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Blondet. Il socialismo economico nazista

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PietroGE
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Come Hitler salvò l’economia (qualche idea per oggi)- 1

 Maurizio Blondet  28 gennaio 2016 

L’alluvione di capitali dagli Usa in Germania si era, nel 1933, già prosciugata. La crisi del ’29 a Wall Street, il brutale arretramento dell’economia americana, il tracollo della produzione industriale il gelo del commercio internazionale, segnarono la fine della “prima globalizzazione” finanziaria. Non solo gli Usa a la Gran Bretagna, la potenza missionaria del vangelo liberista, adotta il protezionismo, e impone forti dazi sulle importazioni; nello stesso tempo, rinuncia al ruolo di fornitore internazionale di capitali. Passati i tempi in cui le imprese (e stati) esteri erano incoraggiati a chiedere prestiti sul mercato finanziario di Londra; dal ’31, in forma non ufficiale, si mette in vigore un embargo sulle emissioni titoli esteri in Inghilterra: il ‘mercato finanziario globale’ prima esaltato viene ridefinito ‘fuga di capitali”,osteggiato e punito.

L’Inghilterra si ritira dal mondo. Si ritira, intendiamoci, nel vasto e confortevole mercato asservito del suo impero coloniale: e fra le sue colonie vi sono i maggiori produttori mondiali di oro, il cui potere d’acquisto si rinforza col calo dei prezzi globali. Grande importatore di materie prime (è ancora una potenza industriale) il Regno Unito beneficia del crollo mondiale dei prezzi di queste. Dunque è doppiamente favorito: compra a poco con oro rivalutato. 7

La deflazione fa sì che in Gran Bretagna il costo della via ribassi, fra il 1924 e il ’36, di 16 punti, mentre i salari calano solo di 2 punti: sembra una situazione felice rispetto al resto del mondo, tanto più che il governo di Londra inaugura una politica di credito facile (bisogna pur usare i capitali abbondanti rientrati, che non possono più andare all’estero), che stimola (o simula) una sorta di ripresa, basata sui “consumi interni”. E tuttavia la disoccupazione resta ostinata al disopra del 10% fino al 1939, quando la guerra innescherà il suo truce modello di pieno impiego.

Nella ricca America, il New Deal di Roosevelt non otterrà effetti migliori, a parte di grande successo propagandistico. Un totale e severo dirigismo, grandi opere pubbliche pagate in deficit dallo Stato, aumento dei salari minimi, confisca dell’oro in mani private – non riescono ad aver ragione della crisi. Nel 1936, il potere d’acquisto degli agricoltori americani è quasi il 30 per cento in medo di quello del 1929; la disoccupazione generale, che era del 3% prima del 1929, resta attestata al 19 per cento fino al 1938. Anzi, dall’ottobre del 1937 l’economia Usa ricade in una severissima recessione, ed altri 4,5 milioni di lavoratori finiscono sul marciapiede. “L’economia americana non riesce a riprendersi con le sue sole forze, essa resta dipendente dalla iniezioni costanti di potere d’acquisto alimentato dai deficit di bilancio”, riconosce lo storico francese Jacques Nèré (La Crise de 1929, Parigi 1973, p.163).

In Francia il Fronte Popolare decreta un aumento generale dei salari del 10-15%, accorcia la settimana lavorativa da 48 a 40 ore (“lavorare meno per lavorare tutti” sembrò una buona idea, a sinistra) insomma applica le demagogie socialiste, senza riportare un alito di vita alla profonda stagnazione economica. L’URSS applica fino in fondo, con la nota ferocia ideologica, l’economia di piano, con i noti risultati disastrosi che sappiamo: carestia e GuLag.

Tutti gli esperimenti dirigisti in qualche modo falliscono. Salvo uno.

Quando Hitler sale al potere, la Germania soffre di una crisi industriale paragonabile a quella americana, con disoccupazione alle stelle. Ma a differenza degli Usa, per di più è gravata da debiti esteri schiaccianti: non solo il debito pltiico – il peso delle “riparazioni” ; anche il debito commerciale pauroso. Le sue riserve monetarie sono ridotte a zero o quasi. S’è prosciugato il flusso di capitali esteri ritenuto necessario per la sua rinascita economica. La Germania insomma non ha denaro, ha pesro i suoi mercati d’esportazione, è forzatamente isolata (dalla recessione globale) dai mercati internazionali. Costretta ad una economia a circuito chiuso, nei suoi limitati confini.

Ma proprio da lì comincia a rinascere. Come? Secondo Rauschning, i nazisti “s’erano creati una teoria monetaria che suonava pressappoco così: le banconote si possono moltiplicare e spendere a volontà, purché si mantengano costanti i prezzi”. Hitler era brutalmente esplicito: “Dopo l’eliminazione degli speculatori e degli ebrei, si dispone di una sorta di moto perpetuo economico, il cui meccanismo on si arresta mai. Il solo motore necessario è la fiducia. Basta creare questa fiducia, o con la suggestione o con la forza o entrambe”.

Sono idee assurde secondo la teoria economica: creare inflazione stampando moneta senza far salire i prezzi? E senza ricorrere al razionamento, alle tessere del pane come stava facendo Stalin in quegli anni. Eppure, funzionarono.

A causa del suo grande indebitamento estero, la Germania non può svalutare la sua moneta: le sue merci sarebbero più competitive, ma il peso del debito crescerebbe. Fra le prime misure del Terzo Reich c’è dunque il riequilibro del commercio, perché il deficit non può più essere finanziato come in tempi normali. Di fatto, la libertà di scambio viene sostituita da Hitler da meccanismi inventivi. I creditori della Germania vengono pagati in marchi (moneta di Stato, non bancaria), che però dovevano essere spesi in Germania. Per comprare merci tedesche: di cui l’industria germanica poteva fornire, per così dire, un quasi infinito catalogo: motori e vernici, giocattoli e prodotti chimici, medicinali, strumenti musicali e apparecchi radio, casalinghi… Ben presto questo sistema sviluppò quasi spontaneamente accordi internazionali di scambio per baratto: la Germania non aveva più bisogno di valuta estera (dollari o sterline) per comprare le materie prime di cui mancava, perché propriamente non vendeva né comprava più. Per il grano argentino, dava in cambio i suoi pregiati prodotti industriali; Rockefeller, per vendere i greggio della sua Standard Oil, si dovette contentare di un pagamento in armoniche a bocca ed orologi a cucù. Tanto che dopo la fine della guerra dovette giustificarsi di avere “finanziato Hitler” davanti al Senato. Ma le condizioni di gelo del mercato globale non consentivano ai Rockefeller di fare i difficili: prendere o lasciare.

Per le poche importazioni con esborso di valuta, il Reich impose agli importatori tedeschi un’autorizzazione della Banca centrale all’acquisto di divise. Il tutto fu presto facilitato da accordi con gli esportatori, che disponevano di quelle valute e le mettevano a disposizione. I negozi sui cambi avvenivano dunque, “dopo l’eliminazione degli speculatori e degli ebrei”, senza dover pagare il tributo ai banchieri internazionali – moderni cambiavalute.

Il controllo sui cambi è praticato anche in Urss con atroce durezza – e risultati devastanti. Invece, dovrà riconoscere uno storico, il controllo nazista sul commercio estero “dà alla politica economica tedesca una nuova libertà”. Anzitutto perché il valore interno del marco (il suo potere d’acquisto per i salariati) è stato svincolato dal suo prezzo estero, quello fissato dai mercati valutari angloamericani. Lo Stato tedesco può stampare moneta per i salari senza essere immediatamente “punito” dai mercati mondiali dei cambi, governati da “speculatori ed ebrei”, con una perdita del valore del marco rispetto al dollaro. E il pubblico tedesco non riceve quel segnale di sfiducia mondiale che consiste nella svalutazione del cambio della propria moneta.

Così, Hitler – attentissimo al favore della sua opinione pubblica, e convinto di costruire davvero uno “stato socialis
ta dei lavoratori” – può stampare marchi nella misura che desidera per raggiungere il suo scopo primario: il riassorbimento della tragica disoccupazione. Grandi lavori pubblici, autostrade e solo dopo vari anni il riarmo, forniscono salari a un numero crescente di occupati. I risultati sono, dietro le fredde cifre, spettacolari per ampiezza e rapidità.

Nel gennaio 1933, quando Hitler sale al potere, i disoccupati sono oltre 6 milioni. A gennaio 1934, solo un anno dopo, sono calati a 3,7. A giugno, sono ormai 2,5 milioni. Nel 1936 calano ancora: 1,6 milioni. Nel 1938 sono solo 400 mila, il 2,1 per cento della forza lavoro. Per confronto, si pensi che nell’America del New Deal la disoccupazione era ancora del 13,2 per cento, e saliva al 19,8 un anno dopo. Vero è che il regime rende il lavoro obbligatorio: chi rifiuta l’impiego che gli viene offerto è punito; ma è un “obbligo” che non pesa ad un popolo che ha conosciuto l’umiliazione della disoccupazione di massa.

E non sono le industrie di armamento ad assorbire la manodopera, come sostiene una propaganda dei vincitori. Fra il 1933 e il ’36,è l’edilizia ad assorbirne di più (più 209%), seguita dall’industria automobilistica ( +117%); la metallurgia ne occupa relativamente meno ( + 83%).

Nei fatti, la stampa di moneta viene evitata (o dissimulata) con geniali tecnicismi. Nel sistema bancario occidentale – speculativo – le banche creano denaro dal nulla aprendo dei fidi agli imprenditori; costoro poi successivamente, “servendo” il debito (anzitutto pagando gli interessi alla banca) riempiono quel nulla di vera moneta, ossia ricchezza prodotta, – da cui la banca si trattiene il suo profitto, il tradizionale tributo che il banchiere estrae dal lavoro umano. Ma naturalmente questo metodo genera inflazione in un’economia ce cresce, perché fa’ circolare moneta aggiuntiva; e Hitler deve risparmiare al suo popolo, che ha conosciuto l’iper-inflazione del 1922-23, una replica della tragedia.

Nel sistema hitleriano, è direttamente la Banca Centrale di Stato (Reichsbank) a fornire agli industriali i capitali di cui hanno bisogno. Non lo fa’ aprendo a loro favore dei fidi; lo fa’ autorizzando gli industriali ad emettere della cambiali garantite dallo Stato. Più precisamente sono promesse di pagamento emesse da una ditta metallurgica fittizia, la Metallurgische Forschungsgesellschaft“, da cui il loro nome: “Effetti MeFo”.E’ con queste promesse di pagamento che gli imprenditori pagano i fornitori. In teoria questi possono scontarle presso a Reichsbank e qui sta il rischio: se gli effetti MeFo venissero presentati massicciamente all’incasso, la banca centrale dovrebbe pagarli stampando banconote – e ricadrebbe nella iper-inflazione.

Di fatto, ciò non avviene nel Terzo Reich: anzi, gli imprenditori si servono degli effetti MeFo come mezzo di pagamento fra loro, senza mai portarli all’incasso, risparmiandosi tra l’altro la decurtazione dello sconto-cambiali, non piccolo vantaggio. Insomma gli effetti MeFo divennero una moneta, esclusivamente per uso delle imprese, a circolazione fiduciaria.

Si sono sospettate pressioni dello Stato nazista, magari tramite la Gestapo, per mantenere il corso forzoso di questa cambiale. Ma nessuna coercizione fu esercitata; anzi c’era un premio, gli effetti MeFo fruttavano un interesse del 4% – pagato dallo Stato – il che li rendeva simili a buoni del Tesoro. La fiducia, l’immensa fiducia che il regime “socialista nazionale” riscuoteva, ha fatto il resto. Non si sottovaluti il fatto, apparentemente paradossale, che la dittatura fu vissuta come una liberazione di massa. Lo stato precedente, nobiliare, ingessato, gerarchico, fu spazzato via; l’ascensore sociale su messo in moto, da umili origini si poteva salire a grandi responsabilità nel Partito e fuori; vivaci risorse umane furono scoperte e utilizzate.

Con l’invenzione degli effetti MeFo, si disse che il banchiere centrale, Hjalmar Schacht, aveva “reso invisibile l’inflazione”: i MeFo erano un circolante parallelo che il grande pubblico non vedeva e di cui nemmeno forse aveva conoscenza, e dunque privo di effetti psicologici. Essi contribuirono potentemente ad attivare l’energia, la voglia di lavorare, la capacità attiva de popolo.

Schacht, da finanziere ebreo, conosceva bene la frode fondamentale su cui si basa il credito, e i lucri che consentono l’abuso della fiducia dei risparmiatori e dei produttori reali, che col loro lavoro riempiono di denaro vero i conti di denaro vuoto, contabile, che la banca crea ex nihilo. Per una volta nella storia, un ebreo fece funzionare la frode a vantaggio dello Stato – senza lucro – e del popolo. Non a caso, e senza alcuna intenzione sarcastica, Hitler gratificò Schacht del titolo di “ariano d’onore”
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spadaccinonero
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MB non andrà mai in tv, questo è sicuro

😉

grazie PGE per l'articolo


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PietroGE
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Un articolo molto interessante dal punto di vista storico. Ho i miei dubbi che si possano trarre idee per la situazione economica attuale, visti i cambiamenti epocali che si sono stati nel frattempo. Sembrerebbe un caso unico e irripetibile, a prima vista.


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Kovacs
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Questo articolo, è ripreso da una parte di un suo libre consigliatissimo: Schiavi delle Banche......ovviamente la premessa di questo capitolo era: la domanda più censurata e/o scomoda della storia, come Hitler sistemò i conti tedeschi.....tanto da diventare il male fatto persona........


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illupodeicieli
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Spadaccino @ MB non andrà mai in tv, questo è sicuro

E' andato in tv , per parlare dell'11 settembre: non ricordo se a Matrix e quando questa trasmissione era condotta da Mentana: in ogni caso gli hanno concesso poco spazio e,come purtroppo avviene nei talk show, quasi impossibile argomentare e spiegarsi. I commenti di allora, su luogocomune.net, mettevano in luce che Blondet e altri come lui, sono più adatti per essere letti che ascoltati: in tv perdono perché forse non urlano o aspettano che ,chi si sovrappone alzando la voce, smetta di sbraitare. Peccato.


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Mi pare troppo semplicistica questa versione della storia...


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spadaccinonero
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grazie per la precisazione ILDC

ciao

8)


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mediterraneo
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Hitler commise un errore. Impolitico, e fatale – 2

Hitler: ripresa senza inflazione

Abbiamo detto che Schacht fece funzionare per una volta la frode bancaria (creazione di pseudo-capitale) a vantaggio del lavoro.

Un economista inglese, C.W. Guillebaud, chinatosi sull’enigmatico successo economico hitleriano , ha spiegato la cosa con parole un po’ diverse: “nel Terzo Reich, all’origine, gli ordinativi dello Stato forniscono la domanda di lavoro, nel momento in cui la domanda effettiva è quasi paralizzata e risparmio è inesistente; la Reichsbank fornisce i fondi necessari agli investimenti (con gl effetti MeFo, nd.); l’investimento rimette al lavoro i disoccupati; il lavoro crea redditi, e poi risparmi, grazie ai quali il debito precedentemente creato può essere finanziato (ci si possono pagare gli interessi, ndr.) e in qualche misura rimborsato”. Impagabile quel “in qualche misura”: in realtà, alla banca – e in questo caso alla banca centrale – non importa realmente che il capitale che presta a famiglie ed imprese (o Stati) sia rimborsato: quel capitale è fittizio, per una piccola quota è denaro dei risparmiatori depositanti, ossia per la banca è un passivo (è la banca che deve pagarci gli interessi). Quel che le importa è che i debitori continuino a pagarle gli interessi: sono quello l’attivo della banca. A rigore, la banca preferisce che il debito non venga estinto “mai” (come quello degli Stati); significa riscuotere gli attivi in eterno.

Con il denaro creato dal nulla a beneficio del popolo, anziché degli speculatori, la Germania – mentre il mondo gela nella recessione profondissima degli anni 30 – prospera. La massa dei salari, che nel ’32 ammontava a 32 miliardi di marchi, nel 1937 è salita a 48,5: più del monte-salari del boom precedente al ’29, che era di 424 miliardi.

E qui gli economisti dogmatici del monetarismo e liberismo aspettano al varco l’esperimento hitleriano: quell’abbondanza di potere d’acquisto nelle tasche dei lavoratori provocherà una crescita esponenziale dei consumi, e dunque scatenerà l’inflazione; non ci sarà la formazione dei risparmi indicata da Guillebaud . L’inflazione sembra più certa in quanto nella Germania hitleriana, tra i 32 e il 37, la produzione di beni di consumo aumenta di poco (+39%) in confronto all’enorme aumento dei bendi di produzione, macchinari, strade, fabbriche (+172%). Dunque il potere d’acquisto aggiuntivo si getterà a contendersi l’acquisto dei ben relativamente scarsi.

Ebbene: in Germania, l’inevitabile inflazione non si verifica. L’indice del costo della vita che è pari a 120,6 nel 1932, nel 1937 è salito a 125,1: in cinque anni l’inflazione sale poco più di 4 punti. Come è possibile?

Alla ricerca del trucco, gli economisti ortodossi hanno indagato sul prelievo fiscale. Certamente lo Stato nazi avrà sottratto agli operai una parte notevole del loro nuovo potere d’acquisto con gravosi tributi. In realtà, nel 13, il prelievo dello stato sul reddito nazionale è del 27,6%, poco superiore a quello del 1933, quando Hitler sale al potere: 26%. Un prelievo così mite non s’è mai più visto né prima né dopo negli Stati più liberali, liberisti e libertari. E’ che in quegli anni il risparmio di fatto si quintuplica, incoraggiato dallo Stato ma non imposto per coercizione.

I teorici devono ricorrere a poco scientifiche spiegazioni psicologiche, la “naturale frugalità” tedesca, la “innata disciplina”. Ciò evita di usare un altro termine: l’entusiasmo del popolo mobilitato per la propria rinascita, liberato dal giogo dei lucri bancari, che collabora energicamente agli scopi posti dai suoi dirigenti.

Lo stesso Schacht non credeva del tutto nel sistema che aveva messo in moto col suo trucco. Devoto allievo della dottrina classica, previde che il “miracolo” si sarebbe sgonfiato quando fosse raggiunto il pieno impiego e lo “sfruttamento totale delle risorse”; a quel punto gli investimenti e le spese pubbliche devono rallentare, perché da quel momento genera pura inflazione. Così detta la teoria classica: il serbatoio d manodopera è inelastico, e ogni nuovo investimento compete offrendo salari più alti a una manodopera seme più scarsa.

E’ in base a questo dogma – notiamolo qui – che il liberismo supercapitalista impone la globalizzazione: per attingere ai serbatoi di lavoro inutilizzato a basso costo nei paesi sottosviluppati. Dal ’36, inoltre, le materie prime sui mercati mondiali cominciano a rincarare, rendendo più difficile il gioco economico hitleriano. E’ proprio in quel momento che Schacht propone di dedicare somme maggiori alle importazioni: e ciò, soprattutto, per “migliorare i nostri rapporti con l’estero”. Insomma: indebitiamoci un po’ per non far arrabbiare gli usurai. Al processo di Norimberga, dirà di aver voluto in realtà sottrarre risorse al riarmo: assolto. Del resto avrebbe fatto un brutto vedere un banchiere ebreo impiccato coi nazisti.

Invece Hitler mette da parte Schacht e incarica Goering (ancor giovane e attivo) di lanciare un grande piano di “sostituzione delle materie prime”: ciò che non si vuole importare a caro prezzo, va’ sostituito da surrogati fatti in casa. Viene così lanciata la geniale impresa di ricerca e sviluppo che porterà ai processi di sintesi, a partire dal carbone tedesco, di gomme e benzine sintetiche; brevetti che l’America, una volta disfatto il Reich, si affretterà a sequestrare: non per usarli, ma per distruggerli e farne cessare la conoscenza.

Di fatto, in quegli anni la Germania funziona ancor più di prima in autarchia, in “vaso chiuso”. Come l’URSS staliniana, riduce ulteriormente le importazioni; e siccome nell’URSS l’autarchia è raggiunta al prezzo di carestie e repressioni atroci e concentrazionarie, i contemporanei suppongono che sotto il socialismo nazionale i tedeschi siano soggetti a privazioni, se non da schiavi di lager da monaci guerrieri: austerità, consumi ridotti.

Invece i consumi sono lievemente aumentati.

Consumi pro capite in Germania 1932 1937

Farina (Kg) 44, 6 55,4

Carne 42,1 45,9

Lardo 8,5 8,1

Margarina 7,8 5,4

Pesce 8,5 12,2

Patate 191,0 174,0

Zucchero 20,0 24,0

Caffè 1,6 2,1

Birra (litri) 51,4 62,9

La tabella rivela la stupefacente realtà: la qualità dell’alimentazione tedesca migliora, sotto il Terzo Reich. Cala il consumo delle patate (cibo tedesco della povertà), della margarina, del lardo; ma aumenta quello del pesce, della carne, del caffè importato. L’autarchia, in Germania, “funziona”.

Gli studiosi del miracolo tedesco si consolano, a posteriori, con l’idea che una simile economia a ciclo chiuso non poteva espandersi all’infinito. Che, se durò più del previsto, fu perché la Germania, con le conquiste territoriali del 1939-40, ebbe acceso a nuove fonti di lavoro e materie prime. Forse è così.

Ma bisogna pur riconoscere che l’economia tedesca fu messa a regime di “Mobilitazione Totale” solo dal 1943; solo allora l
a Germania spinse a fondo l’acceleratore. Albert Speer, il genio della produzione bellica, racconta che nel ’43, sotto gli incessanti bombardamenti apocalittici, la Germania fu ancora in grado di raddoppiare la produzione di locomotive rispetto all’anno prima, mettendone sui binari 5.234 . Fra il ’41 e il ’44 triplicò la produzione di munizioni, quella dei ricambi per carri armati fu quintuplicata, pur con un risparmio del 79% della manodopera e del ‘93% dell’acciaio impiegato rispetto al 1941, grazie ad una razionalizzazione scientifica dei processi produttivi. E la mobilitazione della manodopera fu sempre lontana dalla militarizzazione totale adottata ne Regno Unito, dove “tutte le forze del lavoro erano inquadrate in battaglioni, che venivano dislocati dove ce n’era bisogno. Tutta la popolazione civile, comprese le donne, era una gigantesca armata mobile”. In Inghilterra, nel ’44, il 61 per cento delle donne era impiegato nello sforzo bellico; in Germania, solo il 45%. Quanto alla produzione di beni di consumo: fatta 100 la produzione del 1939, in Gran Bretagna era scesa a 79 nel ’42, in Germania era scesa a 88. Ancora a metà della guerra mondiale, il tenore di vita dei tedeschi restava più alto di quello dei suoi nemici.
L’errore di Hitler

A questo punto è inevitabile porsi la domanda: è possibile che non solo la guerra annichilatrice scatenata dalle potenze angloamericane sulla Germania, ma la posteriore satanizzazione del Terzo Reich, abbia avuto come motivo reale il seppellimento nella damnatio memoriae i suoi successi economici? E’ la domanda proibita della storia recente. Non la porremmo se non l’avesse adombrata un avversario militare del Terzo Reich: il generale britannico J.F.C. Fuller.

Scomparso nel 1966, Fuller è considerato il Clausewitz britannico, è noto come il più brillante innovatore della guerra corazzata. Ha combattuto i tedeschi nella prima e nella seconda guerra mondiale. Avversario, ma leale. Nella sua opera principale, Storia militare del mondo occidentale, scrive:

“La prosperità della finanza internazionale dipende dall’emissione di prestiti ad interesse a nazioni in difficoltà economica. L’economia di Hitler significava la sua rovina. Se gli fosse stato permesso di completarla con successo, altre nazioni avrebbero certo seguito il suo esempio, e sarebbe venuto il momento in cui tutti gli Stati senza riserve auree si sarebbero scambiati beni contro beni (…) prestatori finanziari avrebbero dovuto chiudere bottega.

“Questa pistola finanziaria era puntata alla tempia, in modo particolare, degli Stati Uniti, i quali detenevano il grosso delle riserve auree mondiali, e perché loro sistema di produzione di massa esigeva l’esportazione del 10% circa dei loro prodotti per evitare la disoccupazione”. Fuller ricorda anche che “sei mesi dopo che Hitler divenne cancelliere, Samuel Untermeyer,un ricco procuratore di New York, proclamò una ‘guerra santa’ contro il nazionalsocialismo e ordinò il boicottaggio sui beni, trasporti e servizi tedeschi”. Fuller allude qui ad un evento preciso, che ebbe luogo al Madison Square Garden il 6 settembre 1933: qui la comunità giudaica americana celebrò il vero e proprio rito di morte e maledizione dello “cherem”, o scomunica maggiore. “Furono accesi due ceri neri e si soffiò tre volte nello shofar [il corno d’ariete] mentre il rabbino B.A. Mendelson pronunciava la formula: a partire da oggi,ci asterremo da qualunque commercio di materie prime provenienti dalla Germania…la validità di tale decisione durerà fino alla fine di Hitler; allora il cherem avrà la nostra benedizione (Jewish Daily Bulletin, New York, 6 gennaio 1935). Samuel Untermeyer, rampollo di una famiglia bancaria d’affari ed alto esponente del B’nai B’rith, ripeterà questa cerimonia il 5 gennaio 1935, “a nome di tutti gli ebrei, massoni e cristiani”.

Qui si intravvede, spero, quale fu l’errore capitale, l’errore imperdonabile di Hitler, quello per cui alla fine perse la guerra: fu quello di non aver proposto alle nazioni che conquistava il suo sistema economico tedesco, come proposta di liberazione e nuovo ordine mondiale. Come la Merkel oggi, come (temo) sempre l’impoliticità tedesca, è un miscuglio di provincialismo e incapacità di universalismo; si occupa del bene dei soli tedeschi, senza presentarsi come un modello di civiltà mondiale, nel timore taccagno di perderci. Si presentò come”nemico” del mondo lui stesso, per esempio evitando di fare dell’Ucraina un alleato ( uno stato cuscinetto-modello), ciò che gli avrebbe aperto la via della Russia fino a Vladivostok senza bisogno d guerreggiare. Ancor peggio si comportò con la Polonia.

Gli Stati Uniti, o meglio il Council on Foreign Relations (il pensatoio dei Rockefeller), nel 1941, aveva chiari gli scopi per cui entrava nel conflitto: scopi che lo stesso CFR – meglio, il War and Peace Studies Project che fu costituito al suo interno – indicava come “imperialismo”. L’autosufficienza del blocco tedesco chiudeva gli sbocchi alle sue multinazionali di un’intera Europa, e l’economia americana aveva bisogno di “grandi spazi per vivere”.

Però nell’accurata preparazione bellica che fece per il presidente USA, il War and Peace Studies Project dei Rockefeller mise a punto anche il messaggio politico-propagandistico da adottare.

“Se gli scopi della guerra vengono enunciati in modo da apparire preoccupati dal solo imperialismo anglo-americano, avranno poco da offrire alla gente del resto del mondo, e sarà vulnerabile alle contro-promesse naziste” (Memorandum E-B32, 17 aprile 1941, CFR, War and Peace Studies). Il governo doveva dunque “evitare le forme convenzionali di imperialismo” (sic), e proporre ai popoli che avrebbe conquistato tutto l’apparato propagandistico che conosciamo: l’America vi porta la libertà, identificata col mercato. L’America è l’arsenale della democrazia; quando vi impone il suo sistema finanziario, vi porta la pace e l’abbondanza del Nuovo Ordine Mondiale; vi regala il Piano Marshall per la vostra ricostruzione, fonda l’ONU dove ogni piccolo stato avrà voce in capitolo: naturalmente, le sue finanze saranno sotto la benevola sorveglianza del Fondo Monetario. Gli Usa come potenza altruista e generosa, è ancor oggi la convinzione delle masse in Europa, e fu un illusione perfino nella Russia di Eltsin, che si lasciò saccheggiare dai consulenti della scuola di Chicago. E’ il risultato di un grande successo politico che dura tutt’ora.
Come fu risolta la crisi demografica

Dopo la comparsa della prima puntata, un lettore tedesco (che ringrazio) mi ha scritto:

Interessante il suo articolo su come Hitler ha combattuto la deflazione. Concordo con Lei che la deflazione è uno dei seri problemi attuali

Secondo me questo problema è dovuto alla mancanza di figli. Visto che aveva affrontato la soluzione del Terzo Reich, mi sono informato come allora fu affrontato il problema della denatalità. Tantissimi negli anni 30 avevano pochi figli a causa della povertà. Pare che la soluzione di allora consisté nella concessione di un mutuo, pari all’ammontare di uno stipendio lordo medio di un lavoratore o impiegato, che veniva estinto con il quarto figlio. Quindi molte coppie avevano assunto il rischio economico di fare figli finanziandosi con uno stipendio e con la mancata restituzione del mutuo. Contestualmente aumentava la domanda dei beni interni.

Non credo proprio che le coppie volevano figli per motivi razziali ma per la semplice possibilità del finanziamento. Ci ha riflettuto su questa politica e come un simile concetto avrebbe un posto nella società attuale? Ammetto che, avendo due figlie, sarei grato se ci fosse un tale aiuto. So che alcuni amici non si possono permettere figli per motivi economici.

Cordialmente, E. R.

Sì, qui si dovrebbe aprire un altro capitolo sulle politiche familiari del Reich. Il
lettore parla del prestito matrimoniale, mille marchi (il salario medio del lavoratore industriale era di 140 marchi al mese), ma non in moneta, bensì in “buoni” da spendere in beni per la casa, mobili ed elettrodomestici tedeschi, quindi dando un impulso alla manifattura nazionale di tali beni; in cambio, la moglie doveva ritirarsi dal lavoro, perché si riteneva che il posto della donna fosse la casa. Ma questo fu solo una parte di un intero, eccezionale programma di stato sociale dalla culla alla tomba; assegni familiari (in imitazione di quanto aveva già fatto Mussolini), assicurazione previdenziale obbligatoria (estesa in seguito anche agli artigiani), sicurezza delle famiglie agricole contro il sequestro de terreni per debiti e sostegno dei prezzi agricoli; alle famiglie numerose venivano offerte vacanze attraverso l’ente Kraft durch Freude, anche questo imitato dal Dopolavoro italiano, ma ovviamente con molti più mezzi. Fatto curioso, nel giorno della nascita della mamma del Fuehrer, le donne con 8 figli venivano premiate con medaglia d’oro, con 6 d’argento.

Funzionò? Sul piano della natalità, si può dire di sì. Nel 1900 v’erano state 35,8 nascite per mille abitanti; nel 1933, dopo i milioni di giovani morti della grande guerra, la miseria dell’iper-inflazione e poi della deflazione, un popolo esausto e senza fede nel futuro ebbe solo 14,7 nascite per mille. Nel ’34, i benefici l’avevano fatto salire a 18, nel 1939 a 20,4. Non ebbe successo invece la formazione di famiglie solide con “Mutti” regina della casa; anzi il numero di divorzi aumentò durante il Reich (e aumentarono le malattie veneree), per lo stile di vita instaurato dal regime, consistente in raduni, campi, “armate del lavoro” e festive attività di massa, cui le donne parteciparono con entusiasmo e con uscite di casa molto frequenti (e con l’effetto di una certa promiscuità).

La copertura sociale nazista era tale, che uno storico tedesco d’origine turca, Goez Aly, nel suo saggio Hitler’s Beneficiaries: Plunder, Racial War, and the Nazi Welfare State, New York: Metropolitan Books, sostiene che il regime non ha convinto con ideologia il popolo germanico, ma lo ha “comprato” e “corrotto” con i generosi benefici dello stato sociale. Certo è un tipo di “corruzione” a cui il capitalismo finanziario anglo-americano e globale sdegnosamente si rifiuta, visto che si applica allo smantellamento dello stato sociale dovunque si afferma (è bello vedere come gli inglesi si mettano sempre dalla parte giusta della moralità).

In realtà, iniziata la guerra, un celebre sociologo britannico, sir William Beveridge (1879-1963), esortò il governo britannico ad abbandonare il liberismo tradizionale ed invece imitare lo stato sociale fascista; i fascismi si sono affermati proprio sul terreno dell’integrazione delle masse, diceva, e sull’intervento dettagliato dello Stato a favore dei lavoratori e proletari; questo era anche un elemento che faceva pendere il favore delle popolazioni verso il fascismo non solo nel mondo, ma nello stesso Regno Unito, perché promuoveva “libertà ed eguaglianza” (ma guarda!). Le indicazioni del Rapporto Beveridge furono la base della creazione dello stato sociale britannico, che fu introdotto solo nel 1942. Adesso il potere finanziario ritiene che non gli servano più gli esseri umani, anzi che bisogna ridurli alquanto…

Oggi, dopo quasi un secolo di demonizzazione e svalutazione, è difficile valutare il senso d’innovazione e di modernità che portarono nelle mentalità collettive: era un “socialismo di successo” (bastava fare il confronto con lo stalinismo). Fu un vero choc culturale. Tanto che in Italia la rivista Problemi del Lavoro, fatta da socialisti e liberali, dopo la vittoria del Duce, accettò consapevolmente la fine del “pluralismo liberale, incapace di risolvere le questioni della modernità” per sostenere le riforme sociali del regime a vantaggio dei ceti popolari.

http://www.maurizioblondet.it/hitler-commise-un-errore-impoltiico-e-fatale-2/


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mincuo
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Mancano le cose principali.
Non è "la moneta" da sola che fa qualcosa. A parte fare inflazione.
In Germania ci fu un piano industriale sontuoso. Un piano per l'agricoltura altrettanto. Per l'ambiente altrettanto. E per le famiglie pure.
In più ci fu una solidarietà straordinaria.
Già in buona parte progettati prima della nomina di Hitler, ma che necessitavano di un Governo stabile, di unità (c'erano decine di Governi locali e la Prussia da sola, per dire, aveva un ruolo enorme e pressochè autonomo) e di una volontà e fiducia popolari.

Infine e contrariamente a quel che si crede, la Germania è l'esempio della più grande privatizzazione mai vista sino allora.
Il che liberò molte risorse per lo Stato.
La Repubblica di Weimar era stato costretta a nazionalizzare molto, rilevando settori semi falliti. Ma il Nazionalsocialismo andò oltre il riequilibrio. Privatizzò moltissimo. http://www.ub.edu/graap/nazi.pdf
E però sulle privatizzazioni manteneva il suo scopo di indirizzo, rispetto delle leggi e controllo.
Il fatto è che privatizzare non era come privatizzare oggi.
Nè come nazionalizzare oggi.
Che sono divenuti due furti fatti in modo diverso.
Perchè manca lo Stato, coi suoi 2 compiti principali.

P.S. per l'export non era il semplice "barter" cioè baratto. Era una cosa sofisticata che non fanno studiare nemmeno oggi e i cui documenti, regolamenti e procedure tecniche anche per uno specialista in cambi e appassionato collezionista sono molto difficili o quasi impossibili da ottenere.
Saltavano il sistema internazionale di mediazione bancaria e sui cambi in sostanza. E quella si tramutava in minori costi per le controparti.
E agevolava, e di molto, i piccoli Paesi, e i meno ricchi.
Che non avevano più la schiavitù obbligata della valuta e dell'oro.
Man mano cominciarono ad aderire vari Paesi. Prima in Est Europa, poi anche altrove. Quando i Tedeschi si affacciarono in Sudamerica con i primi accordi sul petrolio, che analogamente escludevano le big banks internazionali, fu il segnale "rosso", per il sistema finanziario.
Non si poteva e non si doveva permettere che prendesse piede una cosa simile.
Questa fu poi una delle cause reali della guerra.

E da allora di sistemi bilaterali e multilaterali per diminuire o annullare in parte o in toto intermediazione o ridurla in molte fattispecie non se ne è più parlato. E non ho MAI visto NULLA di tecnico. Pubblicato. MAI.
Un conto sono le belle parole e un altro conto è l'argenteria di famiglia....


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Georgejefferson
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Bello, (specie "lo stato deve" e la banalita che la carta da sola non ha le ruote).

Dopo queste propaganda 1.

Vediamo anche la propagande 2, e le 3 e le 4 ecc...che come tutte le propagande, sono anche interessanti.


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mincuo
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Si può sempre rimediare con qualche filosofo di Pontevico con la quinta elementare e, se non bastasse, con l'intelligenza di un criceto e l'etica di un verme.


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mincuo
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Sempre contrariamente a quanto si crede, nel dopoguerra, e salvo la Germania che fu assoggettata a un regime di impoverimento (eufemismo), e salvo parzialmente l'Italia (per altre ragioni), le altre economie Europee ripresero subito e tornarono velocemente verso i livelli di prima della guerra.
Non economicamente quindi, ma finanziariamente avevano i problemi, dato il sistema.
Il piano Marshall ebbe sì significato anche economico ma più per gli USA che poterono atterrare dolcemente da un'economia drogata di guerra (in cui producevano anche per UK, Russia, Cina, Francia ecc...e finanziavano col lend-lease) a una di pace.
Finanziariamente obbligarono in pratica agli acquisti USA senza i quali niente dollari di finanziamenti all'export/import.
E fu allora che si stabilirono poi anche gli accordi (mai scritti) per le cosiddette "fasce" A B C riguardo a tecnologia, settori strategici, ricerca ecc...a seconda dei Paesi. Noi Italiani in fascia B, ad esempio.
Fu una colonizzazione in pratica, detto un po' alla grezza.
Finanziaria, invece che militare.


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Black_Jack
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@Mincuo

È molto interessante questa cosa delle fasce A B C D.
Hai dei libri o dei link, please?


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mincuo
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No. Si trova in qualche archivio dei cenni. Al NARA ad esempio.
Non è una cosa così "netta" sai. Nè santificata da leggi o decreti o regolamenti. E' informale. Nella sostanza ai Paesi in fascia A (Inghilterra, Francia ad esempio) era consentita autonomia e sviluppo autonomo nella ricerca di punta e quella anche militare. Quelli di fascia B invece solo tecnologia militare (di punta) USA di cui essere dei consumatori, ma non una propria.
E per ricerca e sviluppo, analogamente non era consentito nei settori di punta in cui poteva esserci conflitto, sviluppare autonomamente.
(Nei PC e informatica poi si vide con Olivetti, per fare un esempio).
Invece era consentita in fascia B ricerca e sviluppo nei settori non di punta. Hai avuto frigo Italiani, lavatrici Italiane, auto Italiane, meccanica Italiana ecc...
In fascia C invece anche i beni di consumo, la tecnologia media ecc. era stabilito in linea di massima che fosse di importazione, creando quindi una domanda forzosa e scoraggiando lo sviluppo autonomo di quei Paesi, anche sovvenzionandoli, finanziandoli....
Ma non è che ci fosse una lista precisa o dei regolamenti scritti....
Piuttosto una politica orientata in un certo modo.
Anche in B. Eichengreen se ricordo bene trovi qualcosa.
Ma non sono cose molto pubblicizzate. Per nulla.


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Georgejefferson
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Si può sempre rimediare con qualche filosofo di Pontevico con la quinta elementare e, se non bastasse, con l'intelligenza di un criceto e l'etica di un verme.

A parte le offese ad hominem, che fanno argomentum, tipico delle lauree intelligenti e leonide...(sarà per l'acqua calda della stampa non salva il mondo da sè, oppure per l'ideologia della "razza" ? Boh..)

i propagandisti volontari si offendono sempre quando gli si tocca il dogma ideologico da diffondere. Ma c'e' quella storia che l'esempio avrebbe rovinato la festa ai cattivi che non mi quadra, vediamo con le propagande a confronto.


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