E la chiamano estat...
 
Notifiche
Cancella tutti

E la chiamano estate....


[Utente Cancellato]
Famed Member
Registrato: 3 anni fa
Post: 3719
Topic starter  

Parafrasando Bruno Martino: e la chiamano evoluzione...


Prigione Italia [Alceste]

Ho il privilegio di poter quantificare il grado di felicità di cui ancor godevano gli Italiani qualche decennio addietro.
I miei genitori arrivarono a Roma nel 1967. Due provincialotti inurbati, come tanti.
Senza particolari ambizioni e pretese. Vivevano. Allora la vita si coglieva dai rami, e nessuno s’interrogava granché sul futuro. Si era dolcemente trasportati dalla corrente. I giovincelli risparmiarono ferocemente per quindici anni, poi, nel 1982, accesero il mutuo per la loro prima casa. Durante il trasloco si portarono via anche una scatola da scarpe molto speciale. Era il loro archivio.
La tenevano in un vecchio armadio, in fondo, quasi negletta. In essa, una normalissima scatola di scarpe, trovava spazio la loro intera vita burocratica di tre lustri.
Ricevute d’affitto e del riscaldamento, quietanze condominiali, comunicazioni INPS, rate per l’acquisto di un paio d’elettrodomestici (lavatrice e lucidatrice), il canone RAI, persino un fascio di telegrammi di felicitazioni per il matrimonio.
I rapporti con le società di luce, telefono, acqua e gas erano sporadici e chiari. Ti dò un servizio e tu paghi: un bigliettino liberatorio di pochi centimetri quadrati testimonierà questo nostro patto. E basta.

[Inciso 1. Qualche anno fa ebbi la malsana idea di assicurare l'autovettura col Monte dei Pacchi di Siena; una carineria (si risparmia!) che la banca forniva ai clienti. Una settimana dopo mi arrivò un plico di quattro chili. Ciò che mi interessava consisteva in pochi grammi (tagliando e carta verde); il resto]

La vita burocratica dei miei ascendenti maggiori (nonni) era ancor più scarna. Anche qui: poche bollette (non avevavo manco il gas metano, nè condominio, nè caldaie) e qualche statino della pensione. Eppure era gente che lavorava e produceva. Lo Stato, però, si limitava a vigilare: in maniera quasi benevola, distaccata, umana.
Negli anni Ottanta le cose cominciarono a mutare. Un decennio più tardi presero ad accelerare: più consumi, più offerte, più finte liberalizzazioni. Dapprima furono le multinazionali ad assediare l’italianuzzo edonista; poi fu lo Stato, appaltato alle stesse corporation, a dettare le regole del nuovo gioco: un paese dei balocchi che esigeva in cambio sempre più larghe fette della nostra libertà. Giocare al paese dei balocchi divenne l’unico scopo delle nostre vite; e non si tollerarono deviazioni. Oggi il gioco diverte sempre meno, ma il carrozzone deve andare avanti, a qualsiasi costo: ogni mezzo è lecito, ogni vita sacrificabile; persino intere nazioni sono immolate sull’ara dei nuovi tempi. Qui sembra il ballo del film Non si uccidono così anche i cavalli? All’inizio ci si diverte, poi ci si stanca, ma non si può mica uscire dalla pista: no, si deve restare lì, fingere sorrisi, e vorticare sino a cadere sfiniti. Non ci sono apostati, né eresie, né possibilità di rinuncia: qui si balla, e si balla secondo le regole; chi è fuori è fuori da tutto; inutile scappare: il numero di serie ce l’abbiamo stampigliato sulla nuca ed è indelebile.
Dove vuoi scappare? Il mondo si restringe ogni giorno che passa. Sei schedato in Italia e, in tempo reale, nella UE, e nei paesi NATO. Una volta si diceva: mollo tutto! Ma per andare dove? Nel Sahara? E poi: chi ha il fegato di lasciare i propri familiari allo sbando qui, in questo inferno?
Perché aveva ragione Marcuse: il vero inferno è quello tecnologico.
E poi diciamola tutta: questa voglia di fuggire, l’escapismo lavorativo, non è alimentato proprio dal sistema? Non vedete che sono gli stessi media mainstream a proporre sin al disgusto il modello benigno dell’emigrato “che ce l’ha fatta”? Addio serva Italia, addio … i cervelli in fuga … qui a Londra, New York, Madrid sono rifiorito … oppure: qui a Canberra, Brighton, Brasilia riconoscono i miei meriti … oppure: a Roma sciacquavo piatti, qui conduco ricerche sul bosone di Higgs … non sarà sospetto tutto ciò? Non vorranno forse abituarci al nuovo italiano migrante, zingaro, con stipendio, case, affetti precari? Eh, sì, il sospetto viene … anche perché io stesso comincio a vedere i primi reduci di tali viaggi della speranza … dopo anni tornano qui, scornati, al punto di partenza … convinti che se proprio si deve crepare è meglio farlo nel cimitero di famiglia.
Irreggimentazione di massa. Pin, password, tracciabilità obbligatorie, pos, credit cards, bancomat, postamat, big data; e poi i social col verme spionistico. Perché no? Anche le vecchie e polverose biblioteche possedevano testi attenzionati: libri esca che, consultati, gettavano una luce sinistra sul malcapitato lettore. Un Big Brother all’amatriciana.
Figuriamoci oggi.
Lo Stato Moloch, tuttavia, non affonda ancora i propri denti; la garrota va stretta millimetro per millimetro: mai strafare. Ormai sanno tutto di noi: “Alle 10.53 del 4 maggio 2016 Lei ha comprato euro 1100 di mobili da bagno presso l’IKEA del Tuscolano con credit card numero x del Monte dei Pacchi di Siena. Poiché il suo salario base ammonta (media ultime tre mensilità) a Euro 998,68 … e il suo deposito agonizza poco sopra il livello zero … ci spieghi … come ha fatto?”.
Dite che non è ancora accaduto? Non vi scoraggiate: accadrà.
Vivere è diventato difficile. Hanno tolto agli Italiani un dono impossibile da computare e ridurre ad algoritmo: l’arte di arrangiarsi. Ma sì, quel sottobosco di relazioni familiari, maneggi, piccole vendite in nero, microscopici do ut des … ora è tutto chiaro, sempre alla luce del sole … in pieno mezzogiorno. La famiglia non esiste più, i lavoricchi arrangiati neppure; persino la paghetta ai propri figli deve, a norma di legge, essere dichiarata …
Solo al Sud il familismo e il ripudio della legge positiva salvano, paradossalmente, alcune famiglie dall’indigenza più nera.
E infatti gli Italianuzzi sono depressi. E ti credo. Ogni passo è spiato; i conati di inventiva subito formalizzati dalla burocrazia; le iniziative private battono contro il muro d’una legislazione multiforme e folle le cui numerose interpretazioni sono, immancabilmente, a svantaggio dell’Italiano; le idee, soprattutto quelle più originali e brillanti, vengono spente sul nascere: sopra, a godere privilegi immeritati, e con le solite trovate tisiche e ripetitive, ci sarà qualcuno più raccomandato di noi.
Qualsiasi passo d’intrapresa economica, peraltro, vanta la propria tangente legale: modelli, liberatorie, scartoffie, bolli, imposte locali, balzelli ottocenteschi, assolvimenti europei.
Persino lavorare, in alcuni frangenti, è antieconomico: mantenere il lavoro ha una spesa superiore al guadagno.
Insomma, si campa male. Non parlo di fame. Intendo parlare di vite infelici, sottomesse. Anche chi, consciamente, reputa se stesso “felice”, in realtà cova un malessere nero, uno scoramento indefinibile.

[Inciso 2. Volete conoscere il mio grado di felicità, oggi? Quando rientro la sera, e salgo le scalette che, dalla rimessa, recano al portone condominiale la prima cosa che mi si para davanti sono le cassette postali]

Siamo soli di fronte a un mostro che tutto pianifica e tutto esige. I governanti delle singole nazioni sono stati comprati, in blocco. Il denaro, immateriale, non è certo un problema per il sistema. Ne ha fin troppo, sgorga spontaneo dalle banche centrali, cornucopie del nichilismo monetario: il sistema può riempire il sistema solare di denaro. Di denaro digitale, serie di numeri di cui tutti ignorano la scaturigine.
Il denaro neanche conta più niente. È il potere la posta in gioco. E il poco che avevamo (circa due secoli di morti ammazzati per un po’ di
diritti), quello l’abbiamo perduto in cambio degli smartphone made in Korea.
Gli unici felici sono gli immigrati. Hanno poche certezze in tasca: che potranno ritornare nella loro patria abbandonando la baracca quando più gli piace; e che nessuno, dell’apparato statale, polizia in testa, li molesterà o gli torcerà un capello.
Sono felici.
I finti profughi ancora più felici. Una felicità che nasce dalla spensieratezza. Sciamano la mattina, ben vestiti, ben nutriti, con cellulari più larghi del palmo della mano. Inattaccabili. Per loro l’Italia è un divanetto su cui stravaccarsi gratis; i monumenti, le vestigia del passato glorioso, gli edifici patrizi … tutto ciò non gli dice nulla; il Colosseo, le chiese paleocristiane, la campagna romana, potrebbero pure essere inghiottiti da un buco nero come una novella Palmira in mano all’Isis.
Sono ben visti da tutti, in fondo …
L’unico con la faccia sospetta è proprio il sottoscritto. Certe mattine mi osservo riflesso negli specchi della metropolitana e penso: minchia che faccia! Questo qui è proprio un tipo da galera! Questo sta in Italia a farsi i suoi porci comodi! Maledetto immigrato!

http://pauperclass.myblog.it/2016/05/10/prigione-italia-alceste/


Citazione
Condividi: