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Ricostruiamo la Siria imparando da Padre Frans


marcopa
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da www.siriapax.org
Sito del Coordinamento nazionale per la pace in Siria

“RICOSTRUIAMO LA SIRIA IMPARANDO DA PADRE FRANS”
— 22 ottobre 2014

Qual è stata negli ultimi tre anni la novità per i cristiani ad Homs? Perché sono fuggiti in 50.000 lasciando ogni cosa alle loro spalle? E' perché le loro case sono state date alle fiamme o occupate, le chiese devastate. L’esercito di opposizione aveva imposto loro la Jizya (la tassa islamica): la prospettiva data dai ribelli pro-democrazia era una esistenza grama, di serie ‘b’. Ma allora, il gesuita Van der Lugt , cosa ci faceva ancora lì? Padre Frans era rimasto ad Homs per custodire il monastero ed il suo gregge, (ma il suo servizio era sopratutto all'uomo, ospitava nel monastaro sia mussulmani che cristiani).

E’ quello che lui stesso ha detto in più occasioni “Il Popolo di Siria mi ha dato così tanto, tanta gentilezza“. Tanta mitezza era ripagata con l’affetto, la gente semplice lo stimava ed è dalla stima e non dalla paura che viene la vera autorevolezza.

In sua memoria riproponiamo un estratto di un ottimo articolo apparso sulla rivista Rivista Tracce "RICOSTRUIAMO LA SIRIA IMPARANDO DA PADRE FRANS" di Luca Fiore ( servizio a pag 13 ''Guerra e Pace'' del numero di ottobre):

Il gesuita Ziad Hilal racconta la vita a Homs: "I bombardamenti cambiano molte cose, ma non toccano l'essenziale della fede".

"All'inizio non capiva perché noi aiutassimo anche musulmani. Era pieno d'odio perché era stato costretto a fuggire da casa sua. Poi dopo due settimane che lavorava con noi, è cambiato. Ora neanche lui fa più distinzioni tra cristiani e musulmani".

Padre Ziad Hilal, direttore del Jesuit Refugee Service (Jrs) a Homs, Siria, racconta uno dei tanti segni di speranza che vede dentro il dramma della guerra. Perché la pace non si costruisce solo al palazzo di vetro o al G20, ma anche e soprattutto dove le bombe cadono davvero. "Qui la guerra ha portato una tensione settaria che prima non c'era", spiega il gesuita: " ma é proprio per questo che raccogliamo i bambini per far giocare insieme: così anche gli adulti possono tornare a incontrarsi".

Oggi la città vecchia di Homs non è più controllata dai ribelli, ma in alcuni quartieri si combatte ancora. Mancano cibo, medicine, vestiti caldi per l'inverno. Padre Hilal ne ha di lavoro, eccome. Basti pensare agli 11 centri di supporto psicologico dove giocano centinaia di ragazzini. Le tre case di accoglienza che ospitano 65 bambini portatori di handicap mentale. Il punto di distribuzione di aiuti umanitari che serve 3000 famiglie della città e altrettante della regione. Un'opera imponente, che padre Hilal ha raccontato al meeting di Rimini e che racconta, negli ultimi mesi ha avuto una svolta. Un cambiamento di metodo. Ispirato da padre Frans van der Lugt, il suo confratello ucciso il 7 aprile.

Che cosa l'ha più segnata in questi anni di guerra?

Innanzitutto vedere che il mio paese viene distrutto. Non mi sarei mai potuto immaginare la violenza che vedo oggi. E poi l'essere stato tanti mesi ad attendere di rivedere padre Frans. Lui abitava nel centro storico, io a meno di un km di distanza. Ma era impossibile incontrarsi. Eravamo vicinissimi, ma per due anni siamo stati divisi dalla guerra. Poi quella mattina ho ricevuto una chiamata…

Se l'aspettava?

Ogni tanto qualcuno ci chiamava dicendo che era morto. Ma le notizie erano sempre state smentite. Quella mattina, però, qualcuno mi ha fatto pensare che fosse vero. Ho chiamato per verificare: "Dov'è padre Frans"? La voce dell'altra parte ha risposto: "È tra le mie braccia, è morto assassinato".

Da quel giorno è cambiato il suo modo di stare a Homs?

Per me c'è un prima e un dopo la morte di Frans. Prima il nostro obiettivo era entrare nella città vecchia per poterlo vedere e aiutare. Oggi cerchiamo di seguire la sua lezione: lui ha sempre lavorato più sull'ascolto che sulla urgenza umanitaria.

Cosa fate di diverso?

Abbiamo una casa di ritiri in una zona di montagna. Abbiamo iniziato a usarla per invitare i giovani, la gente comune e nostri collaboratori. Abbiamo pensato che occorresse prendersi delle pause dal lavoro umanitario. Io stesso l'ho proposto alla mia équipe. Siamo tornati a guardare il fatto che la vita è una cosa bella, non è soltanto un continuo lavorare. Occorre prendersi un po' di riposo, trovare il tempo per pregare. Era quello che faceva, lì nella città vecchia padre Frans: passava il suo tempo a pregare per la Siria e per noi. Oggi la sua tomba è diventata meta di pellegrinaggio: 20 o 30 persone ogni giorno. Cristiani e Mussulmani..

È strano che un gesto di violenza come questa uccisione produca, anziché odio, desiderio di pace e riconciliazione.

Padre Frans ha pagato con la vita la fine della tragedia nella città vecchia. Ha donato se stesso e questo ha permesso che la gente potesse tornare a vivere in quella parte di Homs. Qualche giorno prima che morisse gli abbiamo di nuovo chiesto se volesse spostarsi in un luogo più sicuro. Lui ha risposto di no: "Io qui sono l'unico sacerdote del quartiere, sono l'ultimo custode dello Spirito Santo". Ha testimoniato che l'odio non può vincere.

È' cambiato il suo modo di vivere la fede in questi anni?

La guerra cambia molte cose della vita, ma non può toccare l'essenziale della fede. Continuiamo a celebrare messa, a pregare e radunarci anche sotto i bombardamenti. Una volta sono cadute delle bombe a pochi metri dalla nostra Chiesa mentre dicevo l'omelia. Ci siamo fermati per un momento, poi ho continuato con la messa.

Quando dice "l'essenziale della fede" che cosa pensa?

Il nostro credere in Dio, a Gesù Cristo e alla nostra Chiesa. Nessuno può toccare questo. Perché, come dice Papa Francesco, la vita dell'uomo è un legame con il Destino.
L'uomo è sempre sotto la protezione di Dio e né la guerra, nè l'odio, nè la violenza possono cambiare il nostro modo di credere in Lui. I credenti a Homs sono rimasti credenti. Certo, possono esserci momenti di dubbio. Chi si può chiedere dove sia Dio dentro la violenza. Ma la gente vede che la guerra non è prodotta da Lui, ma dagli uomini.

Ha avuto paura? Ha paura oggi ad Homs?

Sì, c'è la paura di tutti giorni, è per tutti così: la paura di essere cacciati, di essere uccisi da una pallottola o da una bomba. Ma alla fine abbiamo la certezza che Dio ci protegge.

http://www.siriapax.org/?p=1910


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marcopa
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C'è una parte della Siria che resiste, aiutata spesso dalle chiese cristiane o da qualche moschea.

Il Coordinamento nazionale per la pace in Siria sta organizzando iniziative di aiuto concreto a chi è rimasto in Siria. Utili a mantenere una vita alla società siriana, anche se una vita durissima, e a resistere alla violenza, al dolore e alle distruzioni.

Siamo all' inizio di questo impegno, ma confidiamo nell' aiuto di molte persone che ancora non conosciamo. Non serve solo denunciare i paesi guerrafondai, occidentali o petromonarchie che siano, serve anche aiutare concretamente i siriani che vivono ancora in Siria. E questi non sono certo i siriani più ricchi.

Marcopa


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marcopa
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La Siria è ancora viva, aiutiamola!
— 26 ottobre 2014

Da ''gli occhi della guerra'' Reportage
– Il Giornale La Siria é ancora viva. Aiutiamola…

E' l'appello di Naman Tarcha, giornalista siriano e Segretario del Coordinamento per la Pace in Siria. Il neonato Coordinamento, costituito a luglio di quest'anno, nasce dalla volontà di ridare voce ai siriani.

Quali sono gli obiettivi del Coordinamento per la pace in Siria?

Vogliamo ritornare a fare luce sulla Siria: per anni la situazione nel Paese è stata raccontata secondo il punto di vista di una sola parte, quella degli interessi dell'Occidente. Vogliamo creare uno spazio alternativo di informazione che attraverso tutti i canali sostenga i siriani ridando loro voce.

Come è possibile, al di là di un'informazione alternativa, sostenere il popolo siriano?

Partendo da progetti, anche piccoli, ma concreti. Purtroppo accade spesso che i fondi destinati a popoli sofferenti non arrivino mai: in guerra, forse più che in pace, c'è sempre qualcuno che cerca di lucrare sulle sofferenze altrui. Il Coordinamento per la pace in Siria non crea progetti ad hoc bensì segue e sostiene i progetti siriani che già esistono. La Siria infatti, a differenza di quanto credono in molti, non è affatto un Paese morto: certo, una parte del Paese è stata completamente distrutta ma ve ne è un'altra che sta lottando con tutte le forze per rialzarsi, per tornare a vivere. A noi piace molto la definizione della Siria come La Fenice che rinasce dalle proprie ceneri.

Il Coordinamento per la pace in Siria vuole fare da ponte tra i numerosi enti, associazioni siriani impegnati in progetti di ricostruzione ed enti, associazioni italiani che si occupano di aiutare il prossimo in diversi campi. Per esempio, in Siria un interlocutore importante è rappresentato dai frati francescani nella figura del vicario apostolico di Aleppo George Abu Khazen. Per questo cerchiamo di promuovere anche gemellaggi tra diocesi siriane e diocesi italiane, o tra quanti in Siria cercano di valorizzare i beni culturali e quanti lo fanno in Italia.

Scopo del Coordinamento è di individuare partner italiani che entrino in contatto con realtà siriane che stanno concretamente cercando di ricostruire il Paese. Inoltre, prima c'era una cooperazione con l'Italia molto significativa nel campo medico che vogliamo ripristinare, ma anche nei settori industria e commercio, essendo la Siria da sempre primo partner con l'Italia, attraverso piccoli progetti per creare occupazione. Vogliamo essere un vero e proprio call center, una voce per quelle associazioni della società civile che vogliono aiutare dando così vita ad un circolo virtuoso per ridare speranza al popolo siriano.

Può farci qualche esempio di questi progetti?

Crediamo che per ricostruire un Paese provato come la Siria, è fondamentale il ruolo della scuola. Solo educando le generazioni più giovani si può restituire speranza al Paese tutto. Per questo il Coordinamento fa da ponte tra scuole siriane che a causa della guerra sono state trasformate in centri di accoglienza e scuole italiane che vogliono aiutarle a tornare a essere centri di educazione. Inoltre, Le accennavo prima alla promozione del patrimonio artistico: la Siria ha un patrimonio culturale e architettonico ricchissimo che è stato in parte distrutto dalla guerra ma che i siriani stanno tenacemente cercando di ricostruire, come i resti romani vicino ad Aleppo o quelli di Damasco. I segnali della volontà del popolo siriano di tornare a vivere sono numerosi: a Homs i muri della città sono stati ripuliti e ridisegnati con immagini di fiori, sole, insomma di vita.

A Latakia i cittadini si sono organizzati per ridipingere i muri delle scuole, a Tartus un gruppo di volontari ha ridato vita ad un parco giochi, a Damasco sono stati rimessi in ordine numerosi spazi verdi, ad Aleppo, che, molti non sanno, è una città di 4 milioni di abitanti, giovani volontari si sono organizzati per pulire le strade. Una parte della città, quella a nord, è in mano ai terroristi (come testimonia Gian Micalessin nel suo reportage da Aleppo ndr: guarda il servizio) ma ve ne è un'altra che vuole risollevarsi e sta usando tutte le sue forze per farlo. Oltre alla cura del patrimonio e dell'ambiente, i siriani hanno anche dato vita a progetti di occupazione femminile e stanno rimettendo in piedi imprese storiche che sono state costrette a chiudere a causa della guerra.
Tutti segnali questi di come la Siria non sia affatto un Paese morto: sotto le ceneri della guerra, c'è una fiamma che attende solo di riaccendersi. Per farlo ha bisogno del sostegno di enti e associazioni che per loro stessa vocazione aiutano il prossimo.

Il Coordinamento fa appello alla società civile. Crede che la politica debba fare pubblica ammenda rispetto a scelte sbagliate nei confronti del popolo siriano?

Credo che ci sia una indubbia responsabilità politica che va denunciata, sia che questa responsabilità sia causata da ignoranza o da malafede. Ora, per esempio, si parla tanto dei profughi siriani: benissimo purché si parli anche della popolazione siriana che deve convivere a fianco dei terroristi e che, come dicevo sopra, sta lottando per rimettersi in piedi. Dal momento poi che i canali politici tra la Siria e l'Italia sono chiusi a causa dell'embargo e delle sanzioni europee che colpiscono i siriani, non ci resta che fare appello alla società civile.

Crede che il governo italiano debba riaprire il dialogo con il governo siriano?

E' necessario riaprire i canali ufficiali altrimenti ci troviamo di fronte alla classica situazione del cane che si morde la coda. Le faccio un esempio: il più grande ospedale della Siria per la cura dei tumori si trovava ad Aleppo. E' stato completamente distrutto. Il Coordinamento sta cercando di portare dei medici ad Aleppo dal momento che la città è stata letteralmente abbandonata dai medici che non possono più lavorare ma a causa dell'embargo non ci sono né medicinali né attrezzature. Come le dicevo, fin quando i canali ufficiali rimarranno chiusi, l'unica strada percorribile è quella della società civile.

Come si può aiutare il Coordinamento per la Pace in Siria?

Chi volesse aiutare può dare un sostegno diretto al Coordinamento attraverso una donazione sul nostro sito www.siriapax.org o può segnalarci enti o associazioni che hanno voglia di aiutare indicando il campo di azione di tali realtà. Sarà poi nostro compito mettere in comunicazione queste realtà italiane con quelle siriane.

http://www.siriapax.org/?p=1963


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