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Francesco De Gregori e i saltimbanchi dell'impegno politico


Territorio_Comanche
Eminent Member
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La prima reazione che ho avuto alla notizia che Francesco De Gregori annunciava l'appoggio alle primarie per Rosy Bindi e non per Walter Veltroni (verso cui si protesta in ogni caso una perdurante e inossidabile amicizia, consacrata alle nozze dell'allora capo comunista dal comparirvi del De Gregori in veste di testimone) è stata di soddisfazione.
Che, amicizie a parte, il Veltroni pubblico appaia oggi come la celebrazione della più patente assenza di scrupoli nel sottomettere alle mire personali di carriera qualunque esigenza di dignità e decoro nel mostrare almeno un'ombra di fedeltà ai principi di una militanza a sinistra, è cosa che neanche gli amici possono più tacere, preferendo affiliazioni politiche meno umilianti e rigettando una prossimità politica la cui sostanza non differisce molto da quella che lega Berlusconi e Michela Brambilla.
Da ogni punto di vista, questa è decisamente una cosa buona. La poco probabile elezione di Rosy Bindi a capo del nascente e già putrescente Partito Democratico è la cosa migliore che potrebbe capitare a questo repellente caravanserraglio, e l'unica evenienza che potrebbe garantire la nascita di un partito di centro-sinistra non completamente aggiogato al ruolo di comitato d'affari, per quanto moderato e prudente.
Ma alla notizia della dichiarazione di voto di Francesco De Gregori mi è sovvenuto un episodio di circa un annetto e mezzo fa, quando a Bologna, durante una manifestazione politica, Francesco Guccini avvicinò Romano Prodi per stringergli la mano e manifestargli tutta la solidarietà ed il suo personale appoggio politico.
Provo un certo senso di pena allo spettacolo di questi artisti accreditati nei decenni come "impegnati" e che tuttora non disdegnano l'etichetta di "comunisti", che nelle loro attuali e rare incursioni nel campo della politica non vanno oltre la costellazione Prodi-Veltroni-Bindi, tenendosi alla larga persino da quella innocua bocciofila che nella stampa italiana passa come la "sinistra radicale".
Qualunque cosa costoro intendano col loro professato "comunismo", o con la loro condizione di artisti "impegnati", è certo che non li vedrete mai prestare il loro nome per qualche battaglia politica vera, dal raddoppio della Dal Molin a Vicenza ai massacri NATO dei civili afghani, dalle morti bianche in Italia all'apartheid israeliano, dal genocidio in corso in Iraq alla denuncia -- Dio ne scampi! -- dell'indecente affare dell'Alta Velocità.
Assurti a popolarità nazionale negli anni 70, quando il clima protestatario di allora rendeva possibile la commistione di impegno politico e business discografico, si sono guardati bene, più tardi, negli anni del riflusso, dal rinunciare alla loro nomea di "coscienze critiche" o "provocatori" (come più onestamente fece Antonello Venditti, che si mise a comporre l'inno del Roma Football Club), comprendendo che l'elitismo della loro posizione era ormai consolidato, e che il cosiddetto "impegno", cessato di essere una moda dilagante, rimaneva una solida nicchia di mercato che loro presidiavano saldamente, identificandosi ormai con i loro nomi.
Ovviamente i tempi erano cambiati e gli artisti "impegnati" -- d'intesa coi loro manager -- comprendevano benissimo che la loro disobbedienza doveva diventare ancora più formale e ammantata dei tratti dell'innocuità. La ditta altrimenti ne avrebbe risentito, e la promozione di un nuovo album non avrebbe più comportato l'intervista di Vincenzo Mollica al TG delle 13, o lo Special in seconda serata. "Comunisti" si, ma non del tipo voglioso di finire sulle liste nere della RAI dominata dai partiti.
Ecco allora giungere l'età della ragione, in cui l'impegno non appare più in contraddizione con la condizione di cliente (nel senso latino del termine) di qualche capataz della politica nazionale: Prodi, Veltroni, o -- appena più decentemente -- Rosy Bindi.
Non sono mai stato un amante degli scritti di Gramsci, ma la sua analisi dell'irriducibile servilismo degli intellettuali italiani, della loro incapacità di stabilire con il potere un rapporto che non fosse di mecenatismo adulatorio, calza proprio a pennello.
Che passo avanti sarebbe se la gente capisse che c'è più dignità in una canzonetta estiva di Irene Grandi o Elisa, da ascoltare senza pretese sull'autoradio mentre si guida sotto la calura agostana, che in tutto l'"impegno" di Guccini e De Gregori.


Citazione
Anonymous
Illustrious Member
Registrato: 3 anni fa
Post: 30947
 

Non vedo neanche bertinozzi fare qualcosa di coerente con la sua appartenenza politica.
In compenso ama frequentare i salotti buoni dell'aristocrazia nera.
Sarà perché da figlio del popolo(sic) ha sempre ambito ad attovagliarsi con i potenti?


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