Angelo Rizzoli e gli amici della P2...
Non riesco a crederci. Un governo che sta mettendo in atto il programma Gelli vuole pure una commissione d'inchiesta su fatti privati...
Cosa vuole angelo rizzoli, altro piduista d'antan (tessera 1977)? Non gli basta di essere stato scagionato non perchè innocente – ma quando mai? Rubò e si mise in tasca illecitamente soldi dell’azienda, reato estinto grazie ad una legge dei nuovi piduisti al governo con cui hanno abolito la bancarotta patrimoniale - ma vuole pure che ufficialmente gli si dica che ha perso la RIZZOLI EDITORE e il Corriere della Sera PERCHE' ERA ED E' UN CRETINO?
(Mi scuso per lo sfogo, da quando sono sul Web (1997) rarissimamente ho insultato qualcuno. Ma qui è diverso, perchè io non dimentico di aver perso il lavoro alla Rizzoli per colpa di questo demente, lui e suo padre...)
Eppure, in questo Belpaese di smemorati, qualcuno che la racconti la storia, ci vuole. Perchè il tempo passa e poi quando saremo in grado di raccontare la Verità non ce la ricorderemo più... (non è mia, è di Longanesi). Allora ve la racconto, io. Almeno dal mio punto di vista che si sa non è la Verità rivelata, però è vista dall’interno dell’azienda. Sono certo che aiuterà la memoria di qualcuno che metterà qui di seguito le sue impressioni, i suoi ricordi. Così lasceremo una traccia, a futura memoria. Perchè il Web alcune volte nasconde, ma non cancella...
Dunque, eravamo un gruppo di “creativi” (il termine venne coniato dopo, e noi non sapevamo di esserlo) che veniva dalla Mondadori dove nei magazzini stavano ammuffendo tonnellate di una vecchia enciclopedia dei ragazzi e l’Editore (scusate se lo scrivo maiuscolo, ma allora se lo meritavano) voleva stamparne una nuova. Noi prendemmo i personaggi di Topolino e stampammo un invito da distribuire fuori dalle scuole per partecipare ad una gara canora inventata da Tony Martucci che si chiamava Ambrogino d’Oro (poi glielo scipparono, ma questa è un’altra storia...). Non entro nei dettagli ma l’operazione portata sul piano nazionale ebbe un enorme successo. Non solo vendemmo tutti gli avanzi di magazzino ma avemmo centinaia di migliaia di prenotazioni per l’enciclopedia nuova. Alla Mondadori – luogo dove sapevano fare i conti – capirono quanto pericolosa fosse questa operazione, e (gentilmente) ci cacciarono.
Anche qui ci vogliono due parole di spiegazione altrimenti non riuscite a seguirmi. I Fratelli Fabbri avevano inventato un nuovo modo per vendere enciclopedie porta a porta: bussavano a tutte le case, fingevano un’intervista sugli orientamenti letterari della popolazione (tutta carta buttata via perchè non c’erano i computer. Pensa che spreco di dati) e vendevano il CONOSCERE un’enciclopedia per bambini. Dicevano che la vendevano a rate ma non era così: i sottoscrittori pagavano duemila lire e il venditore gli lasciava UN volume. Pagato quello, gli arrivava in casa il secondo e così via.
Arrivati in Rizzoli invece trovammo il Bengodi: L’Enciclopedia Rizzoli Larousse, 15 volumi, il cliente pagava 3.000 lire e riceveva i primi quattro volumi e poi nel tempo gli altri.
L’Agente di Bologna aveva inventato una curiosa iniziativa: invitava i bambini a cantare allo Zecchino d’Oro e noi prendemmo quella iniziativa e la trasferimmo in campo nazionale. Un successo! Pensate che il settore RATE fatturò 12,5 miliardi su 25 che era tutto il bilancio Rizzoli.
Se qualcuno avesse saputo fare i conti, ci avrebbero cacciato pure da lì, perchè l’azienda incassando tremila lire pagava il 25% di provvigioni su 150.000 prezzo dell’opera, e usciva col prodotto industriale di altre 60.000 lire. Invece davano i contratti alle banche come garanzia e si facevano dare prestiti.
Io tenevo corsi di formazione del personale e per la mia pubblicazione ad uso interno ebbi accesso ad alcuni dati economici dell’azienda.
Noi avevamo una partecipazione in una importante banca privata, la cartiera di Marzabotto (carta esentasse) l’Assicurazione Toro di Torino, quasi tutta Lacco Ameno d’Ischia, e una flotta di pescherecci nel Mare del Nord che pescavano il merluzzo, lo vendevano in Svezia contro pioppi che portavamo in Italia per fare la carta. La Cineritz produzione e distribuzione, e altri ammennicoli.
Se passavate per via Civitavecchia (si chiamava così la strada dove c’era la Rizzoli) sul palazzo leggevate: OGGI IL QUOTIDIANO DI DOMANI, era stato un sogno del grande Angelo, e il figlio Andrea (fino allora specializzato in Casinò e roulette) s’imbarcò nell’avventura del Corriere della Sera per mostrare a sè stesso e al mondo di saper fare qualcosa più di suo padre. Ma non sapeva fare i conti.
Infatti, per fare cassa, vendette agli Agnelli l’Assicurazione Toro e la partecipazione alla banca e altre quisquillie perdendo il cash flou.
Angelo (il cretino, non quello vero) intanto si era impelagato con Lucherini che gli aveva fatto conoscere Jenny Tamburi che era un’innocente. Un po’ meno si rivelò invece Eleonora Giorgi, che quando afferrò la presa non la mollò più.
In questo quadro, oltre alle vicende che conoscete tutti, fu gioco facile per gli squali della finanza, al primo scossone, spingere le banche a chiedere il rientro delle immense cifre di debito accumulate. E fu così che angelo Rizzoli, dopo aver nascosto un po’ di capitali cedette l’azienda per non farla fallire.
Ora gli amici della P2 vogliono una commissione d’inchiesta per aitarlo a chiedere 600 milioni di risarcimento. Perchè, dice lui, innocente.
Invece è solo cretino.
ALDO VINCENT
www.giornalismi.info/aldovincent
IL PASSAGGIO DI PROPRIETA’ DEL 1984
Rizzoli e il Corriere della Sera
Una lettera e una risposta
Le ragioni dell'ex editore del Corriere della Sera
e la replica del direttore del nostro giornale
IL PASSAGGIO DI PROPRIETA’ DEL 1984
Rizzoli e il Corriere della Sera
Una lettera e una risposta
Le ragioni dell'ex editore del Corriere della Sera
e la replica del direttore del nostro giornale
Caro Direttore, è con profondo stupore e amarezza che ho letto l'articolo pubblicato venerdì a pagina 39 del Corriere della Sera a firma Sergio Bocconi sulle vicende della vendita Rizzoli. L’articolo comprende infatti una serie di falsità e inesattezze tali da farmi tornare col ricordo agli anni in cui i giornali basavano i loro scritti sulle «veline» fornite loro dai potenti di turno, politici o padroni che fossero. In particolare, le vicende giudiziarie che mi riguardano sono raccontate in modo impreciso e sconclusionato. Per fare il punto della situazione ad oggi, 28 maggio 2010, desidero informare Lei e i Suoi lettori che io, Angelo Rizzoli, sono tuttora un cittadino incensurato che non ha condanne a suo carico né procedimenti penali pendenti nei suoi confronti. Cosa che certamente non tutti gli imprenditori, inclusi i Suoi azionisti, potrebbero affermare.
È vero che io ho ricevuto tre ordini di carcerazione preventiva e ho trascorso tredici mesi in carcere per sei procedimenti penali da tutti i quali —salvo un'unica eccezione—sono stato assolto o prima del rinvio a giudizio o fin dalla sentenza di primo grado. Aggiungo che io ho trascorso tredici mesi di carcerazione da malato di sclerosi multipla, una malattia incompatibile con la permanenza in carcere e, come potrebbe testimoniare un qualunque studente di medicina, portatrice di rischi gravissimi per l’incolumità e la vita stessa del paziente. Inoltre, per rendere più amaro il mio soggiorno in carcere, mi sono state sospese tutte le cure destinate ad alleviare le sofferenze causate dalla malattia. Ciononostante, al termine della carcerazione preventiva, io sono stato prosciolto da tutte le accuse. È rimasta in piedi soltanto un'imputazione di bancarotta impropria collegata all’amministrazione controllata del Gruppo Rizzoli che si è sviluppata secondo due singolari caratteristiche: 1) il caso più unico che raro in Italia di una bancarotta che viene sancita priva della dichiarazione di fallimento che la deve necessariamente precedere e nonostante l'amministrazione controllata si sia conclusa in bonis; 2) l'accusa di associazione a delinquere con Bruno Tassan Din—certamente imputato colpevole—ma anche con mio fratello Alberto Rizzoli arrestato ingiustamente, scarcerato, prosciolto e risarcito dallo Stato per ingiusta detenzione anni prima del processo. Un'associazione a delinquere zoppa quindi, nella quale manca il terzo imputato necessario perfino alla sua qualificazione.
Le ricordo inoltre che, nell’ambito di queste vicende, mio padre Andrea è morto di infarto poche settimane dopo il mio arresto e quello di mio fratello; che le mie sorelle sono state indagate, sequestrati i loro beni, private dei documenti per l'espatrio e minacciate di arresto. A causa di quella terribile tensione mia sorella minore, Isabella, si è suicidata a 22 anni buttandosi dalla finestra di casa. Ricordo, infine, che dopo una condanna a due anni e quattro mesi in Corte d'Appello con le motivazioni che ho citato, la Corte di Cassazione ha annullato il provvedimento anche perché nel frattempo era stata abolita l'amministrazione controllata, come in questi decenni moltissimi altri articoli del Codice Penale Rocco che, come Lei sa, risale al 1930. Si trattava in ogni caso dell'unico caso in cui l'amministrazione controllata veniva equiparata al reato di bancarotta, non ve ne sono stati altri in Italia. Quanto alla crisi finanziaria che portò all’amministrazione controllata alla fine del 1982, sono minuziosamente descritte nella sentenza finale del processo relativo al Banco Ambrosiano le operazioni che hanno portato alla spogliazione dell'Azienda e, più in particolare, il trasferimento dei 150 miliardi di aumento di capitale, sottoscritto da La Centrale Finanziaria S.p.A., non già nelle casse della Rizzoli, ma presso alcuni conti della Banca Rothschild di Zurigo denominati Zinca, Recioto, Telada ad opera di funzionari di quella stessa Banca fiduciari di Bruno Tassan Din e Umberto Ortolani, come emerge con chiarezza sia dalle carte del processo Ambrosiano a Milano, sia dalle sentenze della Corte Suprema d'Irlanda a Dublino, sia dalle sentenze del Tribunale Federale di Zurigo che ha condannato i vertici della Banca svizzera a vari anni di reclusione per avere distratto circa 180 milioni di dollari di fondi destinati alla Rizzoli verso conti del cosiddetto «gruppo dei BLU» (Bruno Tassan Din, Licio Gelli, Umberto Ortolani), conti che sono stati tutti regolarmente individuati dalle magistrature italiana ed elvetica. Nonostante ciò che asserisce il Vostro Sergio Bocconi, il cosiddetto «pattone» di cui si parla nell’articolo è una bufala; un'invenzione giornalistica poiché, a quanto mi risulta, esistono solo appunti informali e non del tutto decifrabili, scritti dal Tassan Din con l'ausilio di Ortolani e Gelli ma senza alcuna mia partecipazione, presenza o conoscenza. Io ho semplicemente firmato con Roberto Calvi, Presidente de La Centrale, un accordo ufficiale in data 29 aprile 1981 che è un atto pubblico facilmente rintracciabile tra le carte dell'archivio Rizzoli e Nuovo Banco Ambrosiano.
Quanto all’intervento dei nuovi azionisti, questo è avvenuto in una situazione in cui tutti i miei beni, incluso il 50,2% delle azioni della Rizzoli, mi erano stati sequestrati dai magistrati di Milano e affidati a dei custodi giudiziari che li hanno venduti, a chi loro indicato dai giudici del Tribunale, senza negoziarli e con l'esplicita minaccia nei miei confronti di farmi tornare in carcere nel caso di una mia opposizione. Poiché ritengo che questi comportamenti abbiano creato a me, alla mia famiglia e alla mia vita danni incalcolabili, oltre che ingiuste sofferenze e gravi persecuzioni, dopo aver chiuso, senza condanne, il lungo iter giudiziario penale che mi ha visto coinvolto per 25 anni, ho ritenuto di chiedere un risarcimento che compensasse almeno in parte le ingiustizie subite. Come ho avuto modo di dirLe anche personalmente, caro Direttore, io non ho alcuna intenzione di tornare al Corriere della Sera né come editore, né come azionista e nemmeno come visitatore. Chiedo solo che la verità su queste vicende ancora oscure venga definitivamente accertata per non essere ancora una volta il capro espiatorio di operazioni più o meno illecite e spregiudicate realizzate da altri soggetti nel loro esclusivo interesse.
Angelo Rizzoli
Caro Rizzoli,
ci conosciamo da più di trent'anni. Il nostro è un rapporto amichevole, sincero. Dunque, uso il lei con una certa fatica. Ma lo facciamo entrambi per rispetto di chi ci legge. Quando lei era presidente del gruppo, che portava il nome del suo grande nonno e del suo grande papà, io ero un suo semplice giornalista. Ripensando a quegli anni assai dolorosi, e abbiamo avuto modo di parlarne più volte, sono convinto che lei abbia pagato un prezzo personale assai elevato, e abbia subìto una lunga e penosa detenzione. Sulle sue spalle giovanili pesarono eredità ingombranti, ambizioni eccessive e, soprattutto, amicizie pericolose. Lei, certamente, fu vittima di molte circostanze. Ma non una vittima priva di responsabilità personali. Conoscendola, mi aspetterei che qualche errore, a trent'anni di distanza, lo riconoscesse. Posso aiutarla? L'affiliazione alla loggia P2, che non era, come qualcuno pensa oggi, un'innocente società di mutuo soccorso. L'essersi consegnato, per scelta o necessità, a personaggi del calibro criminale di Licio Gelli, Umberto Ortolani, Bruno Tassan Din. E quest'ultimo («certamente colpevole» come scrive nella sua lettera) era il consigliere del
egato del gruppo editoriale del quale lei era presidente. Dunque, l'aveva nominato, o subìto, certamente non controllato. Lei dice che quei tre signori intascarono parte delle risorse messe a disposizione dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Solo loro tre? L'aumento di capitale fu effettivamente versato nelle casse della società di cui lei era presidente; come risulta dall’istanza di ammissione all’amministrazione controllata da lei firmata (non può adesso disconoscere quella firma); e dalla relazione del commissario, Luigi Guatri, del 20 gennaio 1983, oltre che dal rapporto del collegio sindacale sul bilancio della Rizzoli al 31 dicembre 1981. E ancora, ma l'elenco potrebbe essere lungo, la decisione di acquistare nel '74 l'editoriale del Corriere della Sera, tutta a debito, fu certamente una mossa azzardata che portò già nel '77 il gruppo Rizzoli allo stato di insolvenza, con perdite nel triennio 1980-82 stimate in circa 300 miliardi di lire (anche questo appare nella relazione, già citata, del commissario Guatri). Il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, nonostante le responsabilità dei suoi amministratori (tra i quali lei, caro Angelo) seppe risollevarsi, grazie al lavoro e al sacrificio delle sue maestranze e alla riduzione degli interessi passivi accordata dai creditori, in particolare il Nuovo Banco Ambrosiano. È raro che una società, con oltre 600 miliardi di debiti, quasi tutti a breve, esca in bonis da un'amministrazione controllata. Ma ciò avvenne anche in nome della sua famiglia, verso la quale continuiamo ad avere affetto e gratitudine. Si rilegga le relazioni del commissario giudiziale con minore partecipazione emotiva. E poi ne riparliamo.
Veniamo alla cessione. L'intera vicenda è stata oggetto di accertamenti giudiziari, in sede civile, tutti conclusisi con la sua condanna. Quando, nell'84, si presentarono due offerte, lei stesso, ancora una volta con una lettera a sua firma indirizzata ai custodi giudiziali, e diramata dall'Ansa, dichiarò di aver scelto la proposta Gemina perché riteneva che desse il massimo di affidamento ai fini del salvataggio del gruppo. In quell'occasione, lei realizzò dieci miliardi di lire, a fronte di una partecipazione sostanzialmente priva di valore, oltre alla liberazione delle fidejussioni bancarie per decine e decine di miliardi e la rinuncia, da parte della società, ad esperire azione di responsabilità nei suoi confronti, peraltro già deliberata. Caro Rizzoli, sarebbe oltremodo ingeneroso ricordare quanto lei disse davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, a giustificazione della scelta di cedere parte delle azioni a Calvi e allo stesso Tassan Din. E il cosiddetto «pattone», di cui parlava Sergio Bocconi nell’articolo che dava la notizia della proposta di una commissione d'inchiesta parlamentare sul passaggio di proprietà dell'84, un articolo corretto senza nessuna falsità, esiste eccome, ed è un documento di dodici pagine sottoscritto da lei, Gelli, Calvi, Ortolani e Tassan Din.
La verità, caro Rizzoli, bisogna dirla tutta. E allora si devono rileggerele sentenze del Tribunale civile di Milano del '92 e della Corte d'appello civile di Milano del '96: entrambe hanno respinto in linea di fatto le sue doglianze sulla cessione. Così come si deve ricordare la sentenza del Tribunale civile di Brescia del '98 che la condannò al risarcimento dei danni per diffamazione nei confronti di Giovanni Bazoli, allora presidente del Nuovo Banco Ambrosiano. Non contesto il diritto di ciascuno, lei compreso, di far valere le proprie ragioni e i propri interessi. Ma lei si ricordi di quello che ha scritto. E firmato. Caro Angelo, un'ultima cosa. Lei afferma di essere stato assolto definitivamente dall'accusa di bancarotta con sentenza della Cassazione del 2009. Dovrebbe anche dire che quella sentenza non ha affatto ritenuto che gli amministratori dell'epoca non fossero responsabili di distrazioni e falsi in bilancio, ha semplicemente revocato le decisioni in sede penale, perché la bancarotta impropria non è più prevista (ma solo dal 2006) come reato. I fatti sono stati commessi, purtroppo per lei… e per noi.
(f. de b.)
30 maggio 2010
Sulla vendita Rizzoli degli anni ' 80 scontro alla Camera
Proposta una commissione sulla vicenda. Parlamentari divisi. Levi: grave e inquietante
MILANO - L' istituzione di una commissione parlamentare d' inchiesta sulla vendita del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera e le vicende del periodo 1981-84. La proposta di Deborah Bergamini del Pdl è stata sottoposta ieri all' esame della Commissione cultura. E subito si è aperto lo scontro. Ricardo Franco Levi del Pd ha definito l' iniziativa «grave» e «inquietante», «bugiarda nella ricostruzione dei fatti, gli stessi alla base di una causa avviata da Angelo Rizzoli per ottenere riparazione dalla "spoliazione" di cui lui sarebbe stato allora oggetto». Levi inoltre definisce il passo «un' intimidazione nei confronti del maggiore quotidiano italiano e della sua proprietà». E si chiede se non si tratti di una mossa «temeraria»: «Hanno davvero interesse, maggioranza e governo, a riportare all' attenzione della pubblica opinione la stagione della loggia P2?». Argomenti condivisi da Pierfelice Zazzera (Idv) e Giuseppe Giulietti, deputato del Gruppo Misto. La replica è stata della stessa Bergamini «L' istituzione di una commissione d' inchiesta è un atto conforme alle prerogative del Parlamento: sua finalità è stabilire con il contributo di tutti e in modo trasparente la realtà storica e politica di un evento che ha determinato alcuni equilibri fondanti l' attuale sistema italiano». «Inquietante è il tono minatorio utilizzato da alcuni colleghi della opposizione, che farebbe bene a partecipare in modo responsabile al processo di chiarezza invece di richiamare paure irrazionali di origine oscura». La richiesta della commissione d' inchiesta parte dopo che Angelo Rizzoli notifica nel settembre 2009 un atto di citazione nei confronti di Intesa Sanpaolo, Mittel, Rcs Mediagroup, Edison e Giovanni Arvedi, cioè gli interpreti (o gli «eredi») della vendita della Rizzoli a una cordata (costituita appunto da Gemina, Mittel, Meta e Arvedi), realizzata nell' 84 dal Nuovo banco Ambrosiano guidato da Giovanni Bazoli. Rizzoli chiede un risarcimento di 650 milioni sulla base di quattro considerazioni: il dissesto della Rizzoli era stato causato dal mancato versamento da parte della Centrale, finanziaria dell' Ambrosiano di Roberto Calvi, dell' aumento di capitale deliberato nell' 81; lui era stato dunque ingiustamente rinviato a giudizio e incarcerato per bancarotta fraudolenta; aveva dovuto svendere alla cordata; la Cassazione nel 2009 ha fatto giustizia riconoscendo la sua innocenza. I fatti cominciano nei primi anni Settanta quando i Rizzoli acquistano il Corriere della Sera al termine di un' operazione che si conclude con la società in un equilibrio finanziario a dir poco precario. Rizzoli ottiene, grazie a Licio Gelli e Umberto Ortolani, cioè alla P2, diversi finanziamenti dall' Ambrosiano di Roberto Calvi, anch' egli piduista. Negli anni successivi l' indebitamento cresce e il fallimento del gruppo è evitato da un aumento di capitale studiato con Calvi che fa pervenire le risorse a Rizzoli attraverso lo Ior. Ma la società soffoca ancora sotto i debiti e nell' 80 viene studiata una nuova ricapitalizzazione sotto la regia di "Istituzione", che era poi la P2. Viene elaborato il "pattone", firmato a Roma nel settembre 1980 da Angelo Rizzoli, Gelli, Calvi, Ortolani e Tassan Din. L' operazione viene realizzata nel maggio ' 81 e la Centrale acquista ufficialmente il 40% della Rizzoli, mentre di fatto sottoscrive l' intero aumento. Questa è la Rizzoli che il Nuovo banco Ambrosiano eredita nell' agosto ' 82 con il passaggio degli asset dal Banco di Calvi in liquidazione. Una casa editrice ancora in dissesto ed è lo stesso Rizzoli (anch' egli piduista) a chiedere poco dopo l' ammissione alla procedura di amministrazione controllata. Commissario giudiziale sarà Luigi Guatri mentre nel corso della procedura presidenti delle due capogruppo saranno Carlo Scognamiglio (che si è dimesso nell' 83), Roberto Poli e Angelo Provasoli. Un anno però non basta per tornare in bonis e, grazie alle rinunce agli interessi da parte delle banche, e in primo luogo del massimo creditore, il Nuovo Ambrosiano, viene concessa una proroga di 12 mesi. Nel frattempo il gruppo è in vendita ma non si trovano compratori. E Rizzoli viene arrestato per bancarotta fraudolenta: sarà riconosciuto colpevole in primo e secondo grado per aver «occultato, dissipato o distratto» oltre 85 miliardi. La Cassazione nel 2009 non entra nel merito ma prende atto dell' abrogazione dell' istituto di amministrazione controllata e revoca la condanna per «abolitio criminis». Il 19 gennaio 2010 poi la Corte d' Appello civile di Roma condanna Rizzoli per condotte distrattive a danno di Cineriz. Il fallimento viene ancora evitato con la vendita alla cordata Gemina nell' ottobre ' 84. Rizzoli, che realizza 10 miliardi cedendo i diritti d' opzione e la quota residua, promuoverà poi giudizio per «illecita cessione». Tutto si conclude con il rigetto della domanda e l' accertamento della congruità del prezzo e del dissesto della società. L' editore viene poi condannato nel ' 98 a risarcire i danni a Bazoli, che lo cita per le dichiarazioni diffamatorie. Rizzoli chiede anche scusa. Ma torna in tribunale. E ora il Pdl chiede la commissione d' inchiesta. Sergio Bocconi RIPRODUZIONE RISERVATA
Bocconi Sergio
Pagina 39
(28 maggio 2010) - Corriere della Sera
1 - BOTTA E RISPOSTA VACCARELLA-DE BORTOLI
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Lettera dell'Avvocato Romano Vaccarella al "Corriere della Sera" del 1 giugno
Gentile direttore, Non intendo trattare in questa sede la causa promossa dal dottor Rizzoli davanti al Tribunale di Milano, ma si impone una telegrafica replica alla Sua «comparsa di risposta» (chiamo così il Suo scritto apparso domenica 30 maggio, perché mi sembra che Lei risponda più alla citazione che alla lettera del dottor Rizzoli).
Un solo punto mi preme sottolinearLe, evidentemente sfuggito anche ad un giornalista acuto ed indipendente quale, indubbiamente, Lei è: del versamento di 150 miliardi nelle casse della Rizzoli da parte de La Centrale, per la sottoscrizione dell'aumento di capitale, non esiste la minima (non dico, documentazione bancaria, ma) traccia scritta.
Si trattava, gentile Direttore, di 150 miliardi del 1981, mentre esistono sentenze passate in giudicato (in primis, quella del Tribunale di Milano sul crack del Banco Ambrosiano, ma anche di Corti estere) che raccontano per filo e per segno come una somma analoga (in dollari) uscì dal Banco, il giorno dopo la sottoscrizione dell'accordo per la ricapitalizzazione della Rizzoli, per finire integralmente - sottolineo, signor Direttore, integralmente - nelle tasche del trio BLU (Bruno Tassan Din, Licio Gelli, Umberto Ortolani).
Tutto qui: del resto si parlerà nella competente sede, e quindi anche del comunicato Ansa che tanto L'ha colpita (eppure solo pochi giorni fa il Suo quotidiano ricordava la «confessione» di Slansky di aver complottato contro il proletariato...).
Ps. Sono certo che non occorre invocare la legge sulla stampa perché questa mia sia pubblicata.
2 - BOTTA E RISPOSTA VACCARELLA-DE BORTOLI
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Risponde Ferruccio De Bortoli -
Gentile avvocato, Speravo mi riscrivesse il suo assistito, Angelo Rizzoli. Che fa, il mio amico Angelo, si è stufato, dopo tante interviste, di perorare la sua causa? Non le rispondo con una comparsa (non ho clienti né committenti) ma semplicemente ricordandole che il versamento del famoso aumento di capitale della Rizzoli da parte del Banco Ambrosiano risulta dall'istanza di ammissione all'amministrazione controllata firmata dal suo assistito.
Gliel'hanno estorta la firma? Lo dica. E risulta anche dalla relazione bimestrale del commissario Guatri del 20 gennaio 1983 e dalla relazione del collegio sindacale al bilancio del 31 dicembre 1981 della Rizzoli editore. Tutti visionari e corrotti dai poteri forti?
Se poi queste somme o anche altre, dopo essere entrate nelle casse della società, sono finite nelle tasche degli amici di Rizzoli, Gelli, Ortolani e Tassan Din, ciò è avvenuto quando il suo cliente era presidente in carica della società. Distratto? Andiamo, avvocato.
Ps. Sull'argomento è intervenuto ieri sul Giornale anche il mio amico Vittorio Feltri. Confessa candidamente di non aver mai capito un accidente della vicenda. Confermo.
Lettera dell'Avvocato Romano Vaccarella al "Corriere della Sera" del 2 giugno - Gentile direttore, questa mia solo per non fare la parte di Alice... È assolutamente impossibile- come Lei scrive- che i 150 miliardi, «dopo essere entrati nelle casse della società, sono finiti nelle tasche degli amici di Rizzoli»; quei quattrini, in dollari, uscirono dal Banco Ambrosiano il 30 aprile 1981, e il Tesoro autorizzò La Centrale alla sottoscrizione del capitale a fine settembre 1981.
Feltri La sentenza sul crack del Banco è tassativa: i dollari finirono tutti al trio BLU; a settembre 1981 - dopo l'arresto di Calvi - il Banco, per la chiusura del fido interbancario, non aveva il becco di un quattrino. Del resto si parlerà in Tribunale. Grazie per l'ospitalità.
Risponde Ferruccio De Bortoli - Confermo quello che ho scritto, se ne riparlerà in tribunale.
SPILLO DI FELTRI
Il direttore del Corriere della Sera invecchiando diventa sempre più brillante. Martedì, nella sua risposta alla lettera dell'avvocato Vaccarella sulle note vicende di Angelo Rizzoli, ha dedicato anche a me qualche riga sapida. Scrive: «Il mio amico Vittorio Feltri confessa di non aver capito un accidente della questione. Confermo».
Invece io do atto al caro Ferruccio di aver capito almeno una cosa: che gli conviene stare dalla parte di Bazoli, il padrone del vapore.