da www.sibialiria.org
IL MASSACRO DI KHAN AL-ASAL
6 agosto 2013
Cosa è successo la notte tra il 22 e il 23 luglio a Khan al-Asal, un villaggio a maggioranza sciita e alawita (circa il 90% della popolazione) situato in posizione strategica a sud-ovest di Aleppo?
Innanzitutto, è bene ricordare che a Khan al-Asal il 19 marzo 2013 gruppi armati hanno lanciato un missile contenente sostanze chimiche, secondo la denuncia del governo siriano – confermata anche dal governo russo – all’Onu, provocando 25 vittime e oltre un centinaio di feriti. Si ricorda che in un primo tempo i sostenitori dei gruppi armati hanno cercato di incolpare l’esercito arabo siriano dell’accaduto.
Secondo le ricostruzioni più dettagliate e le testimonianze raccolte terroristi affiliati allo Stato islamico dell'Iraq e del Levante, Jabhat al-Nusra e i sostenitori del califfato islamico hanno dapprima attaccato e poi invaso il quartiere abbandonandosi ad agghiaccianti crimini: “dopo aver massacrato i militari siriani, i terroristi hanno ucciso tutti quelli che si trovavano per le strade, poi hanno fatto irruzione nelle abitazioni e ucciso i giovani sparando alle loro teste, hanno decapitato gli anziani e bruciato decine di donne”, raccontano i testimoni. Infine, non soddisfatti, come estremo atto di estremismo, hanno lasciato frasi settarie sui corpi delle vittime scritte con il sangue dei cadaveri e mutilato i corpi prima di gettarli in una fossa comune alla periferia della città.
Se le prime notizie sull'accaduto – il 26 luglio, quando si è diffusa la notizia – parlavano di un centinaio di morti (150 secondo fonti dell'opposizione diffuse dal solito fazioso “Osservatorio siriano” di Londra), con il passare delle ore e dei giorni è emersa una realtà ben più sconvolgente: oltre 350 persone, tra cui 150 militari e oltre 120 civili, tra cui molti donne, bambini e anziani (secondo fonti diffuse da Al-Hadath News). Più di 220, secondo al-Manar, sono stati identificati.
Dall'alto della sua sfacciataggine, la coalizione d'opposizione (ovvero quella fazione della sempre più frastagliata opposizione accreditata dalle potenze occidentali e dagli stati del Golfo) ha condannato l' “esecuzione di massa” di decine di soldati a Khan al-Asal, annunciando addirittura la creazione di una commissione d'inchiesta:
“Un video … mostra quello che sembra essere un'esecuzione collettiva di un certo numero di soldati. La Coalizione condanna questo atto e ha annunciato una commissione d'inchiesta, sottolineando la necessità di perseguire tutti coloro il cui coinvolgimento in questo crimine è provato”, si legge in una dichiarazione.
Una reazione ormai di routine, dato che ogni volta che le milizie commettono dei massacri pronta arriva la negazione o la condanna con inutili proclami.
La dichiarazione, poi, prosegue scagionando il cosiddetto “libero esercito”, sottolineando come dalle prime indicazioni emerge “il coinvolgimento di gruppi armati non affiliati con il personale del libero esercito” e ribadendo “la coalizione e il comando della stato maggiore generale del libero esercito condannano tutte le violazioni della convenzione di Ginevra … indipendentemente dall'autore”.
Un'affermazione che non convince, dato che tra gli autori del crimine, secondo l'osservatorio siriano, ci sarebbe anche la brigata Ansar al-Liwa Khilafa, un gruppo affiliato al “libero esercito”.
E convince ancor meno se si ascoltano le dichiarazioni del leader del cosiddetto "consiglio militare" delle bande del "libero esercito", Abdel Jabbar al-Akidi, che, proprio a causa di questa presa di posizione ha annunciato che la coalizione nazionale fatta nascere a Doha "ora non li rappresenta più": "Non siamo parte della coalizione che ha condannato quello che è successo a Khan al-Asal, invece di dire che si trattava di legittima difesa e tutto questo solo a favore dell'occidente", ha detto in una dichiarazione diffusa il 3 agosto, "Noi rappresentiamo solo coloro che lavorano in campo … e non quelli all'estero".
In realtà appare ormai sempre più evidente che Jabhat al-Nusra viene usato unicamente come un capro espiatorio buono per giustificare tutti gli estremismi e facilmente eliminabile dalla scena non appena risulterà troppo ingombrante e non più utile allo scopo.
Sul massacro si è espressa anche Navi Pillay che, in una dichiarazione del 2 agosto, ha detto: “Gli eventi di Khan Al-Assal sono un'ulteriore prova che flagranti violazioni del diritto umanitario e del diritto umanitario internazionale sono tragicamente diventati la norma nel conflitto siriano … C'è bisogno di una approfondita indagine indipendente per stabilire se i crimini di guerra sono stati commessi. Ed i responsabili di tali crimini devono essere portati davanti alla giustizia” e ha aggiunto ”Le forze di opposizione non devono pensare di essere immuni da procedimenti giudiziari. Devono rispettare le loro responsabilità ai sensi del diritto internazionale”.
Sembra difficile, anche alla luce di simili “coincidenze” precedenti, attribuire unicamente al caso il fatto che questo massacro sia avvenuto l'indomani dell'arrivo in territorio siriano dei due rappresentanti dell'Onu incaricati di indagare proprio sugli autori di questi attacchi. In effetti, diversi osservatori hanno immediatamente avanzato l'ipotesi che il massacro avesse come scopo primo quello di eliminare prove ed eventuali testimoni che avrebbero potuto accusare le bande criminali legate al cosiddetto “libero esercito”, come già avevano fatto a pochi giorni di distanza dall'accaduto ai microfoni della giornalista russa Anastasia Popova.
In particolare, l'analista Finian Cunningam ha osservato: "Dato il quadro potenzialmente schiacciante che si stava formando intorno a Khan al-Asal, è plausibile che gli squadroni della morte appoggiati dall'Occidente siano stati spediti in città lo scorso fine settimana in un disperato tentativo di sterminare i rimanenti testimoni della prima strage con armi chimiche … Per gli sponsor occidentali del genocidio in Siria, la posta in gioco non avrebbe potuto essere superiore a quella particolare verità che potrebbe uscire. Ecco perché la verità doveva essere massacrata.”
Pierangela Zanzottera