L’assemblea di ieri convocata dal Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp) per organizzare a Genova una mobilitazione nazionale il prossimo 25 febbraio contro la guerra e il traffico di armi ha visto una partecipazione straripante e forse inaspettata. La sala messa a disposizione dal Calp presso il Circolo dell’autorità portuale di Genova non ha potuto contenere le oltre cento persone che hanno partecipato all’assemblea.

 

Presenti in video conferenza anche gruppi e collettivi da Torino, Padova, e Cagliari. Centri sociali della città come il Zapata (che sta battagliando contro lo sgombero) e l’Askatasuna di Torino si sono alternati negli interventi con esponenti di Rifondazione Comunista, Potere al Popolo, Rete dei comunisti, Unione popolare e di sigle del sindacalismo di base come Usb, molto attive nel contrasto diretto alla “logistica di guerra”.

Tutti hanno confermato l’adesione all’iniziativa del Calp per costruire insieme una grande manifestazione nazionale il prossimo 25 febbraio.

Tra le proposte avanzate l’apertura alle realtà cattoliche di base e il dialogo con chiunque sia contrario all’economia di guerra in cui il governo Meloni, in continuità con Draghi, ha precipitato il Paese aggravando la crisi sociale in atto.

“Siamo maggioranza” è stato detto riferendosi ai recenti sondaggi che vedono il 70% degli italiani contro l’invio di armi all’Ucraina, Leopard compresi.

“Sempre al fianco del Calp” hanno dichiarato gli studenti medi dell’Opposizione studentesca d’alternativa in un applauditissimo intervento in cui hanno ricordato come la militarizzazione nelle scuole passi anche attraverso l’alternanza scuola lavoro presso la sede genovese di Leonardo.

Il coordinamento nazionale porti di Usb (presente oltre che a Genova anche a Livorno e Civitavecchia) ha annunciato uno sciopero generale a copertura della manifestazione.

Condivisa da molti interventi la critica a un pacifismo troppo generico, che non ha il coraggio di affrontare le trasversali responsabilità di guerra del nostro Paese, prima fra tutti l’invio di armi con l’unico effetto di prolungare l’inutile strage.

“Guardarsi allo specchio” e combattere la co-belligeranza dell’Italia è stato infatti il senso comune emerso dalla gran parte degli interventi, anche perché questa belligeranza sta affossando l’economia e viene fatta pagare principalmente a lavoratori e lavoratrici. Intanto il governo non fa nulla per mettere la museruola alle speculazioni sulle bollette che stanno producendo extra-profitti stellari per le multinazionali di bandiera.

Stoccate nel merito anche alla Fiom-Cgil che sulla questione centrale del comparto militare industriale marca uno schiacciamento tendenzialmente corporativo (come del resto le altre sigle confederali) sulle politiche industriali del management, che da Moretti a Profumo hanno trasformato Finmeccanica in una holding dell’hi-tech militare. Nessuna prospettiva alternativa alla trasformazione dell’industria militare in un finanziatissimo pilastro della politica estera italiana. Una contraddizione gigantesca che pesa come un macigno perché il ricatto guerra-lavoro e ambiente-lavoro deve essere spezzato. L’ultimo “brindisi” dei confederali per una grossa commessa militare è peraltro arrivato proprio qualche giorno fa a Palermo, dove è stata consegnata una nave da guerra nuova di zecca realizzata da Fincantieri e consegnata alla marina del Qatar.

Senza il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori dei settori dell’industria e della logistica, cruciali per la belligeranza voluta da un trasversale ceto politico guerrafondaio, il movimento pacifista non sarà mai in grado di imporre un’inversione di rotta.

In questo senso, hanno detto i camalli genovesi, il 25 febbraio sarà allo stesso tempo “proseguimento e tappa di un percorso che viene da lontano”.