Attenzione: originale italiano con numerosi link
http://znetitaly.altervista.org/art/7339
di Chris Spannos - 25 agosto 2012
Tre mesi dopo che WikiLeaks ha cominciato a pubblicare i documenti della ‘Global Intelligence’ – più di 5 milioni di email della società di raccolta di informazioni riservate Stratfor – il giornalista dell’ufficio londinese del New York Times Ravi Somaiya ha detto ai suoi lettori che “WikiLeaks non pubblica materiale significativo da più di un anno.” (“La sentenza di estradizione attende il fondatore di WikiLeaks”, 29 maggio 2012, NYT). Tuttavia nel giorno in cui sono stati diffusi i documenti della ‘Global Intelligence’ (27 febbraio 2012) WikiLeaks ha rivelato che la Stratfor ha pagato fonti diplomatiche; ha appoggiato il maltrattamento psicologico e materiale di almeno un informatore; ha cercato di utilizzare un precedente accesso a informazioni segrete per un fondo d’investimento strategico creando un veicolo (la StratCap) che avrebbe “operato in una gamma di strumenti geopolitici, in particolare obbligazioni governative”; ha controllato attivisti, anche per la sua cliente Dow Chemicals e si è coinvolta in accordi segreti con organizzazioni mediatiche. La sprezzante altezzosità di Somaiya a proposito dei documenti della ‘Global Intelligence’ è rivelatrice del trattamento di WikiLeaks da parte del Times.
Grazie alla partecipazione del NYT eXaminer (NYTX) a un’indagine associata organizzata da WikiLeaks abbiamo avuto accesso i documenti della ‘Global Intelligence’ e abbiamo scoperto materiale che il Times dovrebbe trovare significativo. Il materiale mostra che i giornalisti del Times dipendono dalla Stratfor nonostante gli interessi di quella società nel promuovere il dominio industriale e governativo statunitense in patria e all’estero, accrescendo la segretezza del governo ed erodendo le libertà civili. Inoltre la Stratfor ha un rapporto perverso con i propri informatori, incongruo con i parametri del Times quanto al trattamento delle fonti. I documenti della ‘Global Intelligence’ evidenziano anche esempi di dipendenti della Stratfor che hanno consapevolmente manipolato giornalisti del Times, alcuni dei quali sembrano sin troppo desiderosi di essere guidati dalla nefasta società di ‘informazioni globali’ con sede in Texas.
La Stratfor si protesta “obiettiva” e “non di parte” ma gli editori del Times non sono ignari delle motivazioni della società o del fatto che raccoglie informazioni riservate in modi immorali. Nel 2003 il giornalista del Times Matt Bei ha incontrato il direttore generale della Stratfor, George Friedman, alla vigilia dell’invasione dell’Iraq un profilo della società in un momento particolarmente adatto. Il profilo ha evidenziato l’atteggiamento bellicoso della Stratfor nei confronti dei diritti umani e della legge internazionale. Bai ha riferitoche George Friedman era in grado di “convivere” con un “massacro” dei curdi “se esso avesse consentito agli statunitensi di arrivare a Baghdad più in fretta.” (“Come viviamo oggi”, Matt Bai, NYT, 20 aprile 2003). Nonostante tale approccio grossolano, il Times a messo a disposizione di George Friedman spazi per editoriali d’apertura e dà credito agli analisti della Stratfor. Inoltre George Friedman ha sostenuto nel suo recente saggio “La geopolitica degli Stati Uniti: l’impero inevitabile” che “l’imperativo finale” degli Stati Uniti come potenza dominante consiste “mantenere divisa l’Eurasia nel maggior numero possibile di potenze diverse (preferibilmente ostili).” L’Eurasia comprende la massa continentale dell’Europa e dell’Asia e conta al suo interno più del 70% della popolazione mondiale.
Tre anni fa – precedendo la missione di Obama in Pakistan che ha portato all’assassinio extragiudiziale di Osama Bin Laden, gli ordini segreti del presidente di trasmettere ondate di attacchi cibernetici contro le strutture nucleari iraniane e la sua “Lista segreta dei bersagli delle uccisioni” per assassinare esseri umani mediante la guerra dei droni – il Times ha pubblicato l’editoriale d’apertura di George Friedman “Offerte afgane, richieste russe” (febbraio 2009, NYT) insistendo che l’amministrazione Obama doveva “affidarsi meno alle truppe e più a operatori clandestini, come la CIA” in Afghanistan. La preferenza di Friedman per le azioni clandestine è interessante perché queste operazioni sfuggono spesso al controllo e alla responsabilità nei confronti del pubblico, erodono le libertà civili e rendono i diritti umani e la legge umanitaria internazionale una follia. Il disprezzo del cavaliere della Stratfor per la trasparenza rivela tendenze antidemocratiche antitetiche all’ideale di una cittadinanza informata con la capacità di partecipare liberamente e pienamente alla società, rendendo possibile la pratica libera ed egualitaria dell’autodeterminazione. Anche se non è forse sorprendente, dato il coinvolgimento della Stratfor nel sistema di sorveglianza “antiterrorismo” TrapWire utilizzato per controllare gli attivisti (Doc-Id:5355966). (“TrapWire e Stratfor sono partner commerciali”, 14 agosto 2012, Darker Net).
Nonostante l’ambivalenza (al meglio) della Stratfor e, al peggio, il suo sostegno per i crimini di guerra, l’appoggio alla guerra clandestina, la partecipazione alla corrosione dei diritti alla privacy e gli applausi all’Impero – spesso sulle stesse pagine del Times – le email ottenute da WikiLeaks rivelano che il principale autore del Times in materia di terrorismo e sicurezza nazionale, Erich Schitt (Doc-ID: 577559), il capo dell’ufficio di Londra, John F. Burns (Doc-ID: 501124) e altri (Doc-ID:12750) tengono in alta considerazione le informazioni fornite dalla Stratfor e attribuiscono valore a un agevole accesso ad esse. Anche molti altri giornalisti del Times hanno accessi e i loro direttori editoriali hanno ricercato l’accesso per la sezione esteri e per il loro ufficio in generale (Doc-ID:620711). Nel 2009 la Stratfor ha affermato di avere 34 utenti “con un indirizzo emali @nytimes.com” (Doc-ID: 219254). Due giornaliste del Times, Jane Perlez e Carlotta Gall, sono entrate in rapporti stretti con la società dopo un incontro in Pakistan con il direttore della Stratfor per l’Asia Meridionale, Kamran Bokhari. Le giornaliste del Times hanno ricercato e ottenuto accesso alle notizie riservate della Stratfor e hanno contraccambiato pubblicando sei settimane dopo le opinioni di Bokhari in “Rifiuto agli USA, il Pakistan si tira indietro dal giro di vite” (14 ottobre 2009, NYT).
Informazioni riservate e giornalismo e il trattamento immorale delle fonti
La Stratfor, fondata nel 1996, si definisce specializzata in “analisi geopolitiche” per clienti individuali e imprese (in pratica i loro clienti includono anche agenzie governative). La società è di proprietà privata e dipende gerarchicamente dal fondato e direttore generale George Friedman, che è il capo del servizio informazioni e supervisore finanziario della società (Doc-ID: 898587). La moglie di George Friedman, Meredith Friedman, è capo della sezione internazionale e vicepresidente delle comunicazioni. Fred Burton, in precedenza agente speciale del servizio della sicurezza diplomatica degli Stati Uniti è il vicepresidente per l’antiterrorismo e la sicurezza delle imprese. Entrambi riferiscono direttamente a George Friedman. Al livello successivo i “funzionari di sorveglianza” riferiscono sulle informazioni. Gli “analisti” della Stratfor, detti anche “gestori”, discutono ed esaminano le informazioni e scoprono e creano “relazioni con individui al fine di sfruttare le informazioni”. Gli informatori della Stratfor costituiscono la base essenziale della gerarchia. (“Stratfor: dentro il mondo di un
a CIA privata”, 27 febbraio 2012, Al Akhbar). La Stratfor fornisce tre tipi d’informazioni riservate: “Consapevolezza situazionale”, che descrive come “sapere quel che conta”; “Analisi” che dice agli associati “cosa significano realmente gli eventi mondiali” e “Previsioni”, che, afferma la società, sono “previsioni analiticamente rigorose di ciò che accadrà”. Nel decidere cosa conta, cosa significano gli avvenimenti e cosa accadrà, la Stratfor è mossa dagli interessi dei suoi clienti paganti, compresa la Dell Computers, la Coca Cola, la Raytheon e molti altri.
In un periodo di riduzione dei costi del giornalismo d’inchiesta, i giornalisti del Times sono sempre più sotto pressione per fornire le ultime notizie e analisi appropriate in tempi molto stretti. I giornalisti spesso si affidano – ripetendole senza approfondire – alle dichiarazioni e ai comunicati stampa del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca. Forse non è sorprendente, perciò, che i giornalisti del Times si affidino anche a organizzazioni di spionaggio come la Stratfor per aver accesso rapido e agevole a informazioni e analisi che possano costituire la base per nuovi articoli. Tuttavia, la dipendenza cieca dei giornalisti del Times da organizzazioni coinvolte in interessi industriali e con scarso riguardo per la legge internazionale o per l’etica del trattamento degli informatori o delle fonti non può non essere messa in discussione.
Il direttore generale della Stratfor, George Friedman, sostiene pubblicamente che gli analisti d’intelligence della Stratfor (diversamente ai canali mediatici) forniscono informazioni a valore aggiunto, che guardano al futuro, su cosa e perché accadrà. “E’ qui che la Stratfor è davvero diversa da un’organizzazione giornalistica. Un’organizzazione giornalistica essenzialmente guarda indietro.” (A proposito della Stratfor: informazioni riservate e giornalismo). Privatamente, tuttavia, George Friedman sembra accettare una distinzioni meno retoricamente sofisticata: “Non siamo affatto come il [NYT] perché i loro giornalisti si identificano sempre come tali. Noi possiamo farlo o meno, a seconda di come ci conviene. Questa è la differenza fondamentale tra chi si occupa di informazioni riservate e chi fa il giornalista. La fonte può non sapere mai di essere stata una fonte, il che definisce l’operare clandestinamente.” (Doc-ID: 1196088). Nel suo profilo del 2003 della Stratfor per il Times, Matt Bai ha descritto una relazione perversa con i clienti in cui “alcuni dei 150.000 abbonati web della Stratfor [a luglio 2011 ne sono riferiti 292.000 (Doc-ID] – che comprendono devoti appartenenti all’esercito, a governi stranieri e alle 500 maggiori imprese di Fortune – sono diventati anch’essi informatori.” [“Il modo in cui viviamo oggi”, NYT, 20 aprile 2003). Il “Glossario di Stratfor di termini utili, confusi e inconsueti del settore delle informazioni riservate” spiega che la loro definizione di ‘fonte’ è “chiunque abbia mai parlato con un agente che raccoglie le informazioni” e che per fonte può intendersi “qualsiasi cosa sia stata detta una volta per passare dalla guardia al cancello allo scopare la moglie del presidente.” (vedere glossario).
Il testo del New York Times “Giornalismo etico] tutto il possibile per accrescerla.” Tuttavia il Times ha ampi e immorali precedenti di dipendenza dalla Stratfor.
Prima del 2008 la dipendenza del Times dalla Stratfor come fonte d’informazione e analisi era minima. Tra il 1998 e la fine del 2004 il Times ha pubblicato solo sei articoli che si riferivano alla Strafor. Il direttore generale della Stratfor George Friedman ha scritto il primissimo pezzo “Il fallimento economico della Russia invita a un nuovo stalinismo”, un editoriale di apertura che il Times ha pubblicato l’11 settembre 1998. Tra il 1999 e il 2002 giornalisti del Times hanno utilizzato come fonti vari rapporti della Stratfor e un analista non nominato della società. Nel 2003 il Times ha pubblicato il profilo della Stratfor scritto da Matt Bai “Il modo in cui viviamo oggi” (20 aprile 2003, NYT).
La dipendenza del Times dalle informazioni della Stratfor ha toccato il suo picco nel 2008, una tendenza che, secondo le verifiche del NYTX, continua anche quest’anno. Tra il primo editoriale d’apertura del 1998 di George Friedman e il 7 maggio 2012 il Times è ricorso a contenuti della Stratfor in circa sessantasei occasioni. Cinquantasei di esse si sono verificate dal 2008, con una media di una volta al mese, ogni mese per quattro anni e cinque mesi.
Tra il settembre 1998 e il maggio 2012 il Times ha fatto riferimento a rapporti, mappe, immagini e analisi della Stratfor per circa sedici volte; ha citato, fatto riferimento o parafrasato il vicepresidente del settore analisi della società, Peter Zeihan, cinque volte; l’analista per il Medio Oriente e l’Asia Meridionale Kamran Bokhari cinque volte; il vicepresidente Fred Burton cinque volte; e il direttore generale George Friedman venticinque volte. Anche molti altri analisti della Stratfor sono stati utilizzati come fonti. In modo molto più preoccupante, giornalisti del Times hanno anche pubblicato come proprie informazioni e analisi della Stratfor. Poiché ciò si verifica senza che la Stratfor sia citata, non possiamo accertare quanto spesso accada. (Doc-ID:
1765641,1822533, 1780740, 1691055, 5101192, 2232067, 1317065, 1338652)
Il “giornale di riferimento” come piattaforma propagandistica
In base alla legge statunitense la Stratfor è tenuta ad agire nel miglior interesse dei propri azionisti e pertanto ad accrescere i profitti. Non insolitamente, una strategia di marketing consiste nel diffondere l’”identità centrale del marchio” della società. Tuttavia ciò comporta “pubblicità a basso costo” il che significa accreditare i propri analisti come “esperti credibili” mediante la “presenza sui media”. Così la Stratfor tiene traccia di tutte le sue apparizioni mediatiche. Un’implicazione per i giornalisti che si affidano alle informazioni della Stratfor o ai suoi analisti, pertanto, è che essi attuino una strategia propagandistica a favore della Stratfor. (Doc-ID: 1344762). Cos’è che la Stratfor considera l’identità centrale del proprio marchio? Una risposta possibile sarebbe l’offerta di analisi e informazioni strategiche che siano d’interesse del parco clienti esistente o potenziale. Ciò spiegherebbe la strategia dell’azienda di rivolgersi ai “canali mediatici in base al profilo del pubblico” (Doc-ID: 1304054). Pubblicando le informazioni in spazi strategicamente importanti la Stratfor non solo accresce le sue possibilità di ottenere nuovi clienti, ma sfrutta anche le informazioni nell’interesse dei clienti esistenti, producendo un impatto sull’opinione pubblica riguardo a temi politici chiave a vantaggio dei propri clienti. E’ operando così che la società aumenta la probabilità di fare nuovi clienti.
La Stratfor è consapevole della considerevole credibilità assicurata dalla presenza sul Times e dunque del ruolo pubblicitario unico che il giornale può svolgere per essa. Quando il Times ha intervistato l’analista della Stratfor, Karen Hooper, nel 2009 il responsabile delle pubbliche relazioni della società, Brian Genchur, si è congratulato con la Hooper per il risultato: “La migliore intervista della storia! Un gran lavoro, Karen!” Ma il direttore generale George Friedman si è concentrato su ciò che era importante: “Grande per il nostro sistema di gestione della qualità * comparire sul NYT!” [* QSM – decifrazione dell’acronimo incerta – n.d.t.] (Doc-ID:13155). Inviando per email un altro articolo che utilizzava come fonte la Stratfor, Meredith Friedman ha affermato: “Buon lavoro per un giornalista del NYT; e magnifico per la Stratfor. Questo ci aiuterà a farci riconoscere più che altri spazi in cui siamo citati.” (Doc-ID_3531311). E quando i giornalisti del Times
Damien Cave e Ravi Somaiya hanno intervistato Fred Burton per il loro articolo del 4 novembre 2011 “I fatti si confondono mentre la faida in rete finisce nel cassetto”, la Stratfor ha continuato a tener nota della sua pubblicità: “Terza citazione sul NYT in meno di 7 giorni”. (Doc-ID:1316654).
Il Times presta credibilità alla società anche mettendo a disposizione spazi in evidenza per le informazioni della Stratfor e utilizzandole per articoli in mezzo ad altre fonti con credenziali più elevate, come presidenti e diplomatici. “George [Friedman] è stato citato oggi in un articolo del New York Times sulle opzioni della politica estera di Obama, considerati i risultati delle recenti elezioni. La sua citazione è in grande evidenza (terzo paragrafo, primo esperto citato) e hanno incluso un collegamento alla pagina iniziale del sito. E’ una grande citazione per la STRATFOR; bel lavoro George,” ha scritto il direttore delle pubbliche relazioni Kyle Rhodes (Doc-ID: 1348631). (“A Obama la politica estera può offrire un’autostrada per il successo”. 4 novembre 2010, NYT). Questo articolo del Times evidenzia perfettamente come i giornalisti del quotidiano daranno credito alle raccomandazioni di Friedman su come gli Stati Uniti possano esercitare efficacemente il loro potere economico e politico. In questo caso particolare Friedman sostiene che il presidente Obama “potrebbe minacciare di chiudere il mercato statunitense alla Cina se essa non rivalutasse la sua moneta”. In questo pezzo sono rimarchevolmente assenti suggerimenti alternativi per programmi di piena occupazione e salari più alti per ridurre l’estrema e insostenibile disparità di ricchezza. Sono anche assenti dichiarazioni che delineino quale sarebbe l’impatto della chiusura del mercato statunitense alla Cina per i consumatori degli Stati Uniti e per i lavoratori cinesi al servizio degli interessi dei consumatori statunitensi e occidentali, spesso in condizioni disumane. I suggerimenti per avviare politiche che ridurrebbero la disuguaglianza senza precedenti negli Stati Uniti sono spesso accolti con disprezzo dalle grandi imprese tra le quali vi sono clienti paganti di George Friedman.
Che i giornalisti ripetano le analisi, i segreti e le informazioni di Stratfor nei loro articoli, spesso senza metterle in discussione, trasmette un pregiudizio riguardo al pubblicare notizie adatte a essere stampate per un gruppo sociale specifico: proprietari di aziende e imprenditori, fornitori di servizi che agiscono nell’interesse di proprietari di aziende e imprenditori e dirigenti governativi che sono costantemente – e con successo – oggetto di pressioni lobbistiche da parte di quella gente. La porta girevole tra il governo e il mondo degli affari suggerisce che quelli che fanno lobby spesso sono oggetto di lobby e viceversa. In realtà, come abbiamo visto, il Times concede costantemente spazio a editoriali d’apertura del direttore generale della Stratfor, George Friedman, usa la Stratfor come fonte per gli articoli e occasionalmente sembra fare aperta pubblicità per la Stratfor, come nel pezzo del Times del giugno 2002 che descriveva varie tariffe e servizi della società di spionaggio. (“Luoghi pericolosi: rischi per la sicurezza spesso sottovalutati”, 22 giugno 2002, NYT).
Oltre alla strategia del piazzamento del prodotto mediante la “pubblicità a basso costo” l’indagine del NYT eXaminer ha scoperto che la Stratfor ha speso decine di migliaia di dollari nello sfruttare il prestigio del Times per gonfiare la propria reputazione di ‘esperti credibili’. Si è comprata in numerose occasioni il percorso sino alla lista dei bestseller del Times. Promuovendo il libro di memorie Ghost [Fantasma] del 2008 del vicepresidente dell’intelligence Fred Burton, il vicepresidente della Stratfor per la stampa, Aaric Eisenstein, ha scritto: “Ho detto alla Random House che ordineremo tramite la B&N (Barnes & Nobel) di spingere il libro di Fred nella lista dei bestseller del NYT … ci costa circa 4.000 dollari aprirci la via fino alla lista.” (Doc-ID: 3635756). Analogamente la Stratfor ha venduto diverse migliaia di copie del libro di George Friedman ‘The Next 100 Years’ [I prossimi cento anni] primo di averlo al magazzino, per farlo entrare nella lista (Doc-ID: 1271821). E del libro successivo di George Friedman ‘The Next Decade’ [Il prossimo decennio] la Stratfor ha acquistato 2.339 copia per 52.012,32 dollari. L’acquisto ha fatto entrare il libro di George Friedman nella lista dei ‘bestseller’ del Times agli inizi del mese successivo (Doc-ID: 267008, 1422548 e 254534).
Parte del piano per quest’ultimo libro consisteva nell’offrire The Next Decade come omaggio a potenziali sottoscrittori della Stratfor. Ma almeno una persona ha rifiutato l’offerta scrivendo: “Ancora! Abbiamo avuto Thomas Friedman, l’opinionista della terra piatta del New York Times, e Milton Friedman, l’economista accademico del libero mercato che, fino a suo ultimo giorno ha predicato quanto fosse splendido il libero mercato. E ora un altro Friedman – cioè lei – che se viene fuori con un libro nuovo … Con tutto il dovuto rispetto penso che abbiamo avuto abbastanza Friedman e loro prolissità pontificali.” (Doc-ID:473739)
Concorrenti sociali dalla doppia faccia
Anche se utilizza opportunisticamente il Times come piattaforma per la propria promozione, la Stratfor contemporaneamente considera il giornale come un concorrente sociale. Da un lato gli analisti della Stratfor utilizzano il Times per misurare l’efficacia del proprio lavoro. Dall’altro esultano per la possibilità di ottenere informazioni potenzialmente incriminanti sul giornale e spesso manifestano animosità nei suoi confronti. La direttrice della Stratfor Cina, Jennifer Richmond, ha spiegato che le loro collaborazioni con i media – che escludono il Times – riguardano il modo in cui essi “sperano di superare pubblicazioni come il NYT” (Doc-ID:1748912). E tracciando questa visione della dipendenza del Times dalla Stratfor, il direttore del settore multimediale, Brian Genchur, ha scritto: “Il motivo per cui i media si rivolgono a noi per informazioni e analisi è che noi, per definizione, non siamo una fonte di dominio pubblico. Se nominassimo tutte le nostre fonti allo stesso modo del NYT, allora si rivolgerebbero direttamente alla ‘fonte originale’ delle informazioni (da dove le abbiamo raccolte) invece che a noi. Il NYT non fa analisi pari alle nostre, ma questo è un altro discorso”. (Doc-ID:1196088).
La Stratfor riconosce che, al fine di diffondere efficacemente consulenze nell’interesse dei propri clienti, la società deve essere percepita come fonte credibile di competenza, il che significa che gli analisti della Stratfor devono comparire sul “giornale di riferimento”. La società riconosce anche che il suo sfruttamento delle informazioni arriva a un pubblico importante e influente tra i lettori del Times. Il pubblico del New York Times, tuttavia, è anche lo stesso pubblico che la Stratfor vorrebbe avere come abbonato pagante del proprio sito, creando un rapporto contemporaneamente reciprocamente dipendente e concorrenziale.
Pur tentando di conseguire un “vantaggio” sul Times gli analisti della Stratfor discutono regolarmente gli articoli del giornale per le visioni che offrono (Doc-ID: 1125785) e per avvalorare il proprio lavoro. A volte la Stratfor si consulterà con una delle sue fonti coperte per avere una seconda opinione sulle informazioni pubblicate dal Times (Doc-ID: 119490). Tuttavia, nonostante la Stratfor utilizzi il Times per valutare il suo stesso lavoro, gli analisti della Stratfor spesso scartano e minimizzano il giornale. “Come nella maggior parte degli articoli del NYTimes, non dice dice niente di nuovo e le cose più valide che in realtà dice noi le abbiamo dette sei mesi fa” ha scritto l’analista della Stratfor Marko Papic (Doc-ID: 1672247, 1796025 e 1732382). Il vicepresidente della sezione informazioni Fred Burto
n ha detto in relazione a un altro articolo: “Niente di nuovo qui. […] Diventa nuovo perché lo dice il NYT.” (Doc-ID: 386775). Ciò nonostante lo stesso analista che critica il giornale si tuffa sulla prima occasione che ha di apparire sulle sue pagine. Il 4 gennaio 2011 Liz Alderman capo corrispondente finanziario per l’International Herald Tribune, edizione globale del New York Times, ha scritto alla Stratfor dicendo “Ho visto il video dell’analisi di Marko Papic sulla visita europea di questa settimana del vicepresidente cinese e vorrei intervistarlo al telefono per un articolo al quale sto lavorando sulle intenzioni della Cina qui …” Kyle Rhodes, della Stratfor, chiede a Papic: “Hai tempo oggi per questa cosa?” Papic non esita: “Uh … diavolo, sì!”. (Doc-ID: 1694453). L’intervista della Alderman a Papic compare nel suo articolo del 6 gennaio 2011 “Pechino, offrendo sostegno all’Europa fa il proprio tornaconto”.
Al tempo stesso la concorrenza della Stratfor con il New York Times significa che alla società amano disseppellire informazioni sporche che potrebbero rovinare la reputazione del giornale. Quando nel 2009 è uscita la notizia che il miliardario messicano Carlos Slim stava per finanziare il Times con un’iniezione di contanti pari a 250 milioni di dollari, Fred Burton ha scritto: “Sarebbe interessante sapere anche a cosa mira [Slim] del cartello [della droga]. Mi chiedo quanti soldi della droga sono riciclati in questa operazione.” Aaric Eisenstein ha risposto: “Scoprilo. Ne verrebbe fuori una campagna MITICA. Semplicemente opporsi al NYT!” (Doc-ID: 3447461). Il cliente della Stratfor, Dell Computers, aveva fatto un’indagine per conto suo solo qualche mese prima che il Times rimborsasse il finanziamento di Slim nell’agosto 2011. (Doc-ID: 411681). E Burton aveva chiesto al suo contratto presso la Drug Enforcement Agency [DEA – agenzia antidroga] responsabile per il Messico (MX): “Billy, il miliardario MX Carlos Slim è collegato ai narcos?”. Senza produrre alcuna prova, Billy aveva risposto: “Il miliardario MX delle telecomunicazione [lo] è …” (Doc-ID: 1208803).
Quando la coda scodinzola l’opinionista
La Stratfor si dà molto da fare per creare rapporti con i giornalisti del Times in modo che gli autori del giornale possano essere più inclini a fare affidamento sugli analisti della Stratfor. Ma in altre occasioni i dipendenti della Stratfor si sono spinti più in là nel manipolare consapevolmente i giornalisti del Times, come nel caso della corrispondente del Times presso la Casa Bianca, Helene Cooper. Nel 2008 il numero di volte in cui il giornale ha fatto riferimento alla Stratfor è cresciuto notevolmente. Nella seconda metà di quell’anno la Cooper si è affidata al direttore generale George Friedman sei volte (tre volte soltanto ad agosto e tre volte tra novembre e dicembre). A cominciare dagli inizi del 2009 la dipendenza della Cooper dalla Stratfor è diminuita ma l’utilizzo in declino della società da parte sua è coinciso con un aumento complessivo da parte dei suoi colleghi. Questo aumento complessivo si è tradotto nel ricorso del Times alla Stratfor per 66 volte dall’inizio del 2008, con una media di più di una volta al mese, ogni mese, per un periodo di quattro anni e cinque mesi.
L’analisi del NYT eXaminer mostra che la Cooper è ricorsa pesantemente al direttore generale George Friedman, citandolo in dieci articoli su undici. Nell’unica occasione in cui la Cooper è ricorsa a un analista della Stratfor diverso da George Friedman è stato perché egli non era disponibile e le è stato raccomandato un altro analista. “Helene, adesso siamo in effetti a Kiev ma ci sposteremo a Varsavia domani. Dovresti davvero parlare con Rodger Baker …” (Doc-ID: 289986). La Cooper è stata d’accordo e ha intervistato Baker per il suo articolo che il Times ha pubblicato tre giorni dopo. (“Richiesta alla Cina di agire come gli USA”, 27 novembre 2010, NYT). Anche se la Cooper si era rivolta anche a diversi diplomatici e funzionari governativi, essi avevano offerto solo citazioni misurate e spesso anonime. Il ricorso a Friedman ha consentito alla Cooper di pubblicare “previsioni” e ipotesi non controllate. Che la Cooper non si sia affidata ad alcuna fonte non governativa con altrettanto fervore esprime il suo favoritismo nei confronti di George Friedman e della Stratfor.
Inoltre gli articoli della Cooper hanno dato a George Friedman un piedestallo dal quale esporre come gli sviluppi geopolitici avrebbero influenzato la potenza degli Stati Uniti. A proposito del massacro di Mumbai del dicembre 2008 Friedman ha affermato che esso influenzava “l’intricata costruzione [da parte di Obama] di ciò che potrebbe accadere nell’Asia Meridionale con la giusta spinta statunitense.” (“Il domino mortale dell’Asia Meridionale”, 6 dicembre 2008, NYT) Quando il Kirghizistan ha legittimamente chiuso una base statunitense, ciò è stato interpretato come “un colpo di avvertimento davanti alla prua (statunitense)”. Invece di riconoscere che il Kirghizistan poteva non volere la base statunitense sul proprio territorio la colpa della chiusura è stata attribuita alla Russia. La Cooper ha citato l’opinione di Friedman a proposito del fatto che gli Stati Uniti avrebbero dovuto “prendere una decisione strategica su cosa sia più importante, la loro politica nei confronti della Russia o la loro politica nei confronti dell’Afghanistan.” Nemmeno una volta la Cooper ha citato gli attivisti per la pace russi, kirghisi o statunitensi. (“Posta in gioco alta alla conferenza di Obama sulla sicurezza nel fine settimana”, 6 febbraio 2009, NYT). Analogamente nei suoi articoli basati sulla Stratfor la giornalista non ha intervistato esperti che avrebbero potuto sostenere il primato dei diritti umani e della legge internazionale nell’arena delle relazioni internazionali.
La Stratfor ha visto il potenziale di fare della Cooper un canale sin dal primissimo articolo per il quale ella ha fatto ricorso alla società, “Nello scontro in Georgia una lezione sul bisogno statunitense della Russia” (10 agosto 2008, NYT). Meredith Friedman ha scritto: “Penso che abbiamo sviluppato un buon rapporto con lei e la terremo aggiornata su quel che succede. Le insegneremo anche cosa è importante osservare in questo conflitto!” E’ chiaramente inappropriato che una società il cui direttore generale ha mostrato disprezzo per la responsabilità, la trasparenza e i diritti umani insegni a qualsiasi giornalista cos’è “importante” in un conflitto.
E’ anche peggio di così. Riferendosi al primo articolo scritto dalla Cooper basandosi sulla Stratfor, un altro analista, Aaric Eisenstein, ha reagito: “Questo è l’articolo che ho girato a allstratfor (‘tuttastratfor’, una lista email). Sembra che George abbia scritto l’intera cosa al posto suo.” George Friedma ha risposto: “In un certo senso l’ho fatto.” (Doc-ID: 3513561). Che la Cooper abbia plagiato il lavoro della Stratfor – o permesso a George Friedman di scrivere in incognito un articolo del Times per lei – è piuttosto sbalorditivo e costituisce chiaramente un’infrazione del codice di condotta del Times. “I collaboratori che plagiano o che consapevolmente o avventatamente forniscono informazioni false per la pubblicazione tradiscono il nostro patto fondamentale con i nostri lettori … “ Che la Stratfor consenta alla Cooper di cooptare – volontariamente – le sue analisi è interessante e suggerisce che – anziché semplicemente essere in affari per pubblicare informazioni strategiche oggettive e imparziali – la Stratfor è in affari per cercare di influenzare la percezione del pubblico su temi politici a fare degli interessi dei propri clienti e riconosce l’opportunità di farlo mediante il Times.
Anche se la Cooper era disponibile e a volte persino ansiosa di pubblicare il materiale della Stratfor nei suoi articoli, il NYT eXaminer non ha trovato alcuna prova
che la Cooper sapesse che la Stratfor le stava insegnando “cosa è importante cercare” o che fosse volontariamente d’accordo a consentire che George Friedman scrivesse almeno un articolo per lei. Tuttavia la Cooper ha mostrato la sua disponibilità a collaborare con la Stratfor non molto dopo nel suo articolo “Il domino mortale dell’Asia Meridionale” (6 dicembre 2008). In tale articolo la Cooper ha pubblicato di nuovo informazioni della Stratfor e gli analisti della società hanno reagito così: “Gran posizionamento nella sezione Week in Review (Sintesi della settimana) del giornale di domani … la giornalista ha esposto [lo scenario in] cinque punti di George che lui le ha fornito in un’intervista. E’ una magnifica pubblicità per la Stratfor.” (Doc-ID: 1803489). La giornalista ha pubblicato altri nove articoli basati sulla Stratfor da allora, undici in totale.
A partire dal 2008 Helene Cooper è parsa raccomandare la Stratfor ad altri giornalisti e ai direttori del Times. La Cooper ha forse bisogno che le sia ricordato il manuale del ‘Giornalismo Etico’ del Times che afferma chiaramente che:
“I rapporti con le fonti richiedono il massimo di solido giudizio e autodisciplina per evitare la parzialità, di fatto o apparente. Coltivare le fonti è una capacità essenziale, spesso pratica più efficacemente in contesti informali al di fuori del normale orario di lavoro. Tuttavia i collaboratori, specialmente quelli assegnati a compiti specialistici, devono essere vigili riguardo al fatto che i rapporti personali con fonti di notizie possono spingere al favoritismo, di fatto o apparente. E, per contro, i collaboratori devono essere consapevoli che le fonti sono ansiose di conquistare la nostra fiducia per motivi loro.” (NYT, 2004).
Nel 2009 Meredith Friedman scriveva che inviava alla Cooper e ad altri giornalisti i comunicati stampa della società “perché ho un forte e duraturo rapporto personale con loro.” (Doc-ID:271755). Nel 2010 Meredith ha ascritto a un altro corrispondente del Times presso la Casa Biana, Mark Landler: “Helene Cooper suggerisce che potresti essere interessato a partecipare all’evento della Stratfor sulla Cina …” (Doc-ID: 289379). In quello stesso anno la Cooper forniva informazioni su contatti con un direttore del Times in modo che George Friedman potesse sottoporre un editoriale d’apertura (Doc-ID:289583). E nello stesso giorno in cui la Cooper trasmetteva le informazioni per i contatti con il direttore George Friedman compariva in due articoli diversi sul Times. La Cooper era l’autrice di uno di essi e si riferiva a George Friedman come fonte “della Stratfor” (Per Obama, la politica estera può offrire autostrade per il successo, 4 novembre 2010, NYT). Il secondo articolo di quel giorno, di Alan Cowell, non specificava alcun collegamento di George Friedman con la Stratfor, men che meno che si trattava del suo direttore generale. Cowell lo citava invece come “uno specialista statunitense in affari esteri” (Estero, il timore per i risultati di medio termine possono far svoltare gli Stati Uniti verso l’interno”, 4 novembre 2010, NYT). Anche se l’articolo della Cooper era concentrato sulla politica estera di Obama e quello di Cowell sulle elezioni interne, entrambi i giornalisti consentivano a George Friedman di pontificare su Obama a novembre 2010 come un leader statunitense indebolito in patria e bisognoso di compensare ciò con una forte politica all’estero per garantire il ruolo degli Stati Uniti nel mondo, implicando che gli interessi statunitensi hanno la precedenza su quelli delle popolazioni impoverite e vulnerabili all’estero.
Conclusione
Il rapporto perverso tra la Stratfor e il New York Times – documentato in questo articolo ed esteso dal settembre 1998 al maggio 2012 – è un esempio dei problemi della dipendenza dei media dominanti da imprese e governi potenti e viceversa. Anziché incoraggiare i propri giornalisti ad agire da diligenti controllori del potere, i giornalisti del New York Times hanno apprezzato l’accesso a informazioni e analisi di proprietà privata, raccolte clandestinamente. La Stratfor ha beneficiato di un vasto accesso alle pagine del Times, compreso l’accesso diretto a giornalisti – e in alcuni casi controllo su quanto essi pubblicavano – e addirittura dello sfruttamento della classifica dei “best-seller” del giornale. Ma la Stratfor si basa – a volte in modo grossolano e illegale – sulla raccolta di informazioni clandestine. Ciò rappresenta un problema per tutte le istituzioni mediatiche che si affidino a tali società e aspirino a prassi e condotte etiche.
Il 4 aprile 2010, a solo giorni di distanza dalla diffusione, da parte di WikiLeaks, del video sull’”Omicidio collaterale”, l’opinionista del Times Noam Cohen ha scritto al vicepresidente della Stratfor per l’antiterrorismo e la sicurezza aziendale, Fred Burton, per chiedergli un’intervista su WIkiLeaks, “l’informe organizzazione basata sulla rete che ha recentemente pubblicato un video ripreso da un elicottero Apache nel corso di un attacco che ha ucciso 12 civili, compresi due giornalisti della Reuters”. (Doc-ID:397697). Anziché complimentarsi con WikiLeaks per la pubblicazione di un video che informava il pubblico statunitense del comportamento del suo governo all’estero e gettava luce sulle azioni delle forze d’occupazione, Burton ha sostenuto nell’articolo di Cohen “Cosa farebbe oggi Daniel Ellsberg dei Quaderni del Pentagono?” (18 aprile 2010, NYT) che il video di WikiLeaks alla fine “danneggia l’operatività dei servizi segreti statunitensi perché intralcia i tentativi di migliorare la comunicazione tra le agenzie.” La preoccupazione di Burton per i danni alle operazioni d’intelligence governative era prevedibile visto che tra i suoi clienti ci sono il Dipartimento della Sicurezza Patria statunitense e altre agenzie governative, e visto che la sua società è in affari nel settore della raccolta di informazioni private e clandestine. Tuttavia è più sorprendente che Burton dovesse trovare un alleato per far valere la sua tesi nell’ex direttore esecutivo del Times, Bill Keller. Agli inizi del 2012 Keller, soltanto a giorni di distanza dalla pubblicazione da parte di WikiLeaks dei documenti sulla ‘Global Intelligence’, ha scritto che “l’eredità più palpabile della campagna di WikiLeaks per la trasparenza è che il governo statunitense è più riservato che mai”. (“WikiLeaks, un poscritto”, 19 febbraio 2012, NYT). Tali affermazioni negano l’importante funzione che WikiLeaks svolge nel tentare di assicurare un qualche controllo sull’esercizio del potere informando il pubblico e facendo così lievitare la richiesta di trasparenza e rispondenza. Si tratta anche di affermazioni piuttosto isteriche quando si tratta del direttore esecutivo che ha cercato l’approvazione di ogni angolo del governo nel caso della pubblicazione dei Dispacci delle Ambasciate, fornendo al governo un rifugio da possibili sollecitazioni alla trasparenza e negando il proprio dovere “di fornire le notizie imparzialmente, senza timori né favoritismi” (il patriarca del Times Adolph S. Ochs, 1896).
Nella sua storica sentenza del 1971 sul caso ‘The New York Times contro gli Stati Uniti’ relativa alla pubblicazione dei “Quaderni del Pentagono” la Corte Suprema confermò i diritti e le responsabilità della stampa affermano che “Nel Primo Emendamento, i Padri Fondatori hanno concesso alla libera stampa la protezione di cui deve godere per [adempiere] il suo ruolo essenziale nella nostra democrazia. La stampa deve essere al servizio dei governati, non dei governanti.” Invece di informare il pubblico delle notizie che giudica nel nostro miglior interesse, il New York Times ha messo in “allarme preventivo” i “rappresentanti della Casa Bianca, il Dipartimento di Stato, l’Ufficio del Direttore dei Servizi Segreti Nazionali, la C.I.A., l’Agenzia dei Servizi Segreti dell’Esercito, lo F.B.I. e i Pentagon
o” e ha pubblicato selettivamente i dati dei Dispacci di WikiLeaks che sono stati approvati dalle agenzie governative. (“La gestione di Assange e dei segreti di WikiLeaks”, 26 gennaio 2011, NYT) Le conseguenze a lungo termine di questa scelta sono di vasta portata, con un impatto potenziale sulla libertà della stampa e sulle libertà civili nell’intero pianeta. (“Il quarto potere abdica alla propria libertà di stampa: WikiLeaks e il New York Times”, 8 febbraio 2012, NYTX).
Il New York Times ha recentemente informato di una caccia dell’F.B.I. a funzionari governativi di alto livello di diverse agenzie in coincidenza con l’approvazione, da parte del Comitato del Senato sui Servizi Segreti, di norme “mirate a contrastare gli scambi tra i dirigenti dei servizi d’informazione e i giornalisti.” L’indagine dell’F.B.I. si è estesa alla Casa Bianca, al Pentagono, all’Agenzia per la Sicurezza Nazionale e alla C.I.A., e ha gettato “un chiaro gelo sulla copertura mediatica dei temi della sicurezza nazionale con le agenzie che negano interviste di routine e rifiutano aggiornamenti di sfondo.” (“L’inchiesta sulla fuga di notizie di WikiLeaks sta gettando il gelo nella stampa”, 1 agosto 2012 NYT). Questo esempio molto reale del governo statunitense che diventa “più riservato che mai” non è, come pretende Keller, colpa di WikiLeaks. Il comitato editoriale del Times ha recentemente suggerito al proprio pubblico che questo giro di vite sul giornalismo riguardante la sicurezza nazionale e le ‘gole profonde’ è “una reazione alle recenti rivelazioni dei media giornalistici a proposito della cosiddetta lista degli omicidi di sospetti terroristi individuati per essere oggetto di attacchi di droni e di altre questioni relative ai servizi segreti” che il Times aveva pubblicato. Ma il caporedattore del Times, Dean Baquet, ha negato che gli articoli fossero il risultato di notizie fuoruscite dal governo e ha spiegato che essi “sono così chiaramente il prodotto di tonnellate e tonnellate di giornalismo.” (“Il New York Times: le nostre non erano fughe di notizie”, 7 giugno 2012, Politico).
Che le informazioni siano state ottenute grazie a giornalismo d’inchiesta, che comprendeva o meno l’ottenere materiale fatto trapelare, è irrilevante. C’è bisogno di altro giornalismo di questo tipo per garantire la responsabilità. In realtà il comitato editoriale del Times sostiene che negare ai cittadini l’accesso a informazioni “essenziali per il dibattito nazionale su temi critici quali la misura dei poteri di spionaggio del governo e l’uso della tortura” potrebbe “compromettere la democrazia”. Perseguire la verità non provoca la segretezza del governo. Giustificare il controllo dello stato sull’accessibilità d’informazioni di interesse pubblico e creare un ambiente in cui i governi e le loro amministrazioni si ritengano autorizzate a decidere quali informazioni possano essere rese disponibili al pubblico perpetua la segretezza governativa.
Il problema sembra essere tra quelli che vogliono una reale trasparenza per denunciare gli abusi di potere del governo e delle imprese e migliorare la partecipazione dei cittadini al processo democratico e quelli che vogliono tener nascosti quegli abusi ampliando nel frattempo la guerra clandestina e tenendo le operazioni clandestine celate al radar del pubblico nel minare le garanzie costituzionali e la legge internazionale.
Chris Spannos è direttore del NYT eXaminer (NYTX). Il NYTX è un progetto mediatico che si batte per nuovi standard editoriali nei media giornalistici tradizionali, compresa l’applicazione appropriata della legge internazionale, dei diritti umani e di altre norme che promuovono la verità e la giustizia sociale. Sito web: www.nytexaminer.com
[Nota a fini di trasparenza]
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/an-unethical-record-stratfor-and-the-new-york-times-by-chris-spannos
Originale: NYTX
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0