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Egitto instabile


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Da: www.cdt.ch/commenti-cdt/commento/43959/l-egitto-si-scopre-viepiu-instabile.html

L'Egitto si scopre viepiù instabile

di Alessandro Leto - 11 maggio 2011

«Per la Chiesa la festa è finita»: queste sono le parole usate dal portavoce dei Salafiti egiziani per commentare la recente, tragica notte di scontri interreligiosi avvenuti alla periferia del Cairo. Il messaggio è chiaro e crudo, ed esterna quella che è ormai la convinzione diffusa di una parte crescente di egiziani, e cioè che il crollo del regime di Mubarak, abbia comportato il superamento degli equilibri interni che avevano governato l’Egitto nel corso degli ultimi decenni. Non solo in termini politici ed economici, ma anche religiosi, riproponendo in chiave di scontro aperto quella tensione mai sopita fra mussulmani e cristiani che corre anche e soprattutto lungo una linea di frattura di origine sociale.

I Copti, eredi del monachesimo cristiano delle origini, sono numerosi in Egitto (si stima siano circa dieci milioni), ed hanno sempre prosperato nel commercio, assumendo rilevanti responsabilità nella burocrazia che ha garantito continuità ad un paese sul cui territorio si sono avvicendate in modo cruento dominazioni straniere, restaurazione monarchica e «repubblica» in meno di un secolo. Sono troppo numerosi ed influenti quindi per non essere ascoltati dal governo, ma troppo caratterizzati in senso religioso per poter essere lasciati in pace dalle frange estreme dell’Islam militante.

Come noto, i Fratelli Mussulmani, che si sono dissociati dalle violenze contro i Copti, hanno da tempo stretto un accordo con i militari ed il loro impegno è stato determinante nell’estinguere le fiamme della rivolta anti-Mubarak, circoscrivendola a rivendicazioni contro l’ex Presidente il suo clan e la sua famiglia, per il momento. Ma ora, in vista delle prossime elezioni, presentano il conto chiedendo a gran voce l’accesso a quelle posizioni di nicchia sì, ma molto influenti, tradizionalmente riservate ai Copti. Ed hanno assistito senza prevenire e forse incoraggiandola, alla marcia dei Salafiti che andavano a «liberare» una cristiana prigioniera nella chiesa di San Mina alla quale era impedita la conversione all’Islam, posto che si era innamorata di un ragazzo musulmano e voleva sposarsi.

È chiaro che la discriminazione religiosa attraversa come una lama la società egiziana col rischio di spaccarla, dando vita ad una fiammata capace di incenerire i presidi di civiltà e di legalità dell’intero Medio Oriente. Anche per questo quindi, i Copti si sono organizzati in milizia ed hanno cambiato strategia: si presenteranno alle prossime elezioni, fatto inedito negli ultimi tempi, ed organizzeranno la propria difesa dagli attacchi armati in autonomia, perché ritengono che l’esercito li abbia abbandonati. Questo scenario che tinge di tinte fosche il futuro dell’area, evidenzia il pericolo che incombe quando la politica collassa e perde la sua funzione di collante della società, nel tentativo di rappresentare e comporre interessi diversi.

L’aver gioito per la cacciata di Mubarak fine a se stessa, ha impedito ciò che andava fatto da tempo, e cioè un’analisi profonda della società egiziana, sottoposta alle violente frizioni di cambiamenti imposti dalla modernità che non sono compatibili con la visione della stessa società egiziana coltivata dall’Islam sunnita. Se a questo aggiungiamo la fine dell’«Entente Cordiale» con Israele, la pressione determinata dalla crisi economica, il disagio sociale crescente (il tempo al Cairo è scandito da snervanti, continui blackout elettrici) ed i venti di guerra sul confine libico, comprendiamo allora come l’Egitto rappresenti oggi il «Limes», la frontiera fra stabilità e caos: molto più di tanti altri teatri di guerra.


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