Una riflessione sul ruolo dell’Italia nella guerra fredda
colloquio di Lucio Caracciolo con Francesco Cossiga
l’intervista è del 1995
LIMES Perchè oggi l’Italia conta così poco?
COSSIGA Per capire il declino attuale conviene anzitutto analizzarne le origini. E dunque ricordare quale fosse la nostra collocazione geopolitica durante la guerra fredda. Noi eravamo un paese doppiamente di confine: c’era un limes esterno, con i paesi dell’Est, ma allo stesso tempo esisteva un limes interno, giacché la cortina di ferro attraversava l’Italia e la spaccava in due – «occidentali» amici dell’America e «orientali» amici dell’Unione Sovietica. L’Italia era segnata da una contrapposizione ideologica e di civiltà. Gli equilibri politici nazionali erano condizionati dalla costellazione geopolitica mondiale. Ricordo ancora un colloquio con Giuseppe Saragat, negli anni Cinquanta: «Ma perché cosa credi che io abbia rotto l’unità con i socialisti, se non per scegliere l’America, l’alleanza Atlantica, l’Occidente?»
È chiaro che in questa condizione l’Italia era più un oggetto che un soggetto della politica internazionale. La scelta atlantica era obbligata. Su di essa convergevano l’interesse nazionale italiano e l’interesse ecclesiastico vaticano: non solo non eravamo in grado di garantire la nostra indipendenza senza l’ombrello atlantico, ma esso era necessario anche a proteggere la sicurezza della Santa Sede, l’organo centrale della Chiesa cattolica incastonato nel nostro territorio.
Il fatto curioso è che l’opzione atlantica del Vaticano era più ecclesiastica che cattolica. Corrispondeva agli interessi di sicurezza della Santa Sede, molto meno al sentire di buona parte del cattolicesimo politico italiano. Nella Dc, la sinistra dossettiana era neutralista. Poi si allineò con De Gasperi, ma solo perché la neutralità si era rivelata impraticabile.
Il nostro fu un atlantismo di necessità, un atlantismo minimalista. Questo spiega, fra l’altro, perché noi non siamo diventati una potenza militare al livello di paesi di analogo peso economico e demografico, tipo Francia o Gran Bretagna…
LIMES Forse anche perché avevamo perso la guerra…
COSSIGA Ma agli americani non importava nulla che avessimo perso la guerra! Loro ragionavano nel nuovo contesto bipolare. O di qua o di là. Su di noi ha sempre pesato il sospetto del neutralismo. I nostri alleati ci consideravano atlantisti per necessità, non convinti.
LIMES Non si fidavano di noi?
COSSIGA Non completamente. Basti ricordare che nella rete atlantica di Stay Behind entrò prima la Germania dell’Italia. A noi non ci volevano. Entrammo solo grazie alla mediazione della Francia.
LIMES Intende dire che furono i francesi a sponsorizzare Giadio?
COSSIGA Gladio è un’invenzione. Lei sa benissimo che non c’è un documento che parli di Gladio. No, io intendo la rete atlantica di Stay Behind (ricordo l’acronimo: S./B.) che avrebbe dovuto organizzare la resistenza nei paesi alleati in caso di aggressione dall’Est. Un organismo di non grandissima importanza, creato sulla base dell’esperienza dello Special Operation Executive voluto da Churchill e dell’OSS americano.
LIMES Quanto contava la presenza del maggiore partito comunista dell’Occidente nella percezione dell’Italia come paese inaffidabile?
COSSIGA Noi avevamo metà del paese dall’altra parte. I concetti fondamentali su cui si incardina l’unità nazionale dei nostri partner occidentali – patria e libertà – da noi non erano valori condivisi. Su di essi l’Italia era spaccata. I comunisti avevano un’idea di patria diversa da quella che avevamo noi democristiani, sull’altro versante della cortina di ferro interna. Non erano traditori della patria. Semplicemente, ne avevano un’altra concezione.
In entrambi, comunisti e democristiani, il concetto di patria era fortemente temperato dall’influenza del comunismo internazionalista, d’un lato, e della Chiesa, dall’altro. La verità è che nell’Italia della guerra fredda c’erano quattro tipi di lealtà, due da una parte e due dall’altra della frontiera interna: noi democristiani eravamo fedeli all’Italia e all’Alleanza Atlantica ma anche, in gran parte, alla Chiesa; loro comunisti erano divisi fra fedeltà nazionale e legame critico con il campo sovietico. Le radici della tragedia italiana sono tutte qui. Solo quando riusciremo a ricostruire un comune sentimento di patria potremo riconquistare il nostro posto nel mondo occidentale.
LIMES Per voi democristiani si poneva dunque un dilemma geopolitico e morale: essere fedeli all’Italia o alla Chiesa?
COSSIGA Confesso che non abbiamo mai avuto il coraggio di affrontare apertamente questo problema.
LIMES Ma lei personalmente…
COSSIGA Io non sono assolutamente un caso tipico di cattolico democristiano. Sono stato educato in una famiglia schierata con la Repubblica durante la guerra civile spagnola. Per me, cattolico liberale, il problema era già risolto in partenza.
LIMES Ma per De Gasperi, per Moro, per Andreotti?
COSSIGA Distinguiamo. De Gasperi, educato in uno Stato vero come l’impero austro-ungarico, era un cattolico laico, liberale. La sua scelta per il Patto Atlantico era insieme politica e di civiltà. Moro era un realista. Accettò l’atlantismo per ragionamento, non per convinzione. La scelta coscienziale di Moro sarebbe stata certamente, come per Dossetti, in favore di un’Italia neutrale. L’atlantismo di Andreotti fu frutto di una grande mediazione. Andreotti coniugò bene – fedeltà alla Chiesa e fedeltà allo Stato. Sarebbe molto interessante studiare la politica estera andreottiana e osservare quante volte egli tenne conto, per ragioni di convinzione personale ma anche di equilibri geopolitici, degli interessi della Chiesa.
LIMES Per esempio?
COSSIGA Prendiamo la guerra del Golfo. Io, come presidente della Repubblica e capo supremo delle forze armate, non ebbi alcuna titubanza, se non per quel che attiene a ogni coscienza pacifica e cristiana, a portare in guerra il mio paese. Sapevo bene che non era questa la posizione della Santa Sede. Sono testimone del fatto che invece questo per Andreotti fu un problema. Lui era preoccupato di coniugare le strategie italiana e vaticana più di quanto non lo fossi io. E questo gli americani non lo apprezzarono.
In realtà, la sindrome dell’8 settembre non ha mai cessato di incombere su di noi, nella percezione dei nostri maggiori alleati. (continua…)
Leggi l’intero articolo scaricandolo in formato pdf (190Kb)
http://limes.espresso.repubblica.it/wp-content/uploads/2008/05/perche-contiamo-poco.pdf
Una riflessione sul ruolo dell’Italia nella guerra fredda
colloquio con Francescco Cossiga
Ciao!
E' interessante sentire un'altra opinione (mi riferisco a Cossiga) su tale vicenda,
al di là delle opinioni più o meno personali che oguno di noi si sia fatto.
Grazie,
Bye,Bye The Essay
Strano che un fervente sostenitore della corona britannica sminuisca la condizione di un paese che ha perduto la guerra.....ma le chiacchiere di uno degli assassini di Moro lasciano il tempo che trovano.