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Quanto manca al picco della domanda di petrolio?


marcopa
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da www.qualenergia.it

Quanto manca al picco della domanda di petrolio ?
di Gianni Silvestrini

Quando si parla di prezzi del petrolio ci si concentra spesso sul lato produzione, ma ad influenzare in modo decisivo le quotazioni future del greggio sarà l’andamento della domanda.

I consumi attuali sono inferiori di 5 milioni di barili/giorno (mbg) rispetto alle previsioni della IEA del 2007. La BP prevede un rallentamento della crescita del consumo di combustibili liquidi al 2035, con un incremento del 20% rispetto al 2013.

Cina, India e Medio Oriente sarebbero responsabili di quasi tutto l’incremento della domanda. Nei paesi industrializzati, che hanno visto il picco dei consumi nel 2005, la domanda di combustibili liquidi continuerà a calare. In realtà, diversi segnali fanno ritenere che si tratta di valutazioni ottimistiche e che il picco della domanda di greggio sia invece prossimo.

I dati sul calo dei consumi di petrolio negli Stati Uniti e in Europa degli ultimi anni evidenziano come, oltre agli effetti della crisi, stiano emergendo elementi di cambiamento più strutturali.

La riduzione della mobilità automobilistica in molti paesi è accompagnata dal miglioramento delle prestazioni del parco automobilistico, con una riduzione annua media mondiale dei consumi dei nuovi mezzi del 2,5%. Inoltre, tende a crescere la mobilità elettrica e a metano/gpl.

Per finire, le centrali elettriche e i dissalatori nei paesi arabi utilizzano sempre meno l’olio combustibile. E poi c’è il rallentamento di diverse economie, a iniziare da quella cinese.

La domanda di petrolio potrebbe dunque raggiungere un massimo entro un decennio. E l’accordo sul clima di Parigi rappresenta un’ulteriore spinta al contenimento dei consumi, in particolare se sul medio periodo venisse adottata una carbon tax.

Ma domanda debole, quotazioni del greggio basse e prezzi di estrazione alti rappresentano uno scenario da incubo, con colossali investimenti inutilizzabili. Non è un caso che diversi analisti consiglino alle multinazionali energetiche di disinvestire e di puntare su altri comparti, come quello delle rinnovabili. Un elemento di preoccupazione che si somma al rischio di non potere utilizzare le riserve a causa dei rischi climatici.

I paesi arabi, d’altra parte, hanno costi di estrazione molto bassi, ma i sussidi alla vendita interna dei carburanti (180 miliardi di $ nel 2012 per i paesi Opec) e le spese per la difesa dei pozzi richiederebbero invece prezzi elevati. Secondo le valutazioni dell’Arab Petroleun Investment Corporation, il valore da garantire nel 2013 era salito a 102 $/barile.

Viste le enormi ricchezze accumulate, l’Arabia Saudita può permettersi di tenere basso il prezzo per qualche anno, ma poi dovrà rialzarlo. Intanto, sta riducendo, come del resto molti altri paesi produttori, i sussidi al consumo della benzina. Per far fronte al calo delle entrate petrolifere, alla fine del 2015 i prezzi alla pompa sono aumentati dai precedenti 14,7 a 22 centesimi di euro per litro.

Il rallentamento della domanda sta mettendo in seria difficoltà diverse multinazionali e paesi produttori. Le esplorazioni più a rischio sono già state bloccate, tanto che alla fine del 2015 sono saltati investimenti per 380 miliardi di $ che avrebbero portato nel 2025 ad una produzione aggiuntiva di 2,9 mbg, per la metà da estrazioni in acque profonde.

I prezzi potranno risalire, ma le dinamiche questa volta saranno fortemente condizionate dagli impegni sul clima che tenderanno a rallentare i consumi, grazie agli investimenti su efficienza e rinnovabili, e che influenzeranno anche l’offerta di fossili, con la minaccia del congelamento delle riserve.

Gli impegni sulle emissioni avranno dunque un ruolo calmierante sui prezzi, rendendo più agevole l’introduzione di una carbon tax.

Questo articolo è un estratto dalla nuova edizione del libro di Gianni Silvestrini, “2 °C. Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l'economia”, Edizioni Ambiente, marzo 2016.

www.duegradi.it è il sito dedicato al libro. L'estratto è stato pubblicato con il consenso della casa editrice.

Gianni Silvestrini
06 aprile 2016

http://www.qualenergia.it/articoli/20160405-petrolio-quanto-manca-al-picco-della-domanda


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marcopa
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Un mese dopo Gianni Silvestrini ha pubblicato questo nuovo articolo dove riporta alcuni concetti già espressi nell' articolo precedente pubblicato ad aprile.

Marcopa

Petrolio: l'interrogativo sul picco tra domanda debole e prezzi bassi
Abbiamo già passato il peak oil, e dunque la disponibilità di greggio inizia a ridursi, oppure siamo in una nuova era di abbondanza? Le dinamiche future sono quanto mai incerte. Dipenderanno dall’evoluzione dei consumi, dai prezzi e dall’accesso a nuovi giacimenti. Vediamo di capirci qualcosa.

Gianni Silvestrini
05 maggio 2016

http://www.qualenergia.it/articoli/20160505-petrolio-l-interrogativo-sul-picco-tra-domanda-debole-e-prezzi-bassi

La percezione sulle disponibilità future di greggio nel mondo è molto diversificata. C’è chi continua a ricordare le crescenti difficoltà a individuare nuovi giacimenti, e chi sostiene invece che avremo a nostra disposizione risorse di greggio per altri cento anni, mettendo in risalto il contributo degli idrocarburi non convenzionali, come il petrolio da scisti o dalle sabbie bituminose.

Nel mondo dei petrolieri si trovano gli ottimisti a ogni costo, mentre tra gli ambientalisti lo scetticismo viene stemperato dalla constatazione che l’attuale contesto di abbondanza mette fuori gioco produzioni rischiose come quelle dell’Artico o le sabbie bituminose del Canada.

In realtà le dinamiche future sono quanto mai incerte, dipendendo dall’evoluzione dei consumi, dai prezzi, dall’accesso a nuovi giacimenti.

È interessante seguire l’evoluzione altalenante delle riflessioni dell’Iea (International Energy Agency). Questa istituzione, creata dopo la prima crisi petrolifera del 1973, è il pensatoio ufficiale sulle tematiche energetiche dei paesi industrializzati.

Un primo, inaspettato segnale di allarme viene lanciato nel 2008 da Fatih Birol, capo economista della iea: la produzione mondiale di greggio rischia di raggiungere un tetto intorno al 2020.

Totalmente diverso è il messaggio del 2012. Preso dall’euforia per il successo della produzione non convenzionale di gas e petrolio negli Stati Uniti (shale gas e oil, di cui parleremo), Birol afferma che siamo di fronte alla più grande novità energetica dalla Seconda guerra mondiale, maggiore anche dello sviluppo del nucleare.

Nel 2013 si riaffaccia una maggiore cautela. Miglioramenti tecnologici e alti prezzi consentiranno di scoprire nuove risorse, ma il mondo non è alle soglie di un periodo di abbondanza petrolifera.

Un accanito fautore di questa ipotesi è invece Leonardo Maugeri, a lungo direttore delle strategie dell’Eni, che da tempo teorizza un’offerta molto superiore alla domanda. Le quotazioni del greggio, secondo le sue analisi di qualche anno fa, sarebbero crollate e la produzione nel 2020 sarebbe salita a 110 milioni di barili al giorno (mbg).

La recente evoluzione dei prezzi conferma la validità della prima parte della sua previsione. Un calo delle quotazioni (scese fino a 28 $/barile all’inizio del 2016, pari ad un quarto dei valori che si registravano alla metà del 2014) era stato previsto sulla base dei super-investimenti nella ricerca di nuovo petrolio tra il 2003 e il 2010 che, dati i tempi necessari per arrivare all’estrazione del greggio, avrebbero portato a un eccesso di produzione attorno al 2015.5 2Sulla possibilità di raggiungere una produzione di 110 mbg alla fine del decennio.

L’analisi di Maugeri sembra invece iper-ottimista e si scontra con le dinamiche che stanno interessando la domanda di energia (nel 2015 i consumi erano di 93,8 mbg, con una crescita di 1,4 mbg stimata per il 2016). Va peraltro sottolineato il fatto che la causa principale del calo dei prezzi attuali e futuri risiede proprio nella debolezza della domanda.

I consumi attuali sono inferiori di 5 milioni di barili/giorno (mbg) rispetto alle previsioni della IEA del 2007. La BP prevede un rallentamento della crescita del consumo di combustibili liquidi al 2035, con un incremento del 20% rispetto al 2013.

Cina, India e Medio Oriente sarebbero responsabili di quasi tutto l’incremento della domanda. Nei paesi industrializzati, che hanno visto il picco dei consumi nel 2005, la domanda di combustibili liquidi continuerà a calare. In realtà, diversi segnali fanno ritenere che si tratta di valutazioni ottimistiche e che il picco della domanda di greggio sia invece prossimo.

I dati sul calo dei consumi di petrolio negli Stati Uniti e in Europa degli ultimi anni evidenziano come, oltre agli effetti della crisi, stiano emergendo elementi di cambiamento più strutturali.

La riduzione della mobilità automobilistica in molti paesi è accompagnata dal miglioramento delle prestazioni del parco automobilistico, con una riduzione annua media mondiale dei consumi dei nuovi mezzi del 2,5%. Inoltre, tende a crescere la mobilità elettrica e a metano/gpl.

Per finire, le centrali elettriche e i dissalatori nei paesi arabi utilizzano sempre meno l’olio combustibile. E poi c’è il rallentamento di diverse economie, a iniziare da quella cinese.

La domanda di petrolio potrebbe dunque raggiungere un massimo entro un decennio. E l’accordo sul clima di Parigi rappresenta un’ulteriore spinta al contenimento dei consumi, in particolare se sul medio periodo venisse adottata una carbon tax.

Questo articolo è un estratto dalla nuova edizione del libro di Gianni Silvestrini, “2 °C. Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l'economia”, Edizioni Ambiente, marzo 2016.

www.duegradi.it è il sito dedicato al libro. L'estratto è stato pubblicato con il consenso della casa editrice.

Gianni Silvestrini
05 maggio 2016


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marcopa
Illustrious Member
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il tema del picco della domanda era emerso solo tra pochi specialisti, è invece molto convincente.

Scommetterei che diventerà entro poco tempo oggetto di attenzione anche nei media più generalisti.

Marcopa

da www.grenreport.it

Ritorna il picco del petrolio: perché la domanda raggiungerà il picco entro il 2030

Il calo del prezzo del petrolio non riuscirà a vincere la progressione di auto elettriche e rinnovabili
[23 febbraio 2016]

Picco del petrolio 2

La domanda mondiale di petrolio potrebbe raggiungere il picco nel il 2030? E con il picco della domanda ci sarà anche quello delle nuove forniture di greggio? A queste domande Joe Romm risponde su ClimateProgress elencando le tendenze che ad oggi puntano su questa possibilità: a dicembre alla Cop21 Unfccc di Parigi c’è stato l’accordo unanime per lasciare sotto terra la maggior parte dei combustibili fossili mondiali; da oltre un decennio, la domanda di petrolio è in calo nei Paesi sviluppati; le vendite di veicoli elettrici stanno esplodendo in tutto il mondo, in particolare in Cina; i prezzi delle batterie stanno continuando nella loro inaspettatamente rapida diminuzione dei prezzi; Tesla e Chevy ora dicono che il loro nuovo 200-mile-range Ev potrebbe costare 30.000 dollari, un prezzo game-changing.

Già nel novembre 2015, Bloomberg Business scriveva che «l’industria petrolifera è stato messa sull’avviso. La trasformazione dei mercati petroliferi potrebbe arrivare prima di quanto pensiamo».

Romm si chiede: «E’ possibile che il mondo in realtà stia attualmente seguendo il percorso del “Transport Transformation Scenario” e del picco della domanda di petrolio entro il 2030 o giù di lì?», e risponde: «A questo punto penso che non solo è possibile, ma che sia probabile. E’ sempre più chiaro che sarà la tecnologia a renderlo possibile, anzi, c’è già quasi ora. Lo stesso vale per le energie rinnovabili necessarie ad limentare le auto elettriche carbon-free».

Per Romm il problema principale è se i governi del mondo vogliono davvero mettere in atto le politiche necessarie per accelerare l’ingresso di queste tecnologie per arrivare davvero a livello globale al picco della domanda di petrolio entro 10 o 20 anni, visto che il picco della domanda di greggio nei paesi industrializzati sembra essere stata raggiunta un decennio fa.

La ragione di tanto ottimismo sta nel pur “incompleto” storico accordo di Parigi, che secondo Romm innescherà riduzione sempre più forti delle emissioni di gas serra per mantenere il surriscaldamento globale «ben al di sotto di 2° C sopra ai livelli preindustriali», mentre i governi si sono impegnati «a proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1.5° C rispetto ai livelli preindustriali».

Romm fa notare che «mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2° C richiede essenzialmente a ogni paese di avere zero emissioni nette di combustibili fossili entro la fine del secolo. Gli attuali impegni di 186 Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo — Intended nationally determined contributions (Indcs) — sono solo il primo passo del cammino.

Le Indcs “appiattiscono” le emissioni inquinanti di carbonio entro il 2030. Non a caso, le emissioni globali di CO2 si sono stabilizzate negli ultimi due anni, il che suggerisce come uno spostamento globale dei finanziamenti da molti trilioni di dollari dalla crescita high-carbon a quella low-carbon sia già iniziato.L’umanità può già avere un precedente per lasciare volontariamente il combustibile fossile tanto prezioso nel terreno: il consumo di carbone globale sembra aver raggiunto il picco nel 2013».

Il picco nel consumo di carbone è dovuto alla tendenza degli ultimi 10 anni nei paesi industrializzati a ridurne il consumo, e soprattutto alla recente brusca inversione del consumo di carbone cinese. Nei paesi Ocse, negli ultimi 10 anni, si osserva la stessa riduzione nel consumo di petrolio. Inoltre, la recente rapida crescita del consumo di petrolio nei Paesi in via di sviluppo rallenterà nei prossimi 15 anni, per poi calare come successo nei Paesi sviluppati. Anche perché, per avvicinarsi ai 2° C concordati a Parigi, il consumo globale di combustibili fossili deve iniziare a calare rapidamente dopo il 2030.

«Dato che l’inversione dei trend globali del carbone e del petrolio dipenderanno molto dalla Cina, e dal momento che la Cina è stato il principale motore della crescita della domanda di petrolio del mondo in via di sviluppo – dice Romm – significativamente, proprio per la sua recente politica per il carbone, dove la Cina è stata più motivata dal desiderio di ridurre drasticamente l’orrendo inquinamento atmosferico urbano che dalla sua volontà di evitare cambiamenti climatici catastrofici, il Paese sarà determinante anche per la sua politica petrolifera e nel settore dei trasporti. Dopo tutto, sono sia la combustione del carbone che veicoli sporchi che rendono la qualità dell’aria di città come Pechino estremamente malsana».

Questo è uno dei motivi per cui la Cina sta fortemente investendo sulle batterie e sui veicoli elettrici (Ev). L’altra ragione è che la Cina capisce il futuro low-carbon e zero-carbon e vuole diventare leader mondiale sia nella produzione che nell’uso di veicoli elettrici a batteria, così come lo è già per l’eolico il solare. Nel 2015 il mercato Ev cinese è triplicato e la BYD Auto Company, partecipata da Warren Buffett, a gennaio ha annunciato di essere diventata il più grande produttore Ev della Cina e del mondo, ed è convinta che il mercato Ev cinese raddoppierà quest’anno e ancora nel 2017 e 2018: questo significa che entro 3 anni le vendite di veicoli elettrici in Cina potrebbero superare il milione all’anno.

Jean-Francois Belorgey, un esperto di mercato automobilistico di Ernst and Young, sottolinea che «se la Cina si mobilita sulle auto elettriche questo poi porterà automaticamente a prezzi più bassi e avrebbe un effetto a catena positivo in tutto il mondo». Romm aggiunge: «Questo è esattamente quello che è successo nell’industria del solare fotovoltaico, che ha portato all’esplosione esponenziale dell’energia solare a livello mondiale in questo decennio». La stessa cosa potrebbe avvenire per le batterie e per le auto elettriche: «Sì, i prezzi del petrolio sono bassi, ma anche a questi prezzi i veicoli elettrici hanno ancora un costo di rifornimento per miglio molto più basso rispetto alle auto a benzina».

Romm affronta anche l’apparente contraddizione di un picco della domanda che si prospetta nonostante il calo dei prezzi del greggio: «Si potrebbe pensare che i prezzi del petrolio bassi alimentino un boom dei consumi di petrolio nei Paesi in via di sviluppo. Ma, come ha spiegato la scorsa settimana il Wall Street Journal, i prezzi bassi per il petrolio (e di altre materie prime) sono un male per le economie di molti paesi in via di sviluppo, soffocando la crescita della domanda».

Romm conclude che sul lungo termine ci sono due cose che contano di più: «Primo, i trend di batterie ed Ev continueranno certo a crescere in modo esponenziale. Secondo, il mondo sta iniziando a fare sul serio su come evitare cambiamenti climatici catastrofici ma non siamo ancora disperati, come sarà invece inevitabile negli anni 2020, quando la realtà dell’accelerazione del cambiamento climatico diventerà sempre più evidente, e la necessità di adottare politiche sempre più forti per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 2 ° C diventerà sempre più urgente. L’idea del picco dell’approvvigionamento del petrolio – l’idea che il nostro limite (la domanda) del petrolio avrebbe superato la nostra possibilità (fornitura globale) – è morta . Sembra invece che l’Homo sapiens possa semplicemente essere abbastanza saggio da non arrivare all’eccesso, che possiamo lasc
iare volontariamente lasciar andare il petrolio (e il carbone) prima che distruggano un clima vivibile per le prossime 50 generazioni. Lo speriamo».

http://www.greenreport.it/news/clima/ritorna-il-picco-del-petrolio-perche-la-domanda-raggiungera-il-picco-entro-il-2030/


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marcopa
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Se ho ben capito, wallstreettitalia ha messo in linea questo articolo, uscito ad aprile, dopo che lo avevo copiaincollato su CDC......questa mattina....

http://www.wallstreetitalia.com/opinioni/quanto-manca-al-picco-della-domanda-di-petrolio/

Dimostrato ancora una volta, se stanno così le cose, che CDC ha una sua utilità !!!!!

Marcopa


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