di Ivano Sartori
Joseph Ratzinger è un teologo attaccabrighe. Quando formula un pensiero che ha ruminato a lungo, vi si aggrappa e s’impanca infallibile neanche fosse il papa. Per difendere ostinatamente le proprie idee è disposto a far fuori quelle degli altri. Gli altri no, perché nel frattempo è stato proibito quasi ovunque (solo in certi Paesi islamici è ancora consentito essere torturati e ammazzati per blasfemia).
Un chiodo fisso che Ratzinger ha cominciato a martellare fin dagli inizi del suo mandato è l’insofferenza per il relativismo. Non sopporta che qualcuno dubiti che lui ha sempre ragione. Se non sbotta «io so’ io, e voi nun siete un cazzo!» è solo perché non è il marchese Onofrio del Grillo né Giuseppe Gioacchino Belli quando scrive Li soprani der monno vecchio e perché non parla il romanesco così bene come il suo predecessore polacco. Ratzinger è alquanto distante da Jean Renoir che, scuotendo la testa, riconosceva: «Il tragico della vita è che tutti hanno le loro ragioni».
Sì, gli umani si dividono in due grandi categorie. Quelli che alzano il dito indice verso l’alto per proibire e indicare la direzione di marcia dell’uomo ubbidiente che non cerca grane e quelli che allargano le braccia nel gesto di chi si confessa disarmato e accoglie i propri simili nel grande abbraccio dello scetticismo.
E proprio ieri, giorno della Befana (ma crediamo che la ricorrenza sia del tutto casuale), l’ex cardinale Ratzinger ci regala una delle sue fisime che non lasciano scampo, confermando che gli eserciti degli assolutisti e dei relativisti continuano a combattersi accampati sulle opposte sponde del fiume della vita la cui corrente implacabile si porta via sogni ed energie.
Da una parte il teologo tedesco, l’uomo che crede d’essere papa, dall’altra l’astrofisica Margherita Hack. La palla al centro è il globo terracqueo attorno al quale i due bisticciano su chi abbia dato il calcio d’avvio: Dio o il Caso? Il solito problema sull’origine dell’universo. C’era una volta. Ma chi o che cosa?
«L’Universo non è il risultato del caso, come alcuni vogliono farci credere», ha detto Ratzinger nell’omelia durante la messa dell’Epifania, «contemplandolo siamo invitati a leggervi qualcosa di profondo: la sapienza del Creatore, l’inesauribile fantasia di Dio, il suo infinito amore per noi». E riferendosi alla stella cometa su cui ha congetturato l’astronomo Keplero, tira questa stoccata agli scienziati: «Dio non si trova con un telescopio».
Non potendogli rispondere Galilei, a suo tempo processato e zittito dalla Chiesa, che solo di recente lo ha riabilitato, è intervenuta Margherita Hack. Dopo aver ricordato che le interpretazioni circa l’origine dell’Universo portano «inevitabilmente a posizioni inconciliabili», l’astrofisica ci tiene a precisare che gli scienziati cercano solo di capire come il medesimo possa essersi originato a partire da particelle elementari. «Naturalmente si tratta di punti di vista diversi: quello del Papa è basato sulla fede, quello degli scienziati è fondato sull’osservazione».
Oltre che nel metodo, la differenza è anche nel fine ultimo: «Gli scienziati non pretendono di rispondere alla domanda su che senso abbia l’Universo, ma lo accettano così com’è e cercano di capirlo e studiarlo». Tra gli scienziati credenti che cercano di mettere d’accordo la Genesi biblica con le loro scoperte scientifiche e gli studiosi che non accettano simile impostazione le distanze restano siderali.
Tali da continuare a fare discutere. Magari partendo da presupposti un po’ meno intolleranti di quelli del sedicente papa. Ma per accostarci a questi altri cenacoli scientifico-filosofici dobbiamo fare lo sforzo di scavalcare le Alpi o passare la frontiera a Mentone per entrare nella Francia dei Lumi.
Proprio in questi giorni il settimanale Le Nouvel Observateur ha mandato in edicola uno speciale sulle varie teorie su chi sia stato a creare il mondo. Chi legge il francese vi troverà spiegazioni che vanno dal bizzarro all’affascinante. Alcune tramontate, alcune ancora in auge.
Nel mondo degli antichi Greci, la Teogonia d’Esiodo faceva scaturire il tutto da una sorte di menage a trois ai cui spigoli c’erano il Caos, Eros e Gaia, cioè l’Abisso, l’Amore e la Terra. Tralasciamo i particolari. Diciamo che il tutto sarebbe avvenuto piuttosto casualmente e meccanicamente. Il primo a introdurre l’idea di un artefice che lavora su questi materiali precostituiti è Platone. Chi ha studiato filosofia sa quanto a lungo sia durato l’influsso del suo pensiero insinuandosi anche negli interstizi della Chiesa.
Gli indù introducono l’idea del sacrificio. Perché qualcosa esista, cioè sorga dal nulla, gli dei compiono un grande rito iniziale nel corso del quale la materia prima, anteriore all’apparizione del cosmo, è rappresentata come una vittima fatta a pezzi durante l’atto creatore. Dal suo corpo sorgono prima di tutto le parole sacre del Veda, il testo fondatore dell’induismo, poi gli animali, le classi sociali, la luna e il sole, il cielo e la terra, i punti cardinali.
Lo speciale del Nouvel Observateur prosegue illustrando i miti originari e le cosmogonie dei giapponesi e dei dogon del Mali, degli aztechi e degli aborigeni australiani per i quali il cielo, il mare e la terra sono un libro pieno di segni.
La rivista francese si dedica poi a lungo agli incessanti conflitti insorti e tuttora aperti tra la filosofia, le scienze dell’Universo e le religioni, dal «caso» Galileo allo «scandalo» Darwin. Prima di concludere con un capitolo riguardante «i nuovi misteri dell’universo», dalla Big Bang Story alle «fonti della vita».
Da questa galoppata che parte dal mito per addentrarsi nei meandri dell’inesplorato con le macchine della scienza, ma spinte dai carburanti delle domande che si posero i nostri progenitori due o tremila anni fa, risulta che molto si è scoperto ma ancora di più resta da scoprire e forse non si scoprirà mai.
Dalla lettura dello speciale fascicolo transalpino si evince una piccola verità per me enorme. Contrariamente a quel che si pensa e che ci è stato insegnato, il problema delle origini dell’universo non è una preoccupazione universale. Circolano delle storie. Chi ci crede, chi no.
Però, a Roma, un uomo solo conosce la Verità e la vuole imporre agli altri. Parla tedesco. Si crede il Papa. Pensa te.
(7 gennaio 2011)
http://temi.repubblica.it/micromega-online/dio-ci-scampi-da-coloro-che-si-credono-il-papa/
Al Cern, dove parlano di una certa "particella di Dio" (immagino che la signora Hack sarà rabbrividita al suono di tale espressione) tra gli altri vi lavora una suora (Pajchel) ricercatrice in fisica.
Ho studiato la vita e le opere di un certo Pavel Florenskij, definito "il Leonardo Da Vinci russo" di formazione positivista (per studi e ambiente familiare; approdò da solo alla fede ortodossa) che aveva una conoscienza vastissima della matematica e della fisica, oltre che in altri campi del sapere. Il suo è uno splendido esempio di come l'approccio scientifico non escluda a priori (non sarebbe più scientifico infatti) la consapevolezza della verità assoluta. E viceversa.
Che va sempre e comunque ricercata perchè, come già ho avuto modo di esprimermi altrove qui nel forum, se non è suffragata dall'esperienza, non significa proprio niente. Diventa un vuoto vaneggiamento.
Concordo con chi sostiene che certi scienziati affermano la non esistenza di Dio perchè non l'hanno visto col telescopio o altro strumento: a cercarlo nel modo in cui pretendono loro, non so se sia possibile trovarlo.
Io non credo perchè ho visto "un fascio di luce o ho sentito una voce", ma perchè ho incontrato persone reali e ho vissuto e vivo nella realtà; perchè la fede non è incompatibile con la vita quotidiana a meno che non si scada nel sentimentalismo secondo cui Dio c'è solo se io non soffro.
E non mi pare neppure che Ratzinger punti il fucile contro o minacci con maledizioni atroci tipo fattucchiera ,chi non la pensa come lui.
E soprattutto non vedo le ragioni ( a parte una certa aria di sufficienza e di superiorità ostentata) per denigrare quell'atteggiamento scientifico degli uomini di fede che valutano una scoperta alla luce di questa.
Congetture e confutazioni è il modo di procedere scientificamente ,se non sbaglio. Per tutti, uomini di fede e non.
Ho studiato la vita e le opere di un certo Pavel Florenskij, definito "il Leonardo Da Vinci russo" di formazione positivista (per studi e ambiente familiare; approdò da solo alla fede ortodossa) che aveva una conoscienza vastissima della matematica e della fisica, oltre che in altri campi del sapere. Il suo è uno splendido esempio di come l'approccio scientifico non escluda a priori (non sarebbe più scientifico infatti) la consapevolezza della verità assoluta.
La ricerca della verità assoluta...non è dimostrazione che questa esista...al massimo è un atteggiamento mentale che può essere fideistico...l'assoluto poi nella scienza è più che altro un concetto scientista e non scientifico...
Ho studiato la vita e le opere di un certo Pavel Florenskij, definito "il Leonardo Da Vinci russo" di formazione positivista (per studi e ambiente familiare; approdò da solo alla fede ortodossa) che aveva una conoscienza vastissima della matematica e della fisica, oltre che in altri campi del sapere. Il suo è uno splendido esempio di come l'approccio scientifico non escluda a priori (non sarebbe più scientifico infatti) la consapevolezza della verità assoluta.
La ricerca della verità assoluta...non è dimostrazione che questa esista...al massimo è un atteggiamento mentale che può essere fideistico...l'assoluto poi nella scienza è più che altro un concetto scientista e non scientifico...
Parto da un esempio banalissimo: 2+2=4
E' così per chiunque? e non è forse vero in senso assoluto?
per tutti due più due fa quattro, oppure no?
Mi permetto di citare K.Popper in le fonti dell'ignoranza e della conoscenza ,che critica ,se non sbaglio assieme a Russell, il "relativismo epistemologico " ( e quindi abbiamo già un'altra persona ,rispetto ad un religioso, che parla di ,e critica il, c.d relativismo):
Il relativismo epistemologico, cioè l'idea che non esista niente di simile alla verità obiettiva, e il pragmatismo epistemologico, cioè che la verità è lo stesso che l'utilità, sono strettamente connesse con "idee autoritarie e totalitarie".
Cioè, ed è questa la cosa che mi sconvolge, non l'affermazione di una verità assoluta, ma la frammentazione della verità,cioè mettere sullo stesso piano vero e falso, conduce ad un pensiero autoritario (perchè è questo il rischio , si potrebbe dire veramente ,il risultato concreto del non partire dalla possibilità di conoscere una verità assoluta).
Esprimo il mio pensiero con un'immagine altrettanto banale ,se non di più ,dell'esempio del 2+2:
Se nascondo la polvere sotto il tappeto e una persona entra in casa mia, non la vedrà. E se non la vede, esiste lo stesso la polvere sotto il tappeto, oppure no?
Quindi prima ancora di parlare di esistenza o inesistenza della verità assoluta, forse dovrebbe parlarsi di ciò in tali termini: è possibile conoscere la verità assoluta oppure no?
Se la scienza è un continuo cercare, non ha senso dire che è impossibie che una cosa esista. Dovrebbe più umilmente dirsi che ancora non è stata conosciuta.
Ho studiato la vita e le opere di un certo Pavel Florenskij, definito "il Leonardo Da Vinci russo" di formazione positivista (per studi e ambiente familiare; approdò da solo alla fede ortodossa) che aveva una conoscienza vastissima della matematica e della fisica, oltre che in altri campi del sapere. Il suo è uno splendido esempio di come l'approccio scientifico non escluda a priori (non sarebbe più scientifico infatti) la consapevolezza della verità assoluta.
La ricerca della verità assoluta...non è dimostrazione che questa esista...al massimo è un atteggiamento mentale che può essere fideistico...l'assoluto poi nella scienza è più che altro un concetto scientista e non scientifico...
Parto da un esempio banalissimo: 2+2=4
E' così per chiunque? e non è forse vero in senso assoluto?
per tutti due più due fa quattro, oppure no?
Mi permetto di citare K.Popper in le fonti dell'ignoranza e della conoscenza ,che critica ,se non sbaglio assieme a Russell, il "relativismo epistemologico " ( e quindi abbiamo già un'altra persona ,rispetto ad un religioso, che parla di ,e critica il, c.d relativismo):
Il relativismo epistemologico, cioè l'idea che non esista niente di simile alla verità obiettiva, e il pragmatismo epistemologico, cioè che la verità è lo stesso che l'utilità, sono strettamente connesse con "idee autoritarie e totalitarie".
Cioè, ed è questa la cosa che mi sconvolge, non l'affermazione di una verità assoluta, ma la frammentazione della verità,cioè mettere sullo stesso piano vero e falso, conduce ad un pensiero autoritario (perchè è questo il rischio , si potrebbe dire veramente ,il risultato concreto del non partire dalla possibilità di conoscere una verità assoluta).
Esprimo il mio pensiero con un'immagine altrettanto banale ,se non di più ,dell'esempio del 2+2:
Se nascondo la polvere sotto il tappeto e una persona entra in casa mia, non la vedrà. E se non la vede, esiste lo stesso la polvere sotto il tappeto, oppure no?
Quindi prima ancora di parlare di esistenza o inesistenza della verità assoluta, forse dovrebbe parlarsi di ciò in tali termini: è possibile conoscere la verità assoluta oppure no?
Se la scienza è un continuo cercare, non ha senso dire che è impossibie che una cosa esista. Dovrebbe più umilmente dirsi che ancora non è stata conosciuta.
tu mi fai un'esempio matematico che con le verità assolute ed indimostrabili della religione nulla ha a che fare...dire che una cosa può esistere pur non conoscendola e non verificandola equivale a dire che sotto il tappeto c'è la polvere pur non essondone certi ( senza verifica e dimostrazione )...si andrebbe allora verso il dogma ...è poi ovvio che in Italia c'è libertà di religione ( fin troppa direi...e soprattutto se cattolica...chissà perché...), con relativi privilegi garantiti a certo clero, per lo più supponente...