Alle ore 11.10 del 14 giugno 2008 Giuseppe Uva, 43 anni, gruista, muore nel reparto psichiatrico dell'ospedale di Circolo di Varese. Attenzione alla data: 14 giugno 2008, quasi due anni orsono. Intorno alle 3 di quella notte Uva e l'amico Alberto Biggiogero erano stati fermati in stato di ebbrezza da una pattuglia dei carabinieri. Portati nella caserma di via Saffi, sempre a Varese, erano stati separati e Biggiogero, dalla sala di aspetto, aveva potuto ascoltare per ore le grida strazianti dell'amico.
Intorno alle 6 di mattina, poi, Uva era stato ricoverato nel pronto soccorso dell'ospedale: da qui, trasferito in psichiatria e sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio e alla somministrazione di farmaci incompatibili con il suo stato etilico. Da qui la morte, qualche ora dopo.
Questi i fatti essenziali (tutte le circostanze e le testimonianze si trovano sul sito www.innocentievasioni.net). Per quasi due anni le indagini sono state completamente ferme. Dopo che l'opinione pubblica e i familiari di Uva hanno sollevato con forza il caso, ecco la prima iniziativa della Procura: ieri un giornalista della Prealpina e uno della Provincia di Varese sono stati sentiti da un pm per «sommarie informazioni testimoniali» (evidentemente i loro articoli non sono stati apprezzati in procura). Ma non è stato ancora mai ascoltato il principale testimone, Biggiogero, l'uomo che quella notte era stato fermato con Uva. Si spera che accadrà presto, così come ci si augurano nuove indagini e nuovi rilievi autoptici (la procura starebbe pensando alla riesumazione della salma), per rispondere ai molti quesiti rimasti elusi.
Questi i principali:
1. Esisteva un rapporto pregresso tra Uva e un appartenente alle forze dell'ordine? Testimonianze delle ultimissime ore parlano di una relazione tra Uva e la moglie di un carabiniere, e questo spiegherebbe il risentimento personale che determinò l'accanimento persecutorio di quella tragica notte.
2. Come mai l'autopsia sul corpo di Uva non ha contemplato gli esami radiologici necessari a individuare eventuali fratture?
3. Perché non sono state considerate le dichiarazioni del comandante del posto di polizia presso l'ospedale? Quest'ultimo ha scritto che la morte di Uva non sarebbe «un evento non traumatico»; che è rilevabile «una vistosa ecchimosi rosso-bluastra» sul naso e che «le ecchimosi proseguivano su tutta la parete dorsale»; che il corpo di Uva risultava privo degli slip e che sui suoi pantaloni «si evidenzia tra il cavallo e la zona anale una macchia di liquido rossastro». Fatto confermato dalla testimonianza della sorella, che afferma di aver visto «tracce di sangue dall'ano».
Siamo in presenza, come si vede, di un altro (l'ennesimo?) "caso Cucchi". Balzano agli occhi le analogie. La prima: Uva e Stefano Cucchi (il giovane morto nei mesi scorsi a Roma dopo l'arresto e il ricovero all'ospedale Pertini) subiscono violenze mentre si trovano nella disponibilità di apparati statuali, che hanno come primo dovere istituzionale quello di garantire l'incolumità di chi si trovi sotto il loro controllo (è questo che fonda la legittimità giurido-morale dello Stato). Ancora: Uva e Cucchi, a seguito delle violenze subite, vengono ricoverati in una struttura sanitaria pubblica. Qui trovano la morte a causa di precise responsabilità del personale medico. Infine: nel caso di Cucchi e di Uva (ma anche in quello di Marcello Lonzi, Giovanni Lorusso e di molti altri ancora), a rompere il muro del silenzio è una figura femminile, madre o sorella della vittima che trova in sé la forza, disperata e intelligente, per fare del proprio dolore più intimo un'occasione di denuncia pubblica.
Lunedì scorso il procuratore capo di Varese Maurizio Grigo ha convocato una conferenza stampa per affermare che «il 30 settembre 2009 la dottoressa Sara Arduini ha aperto un nuovo procedimento proprio per verificare le nuove accuse della famiglia e le dichiarazioni rese dal signor Biggiogero».
In altri termini ha ammesso candidamente qualcosa di enorme: la testimonianza, dettagliata e puntualissima, resa da Biggiogero il 15 giugno 2008 ha indotto il magistrato ad aprire un fascicolo contro ignoti il 30 settembre 2009. Ovvero a distanza di oltre 15 mesi dall'evento. E a distanza di quasi 6 mesi dall'apertura di quel fascicolo, come si è detto, quel testimone prezioso ancora non è stato ascoltato. Così come non sono stati ancora interrogati i carabinieri e i poliziotti presenti in caserma quella notte. Come dire: i tempi della giustizia.
Luigi Manconi
Fonte: www.ilmanifesto.it
27.03.2010
E quanti altri ancora:
Negli ultimi nove anni nelle carceri italiane sono morte 1.310 persone.
Aldo Bianzino
http://www.youtube.com/watch?v=-N3cNZCBDr4
http://www.youtube.com/watch?v=PIdmMbS7HSs
Niky A. Gatti
http://www.youtube.com/watch?v=4Ii_FjHjPWg
Manuel Eliantonio
http://www.youtube.com/watch?v=Ze3bAHE5ozk
RASMAN Riccardo
http://www.youtube.com/watch?v=1B8bSwgZCA0
Stefano Frapporti
http://www.youtube.com/watch?v=nkZG6liLlvE
Marcello Lonzi, le immagini del cadavere
http://mmedia.kataweb.it/foto/17714176/1/marcello-lonzi-le-immagini-del-cadavere
Morte di Normale Brutalità. (Di Marco C.)
http://www.youtube.com/watch?v=2fG8qBw0pl4
Chissa' quanti altri ancora, di cui non si sa nulla perche' senza famiglia/amici, perche' "stranieri e senza voce".
tutti suicidi naturalmente
e nessuno alza la voce contro questi fatti
pensate a Cucchi, gli unici colpevoli sono i medici che hanno omesse le cure. chi lo ha pestato a morte, non è colpevole di niente
Giuseppe Uva chiede giustizia
http://www.youtube.com/watch?v=FTK4YJuG6sI
A due anni di distanza non ci sono ancora sviluppi significativi nella vicenda di Giuseppe Uva, morto il 14 giugno 2008 dopo una notte passata in caserma.
http://www.beppegrillo.it/2010/04/giuseppe_uva_ch/index.html
Il caso
Cucchi, i medici legali:
«Poteva essere salvato»
Non è morto per disidratazione, ma perchè, pur in condizioni cliniche difficili, non è stato curato
ROMA - Fa ancora discutere la morte di Stefano Cucchi il geometra di 31 anni morto dopo 6 giorni dall'arresto, il 22 ottobre scorso all'Ospedale Sandro Pertini. «La vita di Cucchi si sarebbe potuta salvare. Se fosse stata posta in essere un'idonea terapia si sarebbe potuto scongiurarne la morte». Così Paolo Arbarello, direttore dell'istituto di Medicina legale dell'università La Sapienza nel corso di una conferenza stampa in cui ha illustrato le conclusioni di una consulenza elaborata da un pool di esperti da lui guidati per far luce sulla morte di Stefano Cucchi, il detenuto morto il ottobre scorso al Sandro Pertini. «Stefano Cucchi non è morto per disidratazione. La sera prima del decesso aveva assunto tre bicchieri d'acqua ed erano stati fatti dei prelievi di urina da cui è emersa una corretta funzionalità renale».
LA MORTE - «Stefano Cucchi pur in condizioni cliniche estremamente difficili, non è stato curato» ha detto il professor Paolo Arbarello il giorno dopo la consegna del fascicolo di 145 pagine ai magistrati. «Il quadro clinico del giovane - ha sottolineato - all’ingresso all’ospedale Pertini era fortemente compromesso e non permetteva la degenza nel reparto detentivo. Cucchi avrebbe dovuto essere stato ricoverato in un reparto per acuti». «Abbiamo rilevato una carenza assistenziale. Abbiamo un dubbio sul perchè un paziente in quelle condizioni sia stato avviato a quel reparto. Andavano impostate diversamente le terapie. Ci sono state omissioni e negligenze».
NON SONO STATE LE LESIONI - Così come non hanno causato la morte le lesioni vertebrali, una antica e l'altra recente, tipiche di una caduta da seduto, che ha coinvolto il coccige. «Queste lesioni comunque erano indifferenti in relazione al decesso. Non sta a noi stabilire da cosa siano state provocate, ma comunque non sono state la causa della morte» ha detto Arbarello. «L'assistenza -ha proseguito il medico legale - non è stata adeguata. Invece le indicazioni del "Fatebenefratelli" e di Regina Coeli erano corrette».
Redazione online
08 aprile 2010
http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/10_aprile_8/caso-cucchi-medici-dicono-non-e-morto-disidratato-1602795244976.shtml