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Avete comprato il Capitale? Allora leggetelo!


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Uno dei grandi casi editoriali del primo decennio del terzo millennio è stata l’impennata delle vendite del Capitale di Carlo Marx subito dopo l’eplosione della bolla immobiliare USA e la successiva depressione globale che ne seguì. A quasi tre anni da quell’evento sono certo che il 90% dei nuovi volumi del Capitale che fanno mostra di sé nella libreria di casa degli acquirenti sono stati letti fino a pagina7 e poi rimessi al loro posto a raccogliere la polvere. L’impegnativa lettura del tomo deve aver scoraggiato quasi tutti.

Come faccio a saperlo? Ho fatto questo ragionamento. Gli acquirenti del Capitale di Marx sono per lo più animati da una curiosità critica verso il capitalismo: sono cioè desiderosi di sapere come funzionano le cose per trovare una spiegazione alla loro totale insoddisfazione verso lo stato di cose presenti. Si tratta cioè di quelle persone che quando esprimono le loro opinioni sono classificabili come appartenenti all’area della dissidenza. Il problema è che, data la genialità condensata nell’opera di Marx e la sua rinnovata popolarità deducibile dai dati del mercato librario, non si capisce come mai la sostanza e lo stile dell’argomentazione dei dissidenti si facciano ogni giorno più stupidi.

La facilità di presa che hanno sull’area dissidente le fanfaluche dei decrescisti o le fandonie degli assertori della sovranità monetaria è una buona dimostrazione di come il metodo di Marx sia un perfetto sconosciuto. La scervellata disinvoltura dei proponenti della secessione unilaterale dal sistema finanziario internazionale tramite mancato pagamento del debito prova la totale sprovvedutezza e insipienza verso il fitto sistema di interrelazioni dell’economia globale. L’uso di un linguaggio puramente moralistico, basato sull’imprecazione e sulla giaculatoria, per riferirsi ai mercati finanziari è sintomo dell’esclusione dalle forme di pensiero non lineari contemporanee necessarie a darsi ragione di sistemi complessi come l’economia o l’ecologia. In generale, l’incapacità di confrontarsi con la complessità dei sistemi ricorda un medico che non vede altre soluzioni che quelle chirurgiche, e tra le soluzioni chirurgiche predilige le amputazioni. E’ come essere rimasti fermi all’aritmetica nell’epoca dei sistemi esperti e delle intermatematiche.

Ma l’indizio più diretto che l’eredità di Marx non si è trasmessa agli anticapitalisti di oggi — se pure avessero a casa la sua opera omnia — emerge quando si constata la totale assenza di discorsi sull’economia che riflettano la fondamentale lezione di Marx, che io riassumerei in due punti: a) l’analisi al microscopio fin nelle fibre più sottili e risposte di quell’entità economica che è la merce; b) la ricerca dei punti di leva per un cambiamento in positivo della società nei rapporti di forza che si originano nel processo di produzione della merce.

Ho qui sulla scrivania una calcolatrice Made in China, di marca Osama, modello OS 820/10 acquistata due o tre anni fa in un discount a meno di cinque euro. Ho conservato il blister di imballaggio perché sul retro ci sono le istruzioni per il calcolo delle radici, delle funzioni, per l’esecuzione di operazioni multiple mantenendo il risultato e così via. La batteria è alimentata da celle solari e al termine dell’uso non c’è bisogno di spegnerla perché lo fa da sola. Il design è molto accattivante, con un profilo ergonomico curvilineo che evita la solita trita figura poligonale. La dotazione di funzioni è del tutto adeguata per chi non fa calcoli in un’ambito professionale o accademico. Il tutto ripeto, per meno di cinque euro, e senza bisogno di sostituire periodicamente la batteria.

Senza essere un esperto di ingegneria industriale o di merceologia, chiamando a raccolta tutte le nozioni in mio possesso in materia di economia e finanza, ho provato a fare della calcolatrice un oggetto di meditazione per dedurre dalle sue caratteristiche l’intero processo economico (marketing, produzione, logistica, innovazione tecnologia…) che ha fatto sì che questo manufatto partisse dalla Cina per arrivare sulla mia scrivania. Ne è venuto fuori un interminabile “flusso di coscienza” che a un certo punto ho dovuto interrompere e di cui qui posso dare solo un breve saggio, riproducendo il carattere spontaneo e un po’ rozzo con cui l’ho annotato man mano che si sviluppava.

. . . l’oggetto è contenuto in un blister di cartoncino sulla cui facciata è
incollata la “conchiglia” di plastica trasparente che lo trattiene
all’interno, mostrandolo all’esterno, e il cui profilo segue quello, assai
peculiare della calcolatrice. Il blister è rettangolare e ha una fessura in
alto in cui si inserisce il sostegno dell’espositore del centro vendita. Gli
imballaggi, in generale, rispondono a due criteri: a) un criterio logistico,
per cui si richiede poco ingombro e protezione antiurti; b) un criterio di
marketing packaging che impone sia la praticità per il modo di esporlo in un
centro vendita con grandi problemi di spazio e visibilità, sia il carattere
accattivante dell’immagine della merce all’occhio del consumatore. La base si
cartoncino dell’imballaggio è più ampia di quanto a prima vista apparirebbe
necessario per le esigenze logistiche di minimo ingombro, ma sul retro
appaiono una serie di istruzioni che guidano l’utente all’uso della
calcolatrice e giustificano le dimensioni del contenitore. Da notare che, a
parte alcune avvertenze bilingui – italiano e inglese – per evitare danni alla
calcolatrice, tutto il testo rimanente è in corretta lingua italiana. Ciò
solleva la questione se il packaging del prodotto ha avuto luogo in Cina, o se
se ne è occupato l’importatore in Italia (in questo caso le calcolatrici
avrebbero viaggiato con altro imballaggio). L’imballaggio riporta un altro
> brand – oltre a quello Osama della calcolatrice – , Softy, e dunque si direbbe che c’è un distinto produttore. Questo produttore, comunque, al di la delle caratteristiche generali delle sue lavorazioni, deve essere in grado di
adattarsi a specifiche di imballaggio molto particolari dettategli dal
produttore della merce da imballare, dato che la “conchiglia” di plastica
trasparente che contiene la calcolatrice è stata evidentemente disegnata e
stampata sulla forma particolare della calcolatrice. Se il fabbricante
dell’imballaggio è italiano deve poter trattare con un committente locale
(l’importatore) in grado di accertarsi che il prodotto sia conforme alle
specifiche del fabbricante; se il fabbricante è cinese deve potersi avvalere
di un servizio di traduzione che garantisca che il testo sia del tutto
conforme alla lingua italiana commerciale corrente. I problemi logistici
inglobano naturalmente il trasporto, e dunque il nolo marittimo. Quanto incide sul prezzo finale l’affitto del container del cargo commerciale su cui la
merce ha viaggiato? I costi di trasporto contemplano il carburante, le spese
di manutenzione, le spese di sussistenza dell’equipaggio, il loro salario, le
assicurazioni, i costi di docking per l’attracco in porto e le operazioni di
carico e scarico. Che bandiera batteva il mercantile che ha portato il
container? Che rotta ha seguito? Ha fatto altri scali, è partito dalla Cina
già pieno di merci, o era a carico parziale (cosa che aumenta il costo
marginale della navigazione)? Osama è un’impresa cinese, a capitale misto, a capitale interamente straniero. Se è il frutto di outsourcing occidentale, da
quale paese viene il capitale? Le fasi di design e progettazione sono state
fatte in occidente o sono locali? L’esperienza di tanti anni di outsourcing
insegna che le funzioni di design e progettazione, e il know how produtti
vo,
devono essere sviluppate in un luogo geograficamente prossimo alla
manifattura, almeno a un certo livello di complessità tecnologica, ed
escludendo l’outsourcing del semplice assemblaggio. Chi comincia ad esportare le funzioni di produzione, presto o tardi comincerà a esportare anche il design e la progettazione (vedi Fiat). Dove è stata prodotta la
componentistica elettronica della calcolatrice Osama? Che significa di fatto
“Made in China”? Le maestranze cinesi sono capaci di produrre Hi Tech? E
quanto sanno produrne? E a che livelli qualitativi? Ricordo di aver letto un
articolo su un fabbricante USA di asciugacapelli che dopo aver delocalizzato in Cina ha riportato tutta la produzione in America per il numero intollerabilmente alto di errori e scarti di produzione fatti dagli operai cinesi. La qualificazione della manodopera dipende da livello di istruzione d’accesso, dagli investimenti in formazione, dall’ambiente di lavoro; tutto ciò può essere o non essere presente in Cina per la produzione di certe merci o per determinate fasi della produzione. . .

Mi fermo qui avendo fornito la ventesima parte delle questioni che sorgono in un esame assai sommario di un comune manufatto come una calcolatrice da tavolo. E’ evidente che ognuna delle frasi che ho scritto qui su potrebbe essere “esplosa” in almeno altri dieci enunciati: pensiamo ai problemi di accesso alle materie prime; alle implicazioni di chimica industriale per le componenti di gomma e le vernici; alle implicazioni siderurgiche per i laminati, le viti, e i conduttori della circuiteria elettronica. Pensate ai costi di manodopera e alla condizioni contrattuali con cui hanno lavorato non solo i lavoratori cinesi, ma anche tutti gli altri presenti sulla filiera; e pensate alle differenze di trattamento paese per paese. Naturalmente, il processo di produzione e commercializzazione è fatto di scambi, che hanno un controvalore monetario, e perché il sistema dei pagamenti abbia luogo in maniera funzionale alle necessità del ciclo economico deve esserci una infrastruttura monetaria e finanziaria efficiente. E su scala globale, come globale è l’attività commerciale della Cina.

Ora vorrei rammentare due concetti fondamentali dell’analisi marxista: a) le forze di produzione; b) i rapporti di produzione.

Le forze di produzione sono il complesso di conoscenze e abilità tecnico-scientifiche, oltreché l’insieme dell’apparato industriale – geograficamente distribuito – che fa sì che la calcolatrice Osama OS 820/10 sia un’entità non solo realmente esistente, ma anche di così facile accesso da essere ora qui sulla mia scrivania, per il mio uso personale.

I rapporti di produzione, per contro, sono i rapporti di potere che si istituiscono tra tutti gli uomini e le donne che prendo parte alla produzione – in virtù del fondamentale parametro del possesso o meno del capitale. Inoltre, in seconda istanza, questi rapporti di potere escono dai recinti delle fabbriche e si proiettano sull’intera società (l’opinione di Tronchetti-Provera sull’attuale crisi del debito sovrano pesa più della mia, e questo è potere).

Ora, se l’impennata delle vendite del Capitale di Marx dopo l’esplosione della bolla immobiliare USA fosse stato qualcosa di più che una moda o una civetteria radical chic noi sentiremmo discorsi molto diversi da quelli prodotti dalla cosiddetta area della dissidenza anticapitalista. Avremmo cioè:

a) Analisi dettagliate delle forze di produzione, secondo un metodo simile a quello di cui ho cercato di dare un esempio nell’esame della calcolatrice. E avremmo:
b) Analisi dettagliate dei rapporti di produzione che si stabiliscono a ogni singolo livello della filiera produttiva della calcolatrice, e di ogni altra merce – dunque non il generico e retorico appello al conflitto tra capitale e lavoro –, per comprendere in che modo l’intelligenza e l’intraprendenza dei lavoratori di tutto il mondo possano conquistare quote crescenti del controllo della produzione per migliorare prima di tutto la propria condizione e poi promuovere una migliore organizzazione della società.

Naturalmente il medico non ha ordinato a nessuno la ricetta marxista, e anzi è sempre più frequente notare come la critica al capitalismo adotti un armamentario dialettico derivato dal pensiero reazionario: dalle tentazioni autarchiche all’organizzazione piccolo-borghese della produzione e del consumo. Ma la ricetta marxista è quella che coniuga il massimo di scientificità con la più alta espressione dei valori della nostra tradizione umanistica.

Ovviamente dopo aver acquistato il Capitale di Marx sarebbe bene anche leggerlo.

Gianluca Bifolchi
Fonte: http://subecumene.wordpress.com/
15.08.2011


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