Originale italiano con link: http://znetitaly.altervista.org/art/8019
di Leah Bolger – 7 ottobre 2012
Sindromi da stress post-traumatico (PTSD) … accresciuto uso di ansiolitici e antidepressivi … suicidi. Questi sono tutti problemi che affliggono i combattenti statunitensi e di cui i media statunitensi hanno parlato diffusamente.
Ieri la delegazione CODEPINK in Pakistan ha ascoltato direttamente le vittime dei droni statunitensi da combattimento. Abbiamo ascoltato con attenzione le storie di questi uomini che descrivono le loro vite in termini di “prima dei droni” e “dopo i droni”, grosso modo come gli statunitensi fanno riferimento alle proprie vite “dopo l’11 settembre”.
S’immagini di avere sino a sei droni che circolano sopra le nostre teste ventiquattro ore al giorno, con un incessante, costante ronzio che non cessa mai. Il rumore dei droni crea una paura psicologica profondamente radicata, una sorta di tortura emotiva. Le vite di queste persone sono cambiate completamente, la loro cultura e il loro modo di vivere sono stati distrutti.
Questa è una società comunitaria, le cui famiglie di 60-70 persone vivono nella stessa zona. Le donne cucinano insieme, le famiglie mangiano e dormono insieme. I matrimoni e i funerali sono grandi riunioni di amici e familiari, o almeno così solevano essere. Ora, “dopo i droni” (AD [After the Drones]) tutto è cambiato. I bambini tra i cinque e i dieci anni non vanno più a scuola. Gli uomini temono di riunirci in gruppi di più di due o tre. I matrimoni, che solevano essere eventi gioiosi con musica, danze e tamburi, sono ora avvenimenti sommessi, con la presenza soltanto dei familiari più stretti. E, più tristemente, da quando i funerali sono diventati il bersaglio di attacchi di droni, anch’essi sono riunioni contenute.
A causa di norme culturali le morti delle donne non sono riferite. E’ considerato offensivo farne i nomi o scattare fotografie delle donne, tuttavia un giornalista sostenitore, Noor Beharam, ha rischiato la vita ripetutamente per cercare di documentare le morti delle donne e specialmente dei bambini. Egli ritiene che 670 donne siano state uccise da attacchi di droni e ha scattato fotografie di più di cento bambini. I loro corpi sono spesso irriconoscibili come umani dopo gli attacchi. Ci ha mostrato una foto di un uomo che regge brandelli laceri di un abito femminile che ha trovato sugli alberi, in un tentativo di documentare la morte di sua moglie.
I waziri stanno ora allevando una generazione di bambini senza istruzione e con ferite psicologiche ed emotive. L’uso del Xanax è a livelli allarmanti e il numero dei suicidi, che sono un tabù sociale e religioso, è sconvolgente. Diciassette waziri si sono uccisi a causa del terrore emotivo causato dal programma dei droni statunitensi. Ciò è qualcosa d’inaudito in questa cultura. Le famiglie finiscono profughe e si spostano in aree più urbane nel tentativo di evitare note “aree d’attacco”. L’esercito pakistano è avanzato e non consente loro di passare in Afghanistan per visitare i loro parenti nel paese, anche se l’intera regione è Pashtun e parte della loro eredità culturale e storica.
Il governo statunitense ha creato nemici dove non ce n’erano. Ci è stato parlato ripetutamente del concetto di vendetta, che è una forza sociale dominante in Waziristan. I bambini di questa regione ricorderanno cosa abbiamo fatto loro, e così i loro figli e i figli dei loro figli. Ci è stato anche detto ripetutamente che l’unico modo possibile per arrestare questa spirale è fermare i droni. Questa gente non accetterà risarcimenti monetari nemmeno se fossero offerti, e non lo sono. Non vogliono scuse, che considerano insincere. Vogliono soltanto che fermiamo i droni in modo che loro possano tornare alle loro vite “prima dei droni”.
Leah Bolger è presidente di Veterans for Peace [Veterani per la pace].
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/life-in-waziristan-2012-ad-by-leah-bolger
Originale: Warisacrime.org
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0