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La vendita delle imprese italiane


Tao
 Tao
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
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Mese dopo mese si allunga l'elenco delle imprese italiane acquistate da investitori stranieri, attirati da marchi frutto di quella particolare miscela fatta di ingegno, qualità, gusto, bellezza che il mondo intero ha imparato ad associare al prodotto italiano, al made in Italy: Marazzi, Ducati, Bulgari, Riso Scotti, Pernigotti, Loro Piana, Pasticceria Cova...

Prese nel loro insieme (e la lista completa è ben più lunga), il passaggio in mani straniere di queste società è certamente il segno di una nostra fragilità, industriale e finanziaria.

Considerata singolarmente, tuttavia, nessuna di queste aziende operava in un settore così particolare o aveva un peso tale (solo Bulgari, oggi integrata nel gruppo del lusso francese LVMH, ha vendite superiori al miliardo di euro) da poter far parlare, in un'economia aperta, di un interesse nazionale messo in gioco da una loro cessione.

Salendo di taglia e di fatturato si trova, però, un ristretto numero di aziende che, per le loro dimensioni, per il ruolo che rivestono nell'apparato produttivo e nella proiezione internazionale del Paese, meritano appieno il titolo di campioni nazionali e giustificano un'attenzione particolare.

Tra queste spiccano tre imprese che, per quanto impegnate in campi tra loro diversi, hanno più di un tratto in comune tra loro.

Stiamo parlando di Armani, Luxottica ed Esselunga. Il nome in assoluto più conosciuto della moda italiana la prima, con ricavi consolidati nel 2012 superiori ai 2 miliardi di euro, un giro d'affari che, con le vendite dei suoi prodotti effettuate da terzi, raggiunge i 7 miliardi, e un utile operativo di 339 milioni. Il leader mondiale nella progettazione, produzione e distribuzione di montature per occhiali la seconda, con vendite nette nel 2012 di 7,1 miliardi e un utile netto di 542 milioni. Tra le primissime catene italiane della grande distribuzione, la terza, con un bilancio consolidato nel 2012 di 6,8 miliardi e un risultato operativo di 368 milioni.

Tre aziende frutto dell'opera di tre straordinarie personalità: Giorgio Armani, che inizia a lavorare alla Rinascente e, nel 1975, fonda la società che porta il suo nome (e provate oggi a dire «Giorgio» in qualunque parte del mondo e subito tutti penseranno a lui e solo a lui); Leonardo Del Vecchio che, dopo un'infanzia nell'orfanatrofio milanese dei Martinitt, nel 1961 ad Agordo, in provincia di Belluno, fonda la Luxottica come piccolo laboratorio meccanico ed è oggi presente con la sua organizzazione in 130 Paesi; Bernardo Caprotti che insieme all'americano Nelson Rockefeller nel 1957 apre, in viale Regina Giovanna a Milano, il primo supermercato con un'insegna con la «S» di Supermarket scritta in caratteri enormi e negli anni Sessanta si compra tutta l'azienda, la rinomina Esselunga e da allora di negozi con la «S» ne ha aperti oltre 140.

Tre grandi imprenditori che delle rispettive aziende sono tuttora gli indiscussi proprietari e punti di riferimento: della società per azioni che porta il suo nome Giorgio Armani è amministratore unico e unico azionista; della Luxottica, la sola delle tre società ad essere quotata in Borsa e che ha come amministratore delegato Andrea Guerra, uno dei più accreditati manager italiani, Leonardo Del Vecchio è presidente e possiede oltre il 60 per cento delle azioni; della Esselunga, di cui nel novembre 2011 ha lasciato la presidenza ma che «continua a guidare», Bernardo Caprotti è tuttora l'unico proprietario, per quanto impegnato in una contesa giudiziaria con due dei tre figli per il possesso di una quota rilevante della holding di controllo.

Tre gruppi solidissimi, di enorme successo, posseduti da imprenditori la cui storia personale è un tutt'uno con quella delle proprie aziende. Perché dunque ne parliamo in un articolo partito da un elenco delle imprese italiane vendute a stranieri?

Perché, non suoni una mancanza di rispetto, Bernardo Caprotti è vicino ai novant'anni e tanto Armani quanto Del Vecchio si avvicinano alla soglia degli Ottanta. Una realtà anagrafica che rende legittimo interrogarsi sul futuro dei gioielli da loro creati e su come far sì che la loro proprietà resti italiana.
Non stiamo parlando di un tricolore da far sventolare per respingere indesiderati acquirenti venuti da fuori. Si tratta, più semplicemente e seriamente, di un beninteso interesse nazionale ad un sistema produttivo solido e capace di generare crescita e occupazione.

Per garantire che le tre imprese rimangano il presidio di una catena di fornitori (innanzitutto nel campo alimentare per quel che riguarda Esselunga), di vitale importanza per l'economia nazionale. Per far sì che Armani e Luxottica, due delle nostre multinazionali di maggior successo, continuino a portare nei mercati di tutto il mondo, per sé e per tutti gli altri produttori nazionali, l'immagine di un sistema industriale italiano forte e vivo. Per evitare che lo spostamento all'estero delle proprietà trascini con sé profitti, dividendi e professionalità. Per non perdere la possibilità che tutti e tre i gruppi crescano ulteriormente, aggregando altre aziende e creando finalmente dei poli italiani paragonabili ai maggiori gruppi internazionali: Armani e Luxottica (magari insieme, visto che già oggi Armani è socio di Luxottica con quasi il 5 per cento?) in quello che abbiamo imparato a conoscere come il settore del lusso, Esselunga in quello commerciale e della grande distribuzione.

Doverosamente esclusa qualsiasi suggestione di intervento pubblico, la soluzione non può che essere nelle mani dei tre proprietari-fondatori. Assicurare un grande futuro italiano ai gruppi da loro fondati sarebbe il più giusto coronamento della loro opera.

Riccardo Franco Levi
Fonte: www.repubblica.it
8.09.2013


Citazione
patrocloo
Honorable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 567
 

Doverosamente esclusa qualsiasi suggestione di intervento pubblico...

Chiaramente una precisazione del genere non poteva che provenire da un PiDiota.


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