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La tutela legislativa «antinegazionista»


Tao
 Tao
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La tutela legislativa «antinegazionista» rende difficile ogni dibattito

UNA fatwa contro la parola risuona in Occidente. L'aggressione di Reggio Emilia a Pansa - reo d'avere infamato la Resistenza - non è che l'ultimo episodio, e ha fatto bene il capo dello Stato a deprecarlo. Ma per l'appunto la lista è ormai più larga d'un lenzuolo, e s'estende ogni volta che qualcuno usi un linguaggio troppo schietto, ovvero depositi un pensiero che non si risolva in stereotipo, in apologia del conformismo. Gli esempi? Il discorso del papa a Ratisbona, esecrato dagli islamici ma anche da quotidiani liberal come il New York Times. La condanna per diffamazione razziale subita da Edgar Morin, colpevole di offesa nei riguardi dello Stato d'Israele. L'isolamento di cui è rimasto vittima il professor Redeker, presso la stampa francese e presso i suoi stessi colleghi, dopo le proprie critiche al Corano. L'annullamento dell'Idomeneo di Mozart a Berlino, per non mandare in scena la testa mozzata di Maometto. Senza dire dello storico David Irving, tuttora detenuto in una prigione austriaca per aver negato l'Olocausto. Ecco, la legislazione «antinegazionista» non è che lo specchio normativo di questo diffuso atteggiamento, e anche qui la legge appena deliberata in Francia per punire chi contesti il genocidio armeno è solo l'ennesimo episodio della serie. Leggi analoghe sono già vigenti in Germania, in Spagna, in Austria, in Belgio, nella stessa Francia, contro la «menzogna di Auschwitz», contro chiunque svaluti o giustifichi i crimini nazisti. Pochi mesi fa la repubblica Ceca ha introdotto una nuova figura di reato per chi santifica il regime comunista. In Italia la legge Mancino castiga le idee fondate sulla superiorità etnica o razziale, col risultato che se ti salta in mente d'additare una qualche debolezza genetica degli esquimesi verso il solleone rischi fino a tre anni di galera. E tuttavia non basta, non basta mai. A settembre i ministri Amato e Mastella hanno proposto d'allargare la spada della legge alle offese sessuali, accogliendo una vecchia richiesta dell'Arcigay. Questa settimana Giorgio Bocca si è dichiarato favorevole ad applicarla pure in difesa della Resistenza. Domani sarà la volta della pace, del federalismo, della probità di giudici e politici (e del resto proprio il mese scorso Sgarbi è stato condannato in Cassazione per aver detto che la magistratura fa politica). Ma una verità imposta con tutti i crismi del diritto è una verità debole, che non crede più in sé stessa, nelle sue buone ragioni. E a sua volta una parola anestetizzata impedisce per ciò stesso il dialogo, e in ultimo sopisce la forza del pensiero. D'altronde quest'ultimo fenomeno è in corso ormai da tempo.

Negli Usa fin dagli anni Ottanta le università avevano adottato gli speech codes, con un decalogo di termini vietati e di corrispondenti sanzioni. Sempre a quell'epoca l'amministrazione Carter ha trasformato gli invalidi in ipocinetici. E anche in Italia la legge fa divieto d'usare la parola «lebbra», converte i barbieri in acconciatori, cancella i sordomuti. Mentre la Cassazione bacchetta le espressioni dialettali troppo colorite, proibisce le parolacce, si fa custode del politically correct. Né più né meno del Congresso americano, che in luglio ha messo al bando una gran quantità di siti Internet per la medesima ragione. C'è insomma come una sordina al pensiero indipendente, e alla parola che gli dà voce e forma. Ma questo clima offusca la lezione dell'Illuminismo, rifiuta la tolleranza di cui parlò Voltaire. Espone ciascuno all'infortunio di cui rimane vittima il protagonista della Macchia umana, cacciato dal suo college per un epiteto razzista pronunciato inconsapevolmente. E soprattutto paralizza il confronto frontale delle idee, e perciò rallenta la nostra crescita civile. Come diceva Stuart Mill, anche quando l'altrui opinione è falsa essa ci procura infatti il vantaggio della più chiara percezione della verità, al cospetto dell'errore. Sicché sarà forse il caso di dettare un'idea controcorrente: invece d'estendere il raggio della legge Mancino sbarazziamocene, proviamo a farne senza.

Michele Ainis
[email protected]
Fonte: www.lastampa.it
201.0.06


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