Agromafie, “business da 15,4 miliardi. 5mila ristoranti alla criminalità”
I dati sono stati raccolti dal rapporto di Eurispes e Coldiretti. L'ex procuratore di Torino Gian Carlo Caselli e ora a capo dell'Osservatorio sulla criminalità agroalimentare: "Gli affari illeciti sono aumentati del 10 per cento solo nell'ultimo anno"
di Elena Ciccarello | 15 gennaio 2015 COMMENTI
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Una filiera che corre “dal produttore al consumatore”, per un giro di affari che nel 2014 ha raggiunto 15,4 miliardi di euro. È questo secondo il Rapporto Agromafie 2015 il volume del crimine agroalimentare in Italia.
Lo studio presentato il 15 gennaio a Roma dai presidenti di Coldiretti, Roberto Moncalvo, di Eurispes, Gian Maria Fara, e dall’ex procuratore di Torino Gian Carlo Caselli, che oggi presiede l’Osservatorio sulla criminalità agroalimentare creato dai due enti, denuncia un aumento degli affari delle agromafie in Italia del 10 per cento solo nell’ultimo anno. Un dato che dimostra quanto l’agroalimentare sia diventato un settore di investimento privilegiato per la malavita e quanto questa economia sporca riesca a crescere nonostante la recessione economica.
Il rapporto ricorrendo ai dati raccolti da forze dell’ordine, magistratura e altre istituzioni di settore, traccia i contorni di una criminalità che giganteggia sull’intera filiera agroalimentare accaparrandosi terreni, gestendo manodopera agricola, occupandosi di produzione, trasporto e stoccaggio della merce. Fino all’acquisto di supermercati e ristoranti, dal nord al sud d’Italia, e pure fuori dai confini nazionali. Proprio la ristorazione si mostra come uno dei settori maggiormente a rischio, tanto da far contare circa 5mila locali nelle mani della criminalità organizzata, dai franchising ai locali esclusivi, dai bar alle trattorie, ai ristoranti di lusso fino agli aperibar alla moda. Attività “pulite” che si affiancano a quelle “sporche”, avvalendosi degli introiti delle seconde.
La crescita dell’agromafia, secondo lo studio, è favorita da situazioni congiunturali, come quelli climatici e di crisi economica, ma anche dalla volontà di alcuni soggetti “puliti” che decidono di investire il loro denaro in settori redditizi come l’illecito del settore agroalimentare, che ha dimostrato di saper crescere anche in un periodo di recessione. Il fenomeno prende il nome di money dirtying e consiste nell’investimento di capitali puliti nell’economia sporca, ovvero l’inverso del riciclaggio. Un travaso che ogni mese sposta dall’economia sana a quella illegale circa 120 milioni di euro, un miliardo e mezzo all’anno, ma che ha anche effetti di ibridazione tra mondo legale e illegale che vanno ben al di là della semplice sfera economica, mettendo in stretto contatto “colletti bianchi”, imprenditori, esponenti delle istituzioni e personaggi “borderline” quando non direttamente esponenti del mondo criminale.
Secondo Coldiretti/Eurispes anche il prossimo appuntamento di Expo 2015 potrebbe rappresentare un momento di pericolo per il settore agroalimentare. Perché potrebbe favorire i traffici illegali di alimenti e riversare sul mercato tonnellate di prodotti contraffatti e venduti come made in Italy. Del resto questo tipo di contraffazione già esiste ed è stata rilevata nelle più recenti inchieste giudiziarie che hanno scoperto limoni sudamericani commercializzati come limoni della penisola sorrentina; agrumi nordafricani trasformati in agrumi siciliani e calabresi; mozzarella venduta come made in Italy e prodotta con cagliate del Nord Europa. Per non parlare delle sofisticazioni e frodi legate alla produzione e commercio di olio di oliva e pomodoro, che rappresentano i due prodotti più a rischio. Sono spesso le annate magre, come questa del 2015, che aprono la porta a prodotti di minore qualità o direttamente illegali. Secondo Coldiretti il mercato europeo dell’olio di oliva, con consumi stimati attorno a 1,85 milioni di tonnellate, rischia quest’anno di essere invaso dalle produzioni provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente che non sempre hanno gli stessi requisiti qualitativi e di sicurezza.
In chiusura il rapporto dedica alcune pagine anche agli acquisti sul web e al fatto che, accanto alle esperienze positive, l’e-commerce venga spesso utilizzato come porto franco per prodotti taroccati. L’incremento degli acquisti sulla rete, nel nostro Paese, è stato del 17% rispetto all’anno precedente, per un volume economico pari a 13,2 miliardi di euro, e in questo contesto il settore agroalimentare si è collocato al secondo posto della classifica, con una quota del 12%. Il punto è che sono stati individuati, solo nell’ultimo anno, 70 diverse tipologie di prodotti contraffatti che venivano venduti sul web. Tra gli alimenti per i quali sono state più spesso le frodi più frequenti figurano i prodotti tipici della tradizione locale e regionale (32%), i prodotti Dop e Igp (16%) ed i semilavorati (insaccati, sughi, conserve, ecc.,12%). Mentre tra le categorie contraffatte il primato negativo spetta ai formaggi Dop. Per non parlare poi dei kit che vengono venduti per preparare il Parmigiano, o il vino in polvere che viene confezionato in Canada e che promette di ricreare in poche settimane un perfetto Barolo.