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Lettera aperta a Condoleezza Rice


darkcloud
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Da http://verosudamerica.blogspot.com

Il punto sulla conduzione della politica estera statunitense a poche ore dalle elezioni in Nicaragua e negli stessi Usa. Ecco le parole della Rice e alcune mie considerazioni a riguardo.

Mercoledì 1 Novembre il quotidiano “La Repubblica” ha pubblicato un’intervista a Condoleezza Rice nella quale il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America ha toccato, tra gli altri, anche importanti tematiche come la conduzione della politica estera statunitense in America Latina. Riporterò qui alcuni passi dell’intervista seguiti da una mia lettera aperta indirizzata alla stessa Condoleezza Rice contenente alcune considerazioni sovvenutemi alla lettura delle sue risposte.

Il titolo dell’intervista è “Siamo già a metà dell’opera, si è aperta una nuova grande transizione storica in cui cerchiamo di preparare la vittoria della democrazia”.

Domanda: Che cosa dice del voto in Nicaragua e del possibile ritorno al potere di Daniel Ortega?
C. Rice: “Vedremo se, realmente, il Nicaragua intende tornare sui suoi passi. Il nostro obiettivo è garantire elezioni libere e regolari e che l’opposizione non subisca intimidazioni. Molto sta nell’adottare politiche orientate alla libera economia di mercato, provengano esse da sinistra, come in Brasile o in Cile o da destra. Noi non abbiamo problemi a trattare con governi di sinistra. Trattiamo con il Cile molto efficacemente con il Brasile, con l’Uruguay”.
Domanda: Ma non con il Venezuela e di certo non con Cuba…
C.Rice: “Avevamo in genere ottime relazioni con il Venezuela, ma ci vuole un presidente che rispetti le istituzioni democratiche. E che non si intrometta negli affari dei vicini”.

Lettera aperta a Condoleezza Rice

Stimato segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, volevo scriverLe in risposta alle sue dichiarazioni che il quotidiano italiano “La Repubblica” ha professionalmente riportato.
Sono stato molto lieto che Lei abbia parlato delle elezioni in Nicaragua, l’ennesima tappa importante per l’America Latina da qui a fine anno. Con il massimo rispetto però volevo puntualizzare alcuni punti importanti, infatti non capita tutti i giorni che in Italia si parli delle elezioni nicaraguensi e proprio per questo volevo approfittarne per parlarne più approfonditamente, facendo, se mi permette, anche un po’ di chiarezza.

Oggi 5 novembre il Nicaragua torna alle urne, gli ultimissimi sondaggi danno in testa il candidato sandinista Daniel Ortega, che i ben informati ricorderanno in quanto già presidente in questo stato nei primi anni ottanta e leader democratico della rivoluzione sandinista. Non si sa se realmente Ortega riesca a raggiungere il 35% dei voti assicurandosi così la vittoria al primo turno e scongiurando l’eventuale ballottaggio, però il punto su cui vorrei soffermarmi è un altro.

Sicuramente Lei, signora Rice, ricorderà benissimo perché terminò la rivoluzione sandinista in Nicaragua, giusto? Bene, per chi invece non lo sapesse fu un presidente degli Stati Uniti, Reagan, che profuse il massimo impegno per far cadere il governo Ortega arrivando a finanziare una carneficina in tutto il paese sino a quando nelle elezioni del 1990 i sandinisti persero alle urne soprattutto perché la popolazione non voleva più trovarsi di nuovo di fronte allo spettro della guerra civile.

Detto questo mi tornano in mente le Sue parole su Chàvez - “Avevamo in genere ottime relazioni con il Venezuela, ma ci vuole un presidente che rispetti le istituzioni democratiche. E che non si intrometta negli affari dei vicini” – e i commenti mi sembrano quasi superflui.

Tornando alle elezioni odierne in Nicaragua però avrei qualcos’altro da aggiungere. Il Nicaragua è uno dei paesi più poveri dell’America Centro-Meridionale, un esempio tangibile del fallimento delle politiche ultraliberiste promosse dagli Usa in questo continente e tutt’ora vive una gravissima crisi economica. Più del 47% della popolazione vive con 2 dollari al mese e circa 800.000 bambini non hanno accesso all’educazione di base (volevo invece sottolineare, stimato segretario di Stato, che qualche giorno fa Cuba, uno stato con il quale il suo paese si rifiuta di parlare, ha ricevuto il premio mondiale per alfabetizzazione assegnato dall’Unesco, però questo è tutt’altro discorso).

In un Nicaragua in questo misero stato si prospetta, come dice Lei, un popolo che torna sui suoi passi, con la possibile vittoria di Daniel Ortega. Devo dire che molte cose sono cambiate rispetto alla vittoria sandinista di più di vent’anni fa, el Frente Sandinista de Liberación Nacional forse non è più quello che fece sognare il popolo nicaraguense e non solo, oggi Ortega si presenta alle elezioni alleato con Morales Carazo, leader conservatore, tanto che la coalizione di Ortega viene definita sandinista-conservatrice, anche per la riconciliazione tra il sandinismo e la Chiesa nicaraguese. Nonostante questo però ritengo che Ortega sia la soluzione più giusta per il Nicaragua e la più valida in questo momento di profonda crisi, opinione che a quanto mi sembra di capire Lei non condivide.

Molto prima di leggere le sue parole sapevo già che gli Usa, nazione che Lei rappresenta in qualità di segretario di Stato, avrebbero cercato di interferire sugli esiti delle elezioni. Giusto a confermare la coerenza delle Sue parole continuo a sottolinearLe il suo auspicio riguardo alla non intromissione di Chàvez negli affari dei vicini, uno sport che però mi sembra diffuso da molti anni alla Casa Bianca. Volevo giusto ricordare le Sue parole:
“Vedremo se, realmente, il Nicaragua intende tornare sui suoi passi. Il nostro obiettivo è garantire elezioni libere e regolari e che l’opposizione non subisca intimidazioni”.

Da quanto lascia intendere dovrebbero essere gli Stati Uniti a vigilare sullo svolgimento di libere elezioni, la mia domanda è: secondo quale criterio gli Usa garantirebbero elezioni libere e regolari?

Le notizie che arrivano dal Nicaragua parlano invece di un forte interesse statunitense affinché Ortega, che ricordo in testa a tutti i sondaggi, non torni alla guida del Nicaragua. Ricordo di aver letto su “El Pais” in data 25 settembre, e quindi più di un mese fa, di una visita a Managua, la capitale nicaraguense, di Dan Burton, congressista repubblicano. Queste erano state le sue parole: “Non sono venuto per dire al popolo del Nicaragua per chi votare, questo è un diritto e una decisione che spetta a voi, mi sembra però importante che i cittadini sappiano quello che potrà succedere nel caso in cui ritorni un governo come quello sandinista dei primi anni ‘80”.

Signora Rice questa non è forse intromissione negli affari dei vicini? Lo stesso Burton auspicava una coalizione tra tutti gli oppositori di Ortega per evitare la vittoria alle urne, e non solo questo, da qualche mese la presenza statunitense in Nicaragua è stata fortissima, come si fa a dire che Lei, stimata signora Rice, vorrebbe garantire libere elezioni?

Proprio stamattina cercando informazioni a riguardo ho trovato le dichiarazioni di Mark Weisbrot, direttore del centro di investigazione economica e politica con sede a Washington, che afferma a 24 ore dal voto: “Non c’è dubbio che funzionari statunitensi stiano interferendo in maniera forte e con tutti i mezzi possibili, addirittura ci risultano abbiano minacciato l’ambasciata di Managua di sanzioni economiche contro il Nicaragua in caso di vittoria sandinista”. Mi scusi gentile segretario di Stato Usa è questo quello che intendeva quando parlava di garantire libere elezioni?

La mia è solo una domanda, ma so già che alla Casa Bianca usate spesso questi metodi per garantire libere elezioni. Ultimamente ricordo infatti le libere elezioni che avete assicurato in Ecuador, Perù e Messico come esempi lampanti. Signora Rice che mi d
ice invece di Oaxaca? Perché non ne ha parlato nella sua intervista mentre disegnava il quadro dell’America Latina attuale?

Non si preoccupi non pretendo sicuramente io una risposta, so già che a Lei come al suo presidente sta molto più a cuore impedire che Chàvez si intrometta negli affari dei vicini perché è solo vostra la priorità. D’altronde l’avete dimostrato anche in campo internazionale, al Consiglio di Sicurezza Onu, impedendo in tutti i modi che il Venezuela entrasse come membro non permanente e spingendo la candidatura del Guatemala fin quando non siete riusciti ad ottenere che entrambe si ritirassero a favore di Panama, uno stato che sicuramente non si “intrometterà”. La ringrazio gentile signora Rice per aver per l’ennesima volta dimostrato l’inutilità internazionale dell’Onu, un organismo nel quale preferite non avere nessun intralcio giusto?

Guardi signora Rice che alla fine La capisco benissimo, non deve giustificarsi in nessun modo, per voi la priorità è garantire lo stato delle cose in America Latina, non avete interesse che il Venezuela entri nel Consiglio di Sicurezza Onu, così come non avete interesse che Ortega vinca in Nicaragua. So bene anche che non avete nessunissimo interesse che Chàvez rivinca le elezioni tra un mese in Venezuela, e quindi sono qui ad aspettare e vedere cosa vi inventerete per scongiurare una vittoria più che certa a meno di 30 giorni. Lei stessa nell’intervista ha detto che gli Stati Uniti non hanno problemi a trattare con governi di sinistra ma non mi sembra che con Lula i rapporti siano poi così idilliaci come Lei descrive. Mi sembra di ricordare invece una dura reazione da parte vostra quando il Brasile, così come l’Argentina, ha dichiarato di non voler ricorrere più al Fondo Monetario Internazionale, strumento che voi, gentilissimi garanti della democrazia, utilizzate per interferire nelle politiche economiche/monetarie della maggior parte delle Nazioni in via di sviluppo.

Non si preoccupi signora Rice, non faccia caso alle mie basse insinuazioni, non sarò mica io a comprometterle la sua auspicata candidatura e presidente degli Stati Uniti, piuttosto però volevo ricordarLe, a proposito di elezioni, che anche nel suo paese a giorni i cittadini saranno chiamati alle urne. Anche da voi i sondaggi parlano abbastanza chiaro e le notizie non mi sembrano siano molto positive per voi repubblicani, nonostante il vostro sistema elettorale basato sui collegi che quasi bloccano la tanto declamata democrazia (consiglio la lettura di quest’articolo di Fabrizio Tonello), pare che nel Congresso per la prima volta dopo 15 anni non avrete più la maggioranza.

A quanto pare le Vostre politiche hanno scontentato anche molti cittadini statunitensi e si prospetta “una vittoria della democrazia sostanziale americana su quella formale, la ribellioni dei cittadini alla tirannide della paura e soprattutto si prospetta la rivolta contro l’uomo mandato in missione da Dio (il presidente G.W.Bush)” come ha scritto ieri Vittorio Zucconi su “La Repubblica”.

Spero vivamente che questo accadrà, così come spero che alle prossime presidenziali Lei signora Rice, o chi per lei sarà il candidato repubblicano, perda come è giusto che sia in democrazia. Fossi in Lei comincerei a preoccuparmi sin da ora piuttosto che cercare di intralciare le elezioni negli altri stati latinoamericani e non solo.

Sono sicuro che non farà assolutamente nessun caso alle mie parole, come è giusto che sia, e continuerà, insieme al suo presidente Bush, a liberare il mondo dagli stati canaglia e a lottare nelle “aree di crisi”, la cosa che mi rincuora, sono però le sue parole: “Siamo a metà dell’opera”. Infatti, per fortuna siamo a metà dell’opera così come è a metà il suo mandato e quello del suo presidente, per fortuna manca poco… Non si risolveranno i problemi mondiali senza Lei e Bush però forse anche noi potremmo dire di essere a metà dell’opera senza Voi alla guida degli Stati Uniti. So che le Vostre risorse sono infinite e che siete difficili a morire (politicamente) però per adesso mi accontento che il vento stia, anche se lentamente, cambiando…

I miei più cordiali saluti.
Un italiano medio che forse legge e s’informa più di quanto a Lei faccia piacere.

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