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Eshin
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22.8.12
PAPPADAI: UNA DIGA DI RIFIUTI

di Gianni Lannes

Bentornati in Puglia, una delle 5 regioni italiane a rischio desertificazione, dove la guerra ambientale della Nato compie sperimentazioni quotidiane e le autorità “civili” a tutti i livelli fanno finta di niente. Ecco un enorme invaso nel territorio di Monteparano, ai confini con l’agro di Grottaglie in provincia di Taranto. Il bacino idrico - un’opera pubblica mai collaudata - è stato progettato per contenere 20 milioni di metri cubi d’acqua prelevati (a parole) in Basilicata. Solo che l’oro blu lucano - sempre più impestato dagli idrocarburi trafugati dall’Eni - non ha mai fatto la sua apparizione. Doveva servire a irrigare 7.200 ettari di terra nel Salento e nel tarantino, che però di acqua non ne hanno visto neanche una goccia, se non quella piovana. A scorrere è stato solo un fiume di denaro pubblico, erogato dall’ignaro contribuente italico: attualmente 250 milioni di euro. Al posto dell’acqua, in compenso sono confluiti i rifiuti.

Sprechi senza fine - Nel 1984 sono cominciati i lavori commissionati dal consorzio di bonifica dell’Arneo di Nardò (Lecce), senza sapere da dove arriveranno i milioni di metri cubi d’acqua necessari a far funzionare la diga. Inizialmente si pensa alla vicina Basilicata, ossia all’invaso del monte Cotugno alimentato dal Sinni. Un’operazione non prevista dagli accordi fra Puglia e Basilicata che regolano le concessioni d’acqua, sottoscritti nel 1999 e validi fino al 2015, e che riguardano l’invio di acqua dal Sinni a Ginosa. Eppure in quei patti non si fa menzione del Pappadai né tantomeno dell’acqua del Sinni da fornire al Salento, anche se il governatore Nichi Vendola ha promesso di tutto e di più in campagna elettorale. Ed è singolare appurare che il consorzio, in anni di attività”, ha gestito centinaia di miliardi (valuta in lire) provenienti da finanziamenti pubblici e contributi consortili. Le opere più grandi sono abbandonate e cadenti e la tanto attesa acqua del Sinni, in virtù della quale si realizzano ancora ai giorni nostri impianti faraonici e business colossali, non arriverà mai per la siccità che ha colpito la Lucania e i suoi invasi. E’ un elenco infinito di spese inutili quello che si potrebbe stilare per questa cattedrale nel deserto. Solo le tubature sono costate oltre 120 milioni di euro a una cinquantina di comuni pugliesi. Quasi 40 milioni sono stati spesi per il primo e il secondo lotto dell’invaso, 6,5 milioni per le opere di derivazione del sistema Chidro-Sinni e la vasca di regolazione di Monteparano, circa 30 milioni per portare le acque del fiume Sinni. Come se non bastasse nel 2002, dal ministero delle Politiche Agricole sono piovuti altri 26 milioni di euro per opere integrative volte ad assicurare l’agibilità del Pappadai, per le opere di scarico del nodo idraulico di Monteparano e per il completamento del nodo idraulico di Sava. Non è tutto. I soldi della collettività buttati per imponenti quanto inutili opere irrigue nel Salento non si contano orma più. Dei quattrini pubblici dilapidati senza controllo restano nelle campagne pugliesi solo tracce ingombranti di tubature mai entrate i funzione, di impianti fantasma di idranti (se ne contano 2.553 fra attivi e inattivi) e di pozzi, di cui ben 127 abbandonati. Nel rapporto intitolato “2005 lo spreco continua… 100 esempi di cattivo della spesa pubblica”, Confesercenti denuncia che «pur contando 270 mila consorziati per i servizi offerti dall’Ente, che è responsabile della distribuzione dell’acqua nei campi del Salento, meno dello 0,4 per cento degli associati effettivamente a riceve. Per tutti gli altri solo cartelle esattoriali da pagare». A tutt’oggi, la situazione non è migliorata. Allo spreco di denaro pubblico va sommato il danno ambientale: più di un terzo delle condotte, circa 73 chilometri, è costruito con amianto e cemento, che con il tempo e lo stato di abbandono rischiano di avvelenare suolo, falda ed esseri viventi. Ma che nessuno parli di opera incompiuta. «Contiamo di ultimare quanto prima i lavori di ampliamento in corso - fanno sapere dal consorzio –-per poi fare l’avviamento sperimentale dell’invaso». E i quattrini già spesi? Acqua passata. Allora Vendola, si mangia più che bere?

Ecomafie - La diga inutilizzata è stata imbottita da ignoti di rifiuti: fusti petroliferi e quant’altro. In questo mastodontico invaso idrico affiorano lastre friabili di amianto cancerogeno e bidoni abbandonati. Nell'invaso del Pappadai che avrebbe dovuto dissetare il Salento sono stati seppelliti anche fanghi industriali tossici. Il dilavamento meteorico li ha fatti parzialmente affiorare. A poca distanza dal Pappadai è attiva la mega discarica gestita dalla società Ecolevante che ha foraggiato i politicanti locali per tenerli buoni. La ditta toscana - che non paga da tempo le royalties al Comune in termini di compensazione al danno ambientale e sanitario - vanta un progetto per l’ampliamento (il terzo lotto) che andrà ad interferire con l’aeroporto locale. Una vicenda denunciata con solide prove (copie di assegni bancari e lettere di accompagnamento) alla Procura della Repubblica di Taranto dalla pacifista Etta Ragusa. A proposito: in provincia di Lecce il presidente ecologista Vendola ha preferito consentire alla Marcegaglia di realizzare una discarica, addirittura su una falda acquifera, mentre in provincia di Taranto nulla ha obiettato al potenziamento di un inceneritore fuorilegge a Massafra. Se la qualità dell’aria è già spacciata, la popolazione pugliese che diamine di acqua berrà d’ora in avanti? Nell’ex California d’Europa, dal Gargano a Santa Maria di Leuca latitano gli impianti di depurazione e quelli esistenti non funzionano adeguatamente, scaricando direttamente in mare nei tratti costieri dove la gente comune fa il bagno. Insomma: terzo mondo in salsa Sel.

le foto qui
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2012/08/pappadai-una-diga-di-rifiuti.html#more


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