Una cultura "mortifera" ( ma sarebbe più corretto dire un vero e proprio "culto della morte" ) si è insinuato nel nostro mondo da tempo, prima silenziosamente e poi in modo sempre più evidente. Ha contaminato il cinema, la letteratura ed è persino diventato una cifra quasi stabile nel pensiero di molti intellettuali contemporanei. Non mi riferisco solo a certa brutta produzione letteraria o certo cinema muscolare infarcito di violenza, quelle sono ancora cose da poco. Esistono messaggi sottotraccia, poco riconoscibili ad una prima osservazione ma che, piano piano, ci hanno abituati ad un cambio di paradigma e ce l'hanno persino fatto "apprezzare" in un certo senso. La bruttezza sostituisce il bello e al posto della vita si esalta tutto ciò che è il suo contrario. I tre anni di pandemia e tutti i fenomeni ad essa associati sono stati, secondo me, una vera e propria celebrazione pubblica di questa cultura mortifera.
Ora, dopo aver oltrepassato determinate "linee rosse", la società mette in atto in prima persona i comportamenti legati a questa tendenza. Non è più semplice spettatrice ma protagonista, talvolta inconsapevole ( per senso di adattamento al nuovo e adeguamento ) e talvolta consapevole. Ciò che di francamente orribile viene descritto nel contributo di @ekain3 fa parte a pieno titolo di questo quadro e non dovremmo più stupirci per la mancanza di indignazione, di una reazione forte poiché i significati si invertono e l'inimmaginabile diventa prassi accettabile.