Gli istituti della Germania hanno crediti per oltre 100 miliardi verso società e aziende irlandesi
Salvare l´Irlanda è indispensabile non solo per l´euro, ma anche se non soprattutto per salvare le banche tedesche. Le quali sono esposte con Dublino per almeno 101 miliardi di euro, cioè ben più di qualsiasi altro paese membro dell´unione monetaria. Lo rivela la Frankfurter Allgemeine in un reportage-accusa sulla sua edizione domenicale, dal titolo "La trappola delle banche tedesche".
Il quotidiano fornisce le cifre: la Deutsche Bank e gli altri maggiori istituti di credito della Bundesrepublik hanno concesso appunto 101 miliardi di euro di crediti in Irlanda, di cui circa 40 miliardi soltanto a diverse banche dell´Eire, il resto ad aziende o a privati. Solo il Regno Unito, ex potenza coloniale, e che comunque è un´economia esterna alla moneta unica, ha concesso di più, cioè 109 miliardi. E il potere finanziario a Francoforte vuole a ogni costo evitare di iscrivere tali passivi nei bilanci. «Le richieste delle banche tedesche - afferma Lutz Raetting, di Morgan Stanley Deutschland - sono sufficientemente importanti per decidersi ad aiutare l´Irlanda». Il segnale del pressing è venuto dalla recente visita a Bruxelles del ceo di Deutsche Bank, il potentissimo svizzero Josef ‘Joe´ Ackermann. Il quale ha avuto incontri con il presidente della Commissione, Barroso, col presidente del Consiglio europeo e col commissario europeo al mercato interno. Per poi lanciarsi in dichiarazioni di acceso europeismo: «L´Europa deve essere salvata come entità unitaria, non può cadere vittima di calcoli economici a breve termine».
Secondo Hans Werner Sinn, direttore dell´istituto Ifo, la strategia degli istituti tedeschi è trasparente: «Le banche vogliono che l´emergenza sia superata, anche per tornare a poter guadagnare tranquille nell´eurozona dove con un salvataggio di Dublino le prospettive di buoni affari migliorerebbero automaticamente per loro». Tanto peggio, se aiuti e garanzie saranno poi pagate dai contribuenti europei.
Andrea Tarquini
Fonte: www.repubblica.it
22.11.2010
C'è qualcosa che non mi è chiaro in tutto questo. Diversi mesi fa si parlava dell'esposizione di Unicredit verso i paesi dell'Est. La crisi stava impedendo a quei paesi di onorare i debiti contratti. Quindi si prospettava il fallimento (si parlava di fallimento tecnico già avvenuto) di Unicredit.
Passano i mesi e Unicredit non fallisce.
Adesso si ripete il copione Unicredit. Cambiano poche variabili: i nomi della banca e della Nazione non sono più li stessi, ma la sostanza rimane invariata.
Passeranno altri mesi e tutti si dimenticheranno anche di questo enorme rischio.
O no?