Dal sit-in alla Marcia. Il 2 settembre a Roma per la tregua in Siria, il 9 ottobre da Perugia ad Assisi per costruire pace
di: Elisa Marincola
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Ci ritroveremo tra poche ore a Roma a Santi Apostoli per chiedere una tregua nel massacro siriano, per consentire l’arrivo di aiuti umanitari ad Aleppo e nelle zone più devastate dai bombardamenti di tutte le parti in guerra. Ma ci ritroveremo anche per proseguire un percorso avviato da diversi anni, come Articolo21 insieme a molti tra i promotori e tra le altre sigle che saranno con noi a due passi dalla sede di rappresentanza dell’Unione europea. Un percorso che, aldilà dell’indignazione, della giusta protesta per una tragedia che ha distrutto, insieme a migliaia di vite umane, l’idea stessa della convivenza tra comunità diverse, si è fatto carico di un impegno più alto: accendere un faro sulle realtà più oscure, sui drammi cancellati, sulle colpe e le complicità, non ultime quelle del nostro paese, uno dei maggiori produttori ed esportatori di armi in tutto il mondo, a cominciare proprio dalle zone di guerre fratricide.
Lungo questa strada abbiamo dato vita, poco più di un anno fa, a una vera e propria rete “Illuminare le periferie”, in cui, insieme, informazione, cultura e associazionismo hanno sottoscritto la responsabilità di raccontare questi angoli bui, ricostruire le ragioni, ascoltare le voci di quanti non si rassegnano e cercano di costruire percorsi di pace anche dove sembrano impossibili. E anche noi di Articolo 21, con le nostre poche forze ma con determinazione e costanza, ci sentiamo parte di questi “costruttori di pace”, con i quali abbiamo condiviso, fin dalla nostra nascita 14 anni fa, iniziative, incontri, programmi di lavoro nelle scuole e con gli amministratori pubblici. E con questi costruttori di pace, tra poco più di un mese, il 9 ottobre, torneremo a marciare da Perugia ad Assisi, per la Siria e per tutte le zone di conflitto e di terrorismo che compongono, come ha giustamente indicato Papa Francesco, la terza guerra mondiale.
Ma un sit-in, e persino una grande marcia di migliaia e migliaia, non bastano a cambiare le cose, se il resto delle persone non se ne accorgono. Di qui la grande responsabilità che il mondo dell’informazione e della cultura, non solo le grandi istituzioni di questi settori, ma anche noi individualmente, giornalisti, scrittori, attori, registi, dobbiamo farci carico di raccontare, le guerre ma anche i progetti di pace. E prima ancora dobbiamo capire cosa racconteremo, ascoltare i protagonisti, dalle vittime ai soccorritori ai costruttori di convivenza e solidarietà, tanto più meritevoli di riconoscimento per non aver mollato in questi quindici anni dall’11 settembre 2001 (si, sono già quindici anni dall’attacco alle twin towers e a tutto l’orrore che ne è seguito) .
Dal sit-in del 2 settembre, quindi, parta una mobilitazione per accendere quelle luci, illuminare sul serio fisicamente quelle periferie, da Aleppo al Kurdistan, fino a quei 25 chilometri da Perugia ad Assisi che da 55 anni ci ricordano il principale monito del suo ideatore, Aldo Capitini: “se vuoi la pace, prepara la pace”.
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SIT-IN A PIAZZA SANTI APOSTOLI, VENERDì 2 SETT
La manifestazione o conferenza stampa delle associazioni che si sono mobilitate sul tema della guerra siriana e' stata conclusa da
Hamadi, scrittore e giornalista italo-siriano
di cui potete leggere l' ultimo suo post del blog che tiene sul sito del Fattoquotidiano.
Marcopa
Siria, dal 2011 oltre 70mila scomparsi. Uno scempio continuodi Shady Hamadi | 31 agosto 2016
71,533 nomi. Sono le persone scomparse in Siria dal 2011 a oggi. I Regeni siriani. Quel numero, che comprende circa 4000 bambini e 2300 donne, è il simbolo del buco nero siriano e di uno dei livelli della tragedia siriana. Possiamo guardare alla Siria come a un intreccio di scempi. Il primo è quello morale. Continuare a dimenticare i siriani: quelli scomparsi, morti, i civili bombardati e la società civile siriana concentrandosi solo sulle nostre paure (l’Isis). Sul tavolo degli imputati di questa questione morale vanno messe le élite arabe che hanno continuato, sostenute dall’Occidente (anche quello che porta avanti la retorica del rispetto dei diritti umani e vende armi a paesi che non li rispettano), a reprimere le loro popolazioni senza farsi carico della trasformazione che, dal 2010 al 2011, molti giovani hanno richiesto. Così, come scriveva bene Randa Taqi al Din, in un articolo del settembre 2015 su al Hayath, c’è “un futuro nero per i giovani nel Medioriente” in cui si fa largo una cultura del pessimismo dovuta all’impossibilità di un cambiamento e alla pressante assenza di libertà. Sono infatti questi i motivi che già avevano spinto fra gli anni 60-70 del Novecento, nel periodo dei golpe arabi che misero al potere le dittature che governarono per mezzo secolo, molte delle migliori teste del mondo arabo a lasciare i propri paesi e cercare un futuro in Occidente.
La seconda questione è l’estrema fluidità politica che vediamo oggi nel Medioriente, in particolare in Siria, in nome di interessi a breve termine. Prima del 2011, Damasco oscillava fra la Russia e gli Usa. Nel 2009 i rapporti fra la Turchia di Erdogan e la Siria di Bashar al Assad erano talmente idilliaci da spingere Ankara a rimuovere i visti per i siriani. Poi, dal 2011 si è assistito al progressivo cambiamento dei rapporti. All’inizio della rivolta siriana ufficiali del servizio segreto turco consegnarono agli omologhi siriani Hussein Harmush, disertore siriano rifugiatosi in Turchia e fondatore del primo nucleo dell’Esercito libero siriano, che apparve una settimana dopo davanti ai microfoni della televisione siriana a ritrattare la sua posizione, dicendo di essere stato pagato da agenti esteri. Harmush morirà fucilato in gran segreto mesi dopo. Dopo questa graduale collaborazione, Erdogan scelse di guidare il fronte dell’Islam politico e di portare avanti la sua propria agenda, spezzando di fatto i legami con Assad. Mosca si arroccò in difesa di Assad e sostenendo il suo alleato regionale: l’Iran. D’altra parte, Mosca fu facilitata dal progressivo disimpegno americano nel medioriente che aprì nuovi spazzi di influenza. Nel settembre 2015, forse spinta dalla progressiva iranizzazione della Siria, insieme all’offensiva di agosto delle forze d’opposizione, la Russia intervenne direttamente nel conflitto siriano, nonostante Putin, in una “lettera aperta al popolo americano” pubblicata sul New York Times all’alba della strage chimica di Ghouta dell’agosto 2013, aveva sostenuto che nessun intervento doveva e poteva essere fatto in Siria. E’ pur vero che le potenze regionali hanno cominciato, fin dai primi mesi del 2011, a inserirsi direttamente e indirettamente nel teatro siriano. A Homs, nel 2012, all’inizio dell’assedio della città vecchia che sarebbe più di due anni, fu segnalata la presenza dei pasdaran iraniani. Mentre americani, russi, inglesi e francesi si precipitarono a stabilire rapporti e inviare consiglieri a diversi contendenti pro o contro il governo siriano.
Nonostante questo guazzabuglio di relazioni, abbiamo assistito a numerose svolte nei rapporti bilaterali, l’ultima è stato il riavvicinamento fra Russia, Turchia e Assad che si è concretizzata nella cooperazione contro i curdi del PYD, sostenuti dagli americani come forza di terra anti-Isis, e oggi sacrificati sul tavolo della real politik.
Il terzo punto è culturale. In Europa e non solo, esistono forze politiche di destra e di sinistra che convergono intorno al sostegno di regimi autoritari nel mondo arabo, a cominciare da quello di Assad. Nel corso di questi anni, è capitato che a Damasco si presentassero senatori di sinistra italiani e, mesi dopo, rappresentanze di partiti di estrema destra. Entrambi hanno portato il loro sostegno al governo siriano. Le ragioni di queste convergenze potrebbero essere rintracciate nel disprezzo della democrazia che entrambe queste ideologie provano. La prima, la sinistra estrema, vede in Assad un baluardo all’imperialismo e un eroe della causa palestinese, nonostante siano migliaia i palestinesi incarcerati e scomparsi. L’estrema destra, vede nell’uomo forte di Damasco un altro satrapo dal quale trarre ispirazione: un uomo che ha saputo realizzare la patria, così come la realizzò il campione nostrano del fascismo. C’è il livello della “culturale di massa” che non ha aiutato i giovani siriani e gli arabi a trovare empatia nelle massi occidentali. Gioca un ruolo fondamentale la questione della rappresentazione dell’Islam e gli stereotipi che ruotano intorno a questa fede, al punto che tutto il resto, tutto quello che è oltre l’Islam, dalla letteratura alla filosofia, finisce nel dimenticatoio. Questo fa sì che noi, qui in Europa, non riusciamo a vedere altro che fondamentalisti e regimi, giocando il nostro futuro sulla scelta di uno o dell’altro. Tutto quello che è in mezzo scompare.
di Shady Hamadi | 31 agosto 2016
In realta' dopo aver sostenuto i gruppi armati contro il governo siriano,
ora questa aggregazione non parla dei gruppi armati sostenuti dall' Occidente e petromonarchie che combattono contro Assad.
Secondo loro l' esercito siriano bombarda i civili siriani, o almeno cosi' sembra.
Cosi' come sembra che in Siria oggi non ci siano religiosi cristiani impegnati ad aiutare la gente , ma blogger, radio private e artisti.
Anche sant' Egidio ignora i religiosi cristiani presenti in Siria.
Il prossimo passaggio della propaganda, per cosa non si capisce ancora,
e' Venezia, Festival del Cinema, vedi post Santoianni,
poi sara' la volta della Marcia Perugia Assisi.
Marcopa,
ci siamo bevuti, come una bella limonata fresca:
- l'eroica lotta risorgimentale del popolo italiano culminata con la straordinaria impresa "spontanea" dei Mille;
- la giusta guerra delle democrazie occidentali contro i reazionari imperi asburgico e prussiano con i tedeschi che tagliavano le mani ai bambini belgi e(essendo gli unni) crocifiggevano i soldati canadesi;
- la ancora più giusta, per non dire santa, guerra delle democrazie occidentali contro il Male Assoluto;
- l'uccisione di 6 milioni di ebrei e di non si sa quanti rom, sinti, omosessuali, testimoni di Geova et al., con camere a gas, fosse fiammeggianti all'aperto, gas di scarico di motori diesel, scariche elettriche et al.;
- tutta l'epopea della Resistenza in Italia come "lotta di popolo";
- il meraviglioso aiuto da parte degli USA all'Europa per riprendersi dai disastri della Guerra attraverso il piano Marshall;
- l'ancora più meravigliosa lotta dell'Impero del Bene contro l'Impero del Male sovietico;
- per altri, invece, l'Impero del Male comunista sovietico era il paradiso in terra e Lenin, Trotsky, Stalin e compagni erano dei santi e degli eroi;
- la pulizia etnica, il sadismo, la crudeltà ed il bieco sciovinismo dei nuovi nazisti di Slobodan Milosevic in Serbia, Bosnia e Kosovo, con annessi assedi e stragi e stupri a Sarajevo, Srebrenica et al.;
- i diecimila studenti morti in piazza Tienammen;
- la strage di Timisoara;
devo continuare?
Il trattamento di condizionamento mentale, formativo, culturale, comportamentale, attraverso un'incessante lavoro, non è una novità degli ultimi trenta o quarant'anni. Non si arriva alle ONG dall'oggi al domani, è necessaria una lunga ed attenta preparazione "a monte", come si diceva negli anni 70'. Un campo deve essere pulito, poi arato, quindi seminato con cura per potere avere un buon raccolto.
Ho sempre considerato "Discorso sulla servitu' volontaria" il titolo piu' citato di un libro non letto.
A questo link possiamo leggerlo....e magari provare a non essere troppo fatalisti....
Si puo' dire NO, magari facendo casino come sta facendo il M5S al comune di Roma, ...ma è meglio così di quando comandava Carminati....
http://www.inventati.org/apm/abolizionismo/boetie/boetie.pdf
Etienne De La Boétie.
DISCORSO SULLA SERVITU' VOLONTARIA.
Jaca Book, Milano, prima edizione italiana ottobre 1979.
A cura di Luigi Geninazzi.
Titolo originale: "Discours sur la servitude volontaire".
Traduzione di Luigi Geninazzi.
INDICE.
Introduzione.
Note all'introduzione.
Nota del traduttore.
Discorso sulla servitù volontaria.
Note al testo.
INTRODUZIONE.
1. L'opera nella storia delle sue interpretazioni: pamphlet politico o esercitazione retorica?
Il "Discorso sulla servitù volontaria" è una di quelle opere dallo strano destino: ignorata per lunghi periodi improvvisamente riesce ad accendere non solo dispute fra storici ma anche passioni politiche, per poi ricadere nell'ombra della dimenticanza. Ogni epoca se n'è così appropriata l'interpretazione autentica o la lettura più acuta portandola all'interno delle misure usate per giudicare le lotte del momento. Non si tratta qui dell'ovvia constatazione che ogni rilettura o riscoperta è legata all'interesse fondamentale di colui che muove alla ricerca del significato di una determinata scrittura: ogni testo in una certa misura acquista
rilievo all'interno di una precomprensione, di un pre-testo che ne costituisce l'orizzonte. Il fatto è che molte volte laddove il problema posto non si chiude in una soluzione ma viene lasciato come interrogativo, come
questione fondamentale aperta (ed è appunto il caso del "Discorso"), il lettore non riesce a sopportare questo stato di sospensione e riduce il testo ad un pretesto, senza alcun rispetto per l'origine e la struttura
interna che dà coerenza allo scritto. Nel caso del "Discorso sulla servitù volontaria" inoltre questo gioco di reinterpretazioni si complica per il fatto che vi è incertezza già sull'origine e sulla struttura dell'opera: essa
ci appare trasversalmente, emergente in testi di altra natura, quasi fosse stata trafugata di nascosto oppure inventata per l'occasione ma in modo da rimandare ad un'aura di mistero (1).
La figura dominante in tutta la vicenda non è l'autore, Etienne De La Boétie, ma il suo grande amico, Michel De Montaigne. Prima di morire La Boétie affida a Montaigne tutti i suoi scritti che vengono poi pubblicati nel 1571, comprese alcune traduzioni di testi classici compiute dall'autore e alcune sue poesie.
Non compare però il "Discorso sulla servitù volontaria"; Montaigne pensa di dare rilievo a questo scritto inserendolo come pezzo centrale nei suoi "Essais". Ma allorché nel 1580 appaiono i primi due libri degli "Essais" al posto del "Discorso" troviamo ventinove sonetti dell'amico, che rimarranno ancora nell'edizione definitiva del 1588. Era successo infatti quel che oggi chiameremmo un tipico caso di pirateria editoriale: il testo inedito era venuto in mano ad alcuni ugonotti che nella loro feroce polemica contro la monarchia francese non esitarono ad inserire alcune parti del "Discorso", dove si descrive lo strapotere del tiranno e la condizione miserevole dei sudditi, in un loro pamphlet anonimo: "Le Reveille-matin des François et des leurs voisins", fatto circolare nel 1574. Due anni più tardi il testo integrale veniva pubblicato in......