinarie collegate con il prezzo molto alto delle materie prime oltre che con l'andamento delle economie di altri Paesi.
Quando è finita la festa e sono calate le materie prime infatti sono cominciati anche i guai.
Vendere materie prime e ricevere prodotti ad alto valore aggiunto (macchinari, medicine, servizi....) è tipico delle economie terzomondiste ed è anche stato sempre lo scopo dei Paesi che quelle economie e quei popoli li sfruttano.
La "vera" politica sociale, anche se molto "meno elettorale" è creare un'economia che non dipenda da importazioni sostenute solo da materie prime, ma essenzialmente dallo scambio di prodotti ad alto valore aggiunto.
Avere poi la fortuna di possedere materie prime e quindi poter contare periodicamente su cicli di prezzi alti e conseguenti entrate extra dovrebbe provvedere a quella politica le risorse per sviluppare gli investimenti necessari alla crescita e allo sviluppo di un'industria propria.
Una politica fiscale adeguata poi può a sua volta aiutare questa politica.
In Argentina non è stato fatto, ed anzi è sempre più dipesa da materie prime, checchè ne dica l'articolo, mentre in Venezuela hanno letteralmente distrutto più di metà dell'industria che c'era 15 anni prima e sono riusciti pure nell'impresa di far calare del 30% la stessa produzione di petrolio, cioè la materia prima su cui campavano, quando i piani erano invece di raddoppiarla. Questo in buona parte fu dovuto al licenziamento di 20.000 tecnici e operai specializzati nel 2002 sostituiti da personale politicamente fedele ma incapace.
Per cui anche dalla stessa materia prima (petrolio) pur prendendo una valanga di soldi extra (7-800mld) ne avrebbero potuto prendere molti di più, ma nemmeno quello hanno fatto.

Per l'Argentina è stato un po' meglio ma è mancato uno sviluppo interno.


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mincuo
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Di chi è la colpa?

Io credo che "sinistra" e "destra" non siano l'ottica e le categorie giuste per vedere le cose.
In Argentina in realtà c'è da molti anni un pugno di famiglie che ha in mano mezzo Paese. E io ho visto che nè la destra nè la sinistra le hanno mai scalfite, anzi, e che le politiche (anche quelle assistenziali e anche quelle in buona fede) di fatto favoriscono sempre questi oligopoli.
Ed è anche una cosa logica se uno ci riflette.

Non li favorirebbero invece la crescita di una classe intermedia diffusa e che confina coi più poveri verso il basso e coi più ricchi verso l'alto e che acquisisce potere economico e quindi di rappresentanza reale e diventa portante in un paese.

Ma le elites questo non lo vogliono. E non l'hanno mai voluto.
E specie quando nell' 800 cresceva l'industrializzazione e quella era una minaccia reale per loro.

A quel tempo anzi quella che in realtà è la formazione di una ampia e continua scala sociale con una forte aderenza al popolo e che si sviluppa da lì, l'hanno pure fatta diventare e addirittura "teorizzata" come una cosa netta e staccata, storicamente peraltro inesistente, la "borghesia", che hanno poi demonizzato e hanno particolarmente colpito [la lotta di classe] così da scavare un solco incolmabile tra elites e popolo tagliandogli tutti i ponti per una sua crescita e nel contempo eliminando l'unica minaccia reale e l'unica possibile opposizione al loro potere e alla loro visuale di società fatta da una elite ristretta, una burocrazia, una polizia (e anche una tecnologia di cui essere gli unici proprietari) e poi un salto profondo e netto a un popolo indifeso, senza reale potere nè economico nè culturale.

E' la molteplicità e contiguità delle classi che minaccia un'elite.
Ed è quanto maggiore è il numero di classi e quindi quanto più piccolo è un gradino tra una classe e quella immediatamente superiore, che permette più facilmente di salire.
Ed è la sua maggior continuità possibile che garantisce l'unità e la solidarietà sociale.
Infatti le elites si sono sempre dati pena di ridurle, anche teoricamente, cioè anche propagandando qualche volgare imbroglio spacciato alle masse per teoria, a due classi molto nette e molto in conflitto, alimentando odio e aizzandone anche una, naturalmente quella innocua, sprovvista in realtà di cultura e di potere economico e incapace del tutto di generarlo autonomamente e quindi poi facilmente dominabile, perchè comunque poi necessitava di essere diretta, contro quella che poteva esserle invece di fastidio.

Alimentare l'odio è "Le jeu le plus facile au monde."

Non è un caso che le figure inculcate ossessivamente come particolarmente detestabili nell'immaginario fossero il piccolo imprenditore, il piccolo commerciante, l'artigiano, il negoziante, il piccolo professionista, il piccolo agricoltore, tutte figure che in comune avevano la capacità di creare ricchezza autonomamente cioè al di fuori del controllo del grande capitale e cioè delle elites e inoltre con una aderenza anche famigliare alle classi sociali meno abbienti, venendo in grandissima parte da lì. La diffusione di queste categorie e la formazione di un potere economico e culturale diffuso era l'unica cosa reale, non fantastica o favolistica, che avrebbe potuto contrastare o anche spezzare la schiena alla grande proprietà.

Infatti gli uni (i "socialisti"8) :)) violentemente e sbrigativamente e gli altri ("i liberisti"8) :)) man mano facendo finta di dolersi della sparizione della classe media, ma in realtà attuando ogni possibile misura legislativa, regolamentativa e fiscale per farla scomparire, e nel contempo favorendo acquisizioni, concentrazioni e fusioni, sono l'espressione della stessa volontà, della stessa strategia e soprattutto delle stesse identiche persone - monopoliste e suprematiste fin nel midollo - semplicemente sotto due maschere differenti.


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MarioG
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Trovo che sia una interpretazione limpida e convincente. Il mito della societa'"senza classi" di cui nessuno ha mai visto il prototipo realizzato, si risolve sempre nella una societa' marcatamente bipolare.


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Stodler
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A quanto vedo alla fine le analisi concordano.

Il problema è sempre la produzione interna, le materie prime sono come una droga danno assuefazione e non si cercano altre strade di sviluppo e alla prima crisi, questa volta più duratura e profonda, casca il palco.

Ma questa la dice lunga anche sui Kirchner e compari, al massimo solo mance hanno dato invece di investire nell'apparato produttivo ed affrancarsi per quanto possibile dalle importazioni e costruire così solide basi industriali.


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mincuo
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Infatti l'Uruguay che è "sfigato" come materie prime e perciò forse anche e fortunatamente meno storicamente oggetto di "interesse" di elites, ha fatto abbastanza bene. E non malissimo anche il Nicaragua, che è retto mi pare da una coalizione sandinista+destra (posso sbagliare, io non è che me ne intendo molto di queste cose) ma ha sviluppato abbastanza, anche se parte da molto indietro.
La Bolivia anche non è malissimo. E' strana. Ha un misto di dirigismo statale, ma non scriteriato, e di laissez-faire.
Che sembra faccia a pugni, ma invece è abbastanza pragmatico.
Il 70% di quell'economia è al nero.
Ma chiudono un occhio (anche due) perchè intanto si sviluppa e se la tassassero e regolamentassero morirebbe e così dovrebbero fare altra assistenza.
Evo Morales urla grandi slogan, come deve fare ogni politico, ma mi sembra che abbia anche una certa zucca.
Ha ad esempio messo via soldini nei tempi buoni del petrolio alto e ora può fare un po' di politica anticiclica e continuare a sostenere politiche sociali.
Altro esempio ha nazionalizzato, ma non "espropriando" come altri nel passato che così hanno visto andar via anche macchinari, tecnici, management, know-how e ci hanno messo al loro posto gente brava a fare l'agitatore politico, col risultato di far calare la produzione del 50%.
Lui ha pagato le quote, non solo, ma ha lasciato delle quote private e con quelle anche tecnici e know-how. Intanto ha inserito man mano e fa crescere un management e un know-how Boliviano, che non si improvvisa dall'oggi al domani con gli slogan politici.
La cosa giusta. E' un pragmatico, comunque molto meno massimalista di quel che appare.
Anche la Bolivia è un Paese poverissimo, e in più depredato da satrapi per decenni, quindi se si guarda comparativamente ad altri Paesi è logico che i dati sono quel che sono, però se si guarda al suo progredire ha fatto abbastanza bene, a mio giudizio.


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venezia63jr
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Le famiglie che razzolano ci sono anche in italia, un paese con risorse minime, eppure stiamo finendo in mano alle multinazionali, direi i parenti che hanno impiantato da noi questi cannibali.
L'argentina ha la sfiga di non aver mai finito la colonizzazione, e' un popolo di emigranti che come al solito la vedono piu' come una cosa da sfruttare che da preservare. Loro sono colonizzati perche' hanno lematerie prime noi come consumatori.


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