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Fascisti che si vergognano di essere fascisti

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materialeresistente
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Il sindaco ex fascista Alemanno ha rilasciato questa veemente dichiarazione dopo aver saputo che il sindaco di Parigi, socialista, non vuole avere niente a che fare con uno che ha celebrato la sua vittoria con un manipolo di camicie nere inneggianti (in verità camicie griffate).

"Quello che ha detto il sindaco di parigi su di me è falso, offensivo e intollerabile. Non si può, per dare soddisfazione ad una propaganda di parte, inventare fatti che non esistono nè tanto meno interrompere le relazioni istituzionali tra la città di Roma e la città di Parigi che sono sancite da un antico gemellaggio".

"In questo modo - continua Alemanno - non si offende solo il sottoscritto ma anche la città. Per questo motivo ho chiesto all'ambasciatore d'Italia a Parigi di muovere dei passi diplomatici per chiarire questa situazione e per evitare ulteriori offese".

Vi direte : Embè, e dove è la buona notizia?
La buona notizia è che lui si vergogna di quelli che lo hanno eletto e sono fascisti ,perché lui non lo è più.
Non li vedeva proprio mentre lo salutavano come i padri salutarono Benito. Con il braccio teso e la fronte alta.

Strana razza questi ex nazionalsocialisti; nostalgici del 1° fascismo del 19, quello che loro definiscono "socialista" e sociale. Una roba durata il tempo di una scoreggia; giusto quello di scrivere una letterina con la quale pulirsi il culo. Una roba con la quale ogni tanto si esercitano per scorticare un po' della loro anima nera. Vorrebbero dimostrare che in fondo , forse, potevano essere un altra cosa ma che poi, il destin beffardo, li portò esattamente dall'altra parte della barricata insieme a padroni, latifondisti, preti e liberaldemocratici.
Strana razza perché pur di essere lì sullo scranno vanno contro tutto e tutti, anche contro se stessi.
Una razzaccia che in nome del motto "andate che vi seguo" mandò al macello tanta gente raccontandogli che loro erano i portatori dei valori di Roma antica.
Pensate un po' come si sentirà questo quando gli toccherà baciare una bandiera con appese le tante medaglie d'oro della guerra partigiana.

La 2a buona notizia è che il nipote di Hitler è diventato ebreo ed insegna in una università a Tel Aviv. Tra le cose che ha detto su di lui questa ci ha colpiti:

"Non mi piace sentir parlare dei palestinesi con sufficienza. L'Olocausto e il Terzo Reich mi hanno forgiato. Sono pacifista, e penso che la democrazia provi sé stessa rispettando i diritti delle minoranze. Ho sempre cercato di essere onesto sulle mie origini: non le ho mai nascoste. Ne ho anzi parlato con i miei studenti, e uno di loro mi ha detto: "Immagina, tuo nonno potrebbe aver saponificato mia nonna". Quando la mia storia ha iniziato a circolare, diverse persone con cui parlavo normalmente, non mi hanno più stretto la mano. Cambiavano strada. E ai miei figli, a scuola, i bambini sputavano addosso chiamandoli "nazisti". Ho imparato la lezione. Certa gente non vuole che tu cambi. Mai".

Diciamo subito che il tizio è nato nel 52, e nessuna responsabilità ha per quello che fece il suo esimio parente. Però non possiamo non notare la beffa della storia e del destino. Il nipote degli sterminatori di Ebrei che insegna il Talmud. Quello che non capiamo è se, in realtà, quelli che sputavano addosso ai suoi figli lo facevano perché eredi di Hitler o per le posizioni blande del padre sulla questione palestinese.
Evidentemente non ha capito una cosa fondamentale : non è che quelli non accettino che lui sia cambiato, ma che è lui che non vede, in realtà, che quelli sono un altra roba rispetto a chi suo zio mandò al forno crematorio.

http://pensareinprofondo.blogspot.com


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Melkitzedeq
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Quindi secondo voi un europeo che si converte all'ebraismo e va ad insegnare il Talmud in Israele e' una buona cosa?

Adesso capisco tutto... 🙄


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eresiarca
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Sarà anche "materiale resistente", ma non all'infatuazione per Sion e al ridicolo di chi pur di tenere il punto sull'antifascismo agisce da oggettivo alleato di quelle forze che tengono l'Italia in perenne stato di servitù.
E' troppo complicato (e richiederebbe un sovrumano sforzo di curiosità intellettuale) per un "antifa" obnubilato dal pregiudizio e dall'odio (con qualcuno bisogna pur prendersela), capire che "fascismo" non è "destra" e che il primo non si pone come antitetico rispetto al "comunismo" per il motivo che l'idea di un "fascio di forze" trascende la "destra" e la "sinistra", il "capitalismo" e il "comunismo" (solidali, nel loro materiallismo, nel considerare l'uomo come un "fattore della produzione")
Ma forse "materialeresistente" non è neppure "comunista", o magari è "comunista" ma "antistalinista" (almeno Stalin è durato più del "tempo d'una scoreggia" e per quello va rispettato), quindi "libertario", semplicemente "antifa" (che la "scoreggia" manco l'hanno fatta presi come sono a scoreggiare "contro il fascismo"), talmente rincretinito da scambiare Alemanno e i suoi fan che fanno le vacanze nei kibbutz con il Fascismo, mentre costoro mettono in scena l'ennesima caricatura di un'idea che, se solo si fosse capaci di capire che la guerra civile permanente di tutti contro tutti, nel 'pollaio Italia', quando il padrone del pollaio sono gli Usa, è un vero suicidio collettivo.
Questo, naturalmente, sempre che si sia in grado di capire che senza la "sovranità" non si realizza nulla, nemmeno il "comunismo", ammesso che gli "antifa" lo vogliano per davvero o non preferiscano lo scontro da sabato pomeriggio con Forza Nuova o "giocare alla rivoluzione" in qualche "università occupata" (con qualche "barone rosso" che li protegge).
Quindi, per cortesia, prendetevela con la "destra", con Alemanno, con Forza Nuova e altre macchiette, ma smettetela di chiamarle "fascismo". Siate onesti, prima con voi stessi, poi con i letori di questo sito e con gli italiani tutti: smettetela di mescolare le carte. Abbiate il coraggio di dimostrare che le realizzazioni del Ventennio sono un fallimento, abbiate il coraggio di prendere la Carta del Lavoro e di criticarla puntualmente, abbiate il coraggio di dire che cosa di sbagliato c'è nel Fascismo. E se invece, anche se non volete ammetterlo, magari qualche cosa di buono c'è, allora rivendicatelo, pretendetelo, chiamatelo "comunismo" o come più vi piace e anche i fascisti veri saranno con voi.
Altrimenti, cari "resistenti", ammettetelo con sincerità, a voi stessi per primi: a voi questo sistema "democratico" e liberalcapitalista (nel quale hanno diritto di cittadinanza "sinistra", "centro" e "destra", con tutto il contorno di "antifa", "fasci" ecc.) sta benissimo, perché vi permette di giocare alla rivoluzione", evitando di prendere il problema di petto, che non è certamente il Fascismo.
Oppure, ammettete di essere in malafede. Di avere paura del Fascismo, esattamente come i vostri "nemici" capitalisti. Spiegate perché le realizzazioni del Ventennio nel campo del lavoro, della casa, del sociale sono "sbagliate". Ammettete che avete paura del Fascismo perché (o, come vi ho spiegato, di un "comunismo" - il nome non è importante - che realizza quei punti, in primis la sovranità, che per il Fascismo sono fondamentali) quello metterebbe fuori gioco sia voi che i vostri "nemici", dimostrando, coi fatti, non con le parole in cui siete tutti maestri, la vostra sostanziale inutilità e, in fondo, nocività e collusione di chi da oltre sessant'anni tiene la nostra terra (quindi di tutti, compresi i "fasci" e gli "antifa") in stato di servitù.


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Anonymous
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Spiegate perché le realizzazioni del Ventennio nel campo del lavoro, della casa, del sociale sono "sbagliate"

Per il semplice fatto che sono seppellite da migliaia di cadaveri di civili inermi e da intere città rase al suolo.
Se il prezzo da pagare per cotante riforme è questo forse meglio evitarle
tu cosa ne dici?

Abbiate il coraggio di dimostrare che le realizzazioni del Ventennio sono un fallimento, abbiate il coraggio di prendere la Carta del Lavoro e di criticarla puntualmente, abbiate il coraggio di dire che cosa di sbagliato c'è nel Fascismo.

😆 😆 😆 😆
Non ci vuole coraggio per dire cosa c'è di sbagliato nel fascismo nei fasci e nelle persone che ne perpetrano l'idea basta osservare i "risultati" di un ventennio fascista.
Lasciando perdere la gente uccisa,rapinata, manganellata e carcerata,
Ti basta un Italia ridotta a un cumulo di macerie con eserciti stranieri che si combattono e la popolazione civile ridotta alla fame.
Un Italia ridotta a colonia amerikana e della quale i partecipanti attivi al ventennio sono servi fedeli?
Secondo te questo è un dettaglio?
La carta del lavoro per quanto è stata solo carta?.....e perché no il sabato fascista i treni in orario la delinquenza debellata o qualche altra amenità partorita dal miniculpop.
Il consenso delle masse? Prima del 25 luglio tutti in camicia nera il giorno dopo tutti antifascisti!!!
Secondo te "il consenso popolare " al fascismo su cosa si è basato?
E adesso mi vieni a dire che i d'alemanno e associati non sono fascisti?
Ma guardati le foto del ventennio e i raduni oceanici, cambiano di poco diminuiscono i partecipanti , gli abiti la gente è più nutrita e si lava di più ma hanno delle somiglianze impressionanti sembrano parenti.
Dimenticavo:

pur di tenere il punto sull'antifascismo agisce da oggettivo alleato di quelle forze che tengono l'Italia in perenne stato di servitù.

Scusa queste forze non hanno forse il pieno appoggio dalla destra?
Che si chiami msi/an/ o pdl sempre destra è aggiungo con l'appoggio esterno dei komunisti come volter/bertinozzi/dalemino e associati.
Ps

non rappresenti nessuna eresia ma la continuazione di una idea malata
che tante sofferenze ha causato all'italica popolazione


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materialeresistente
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Nessuno ti ha già risposto. Per il resto se vuoi ti mando le cartoline che spediva mio nonno dai campi di prigionia inglesi, la copia dei libri regalati dal fascio con la didascalia e le tessere di povertà. Poi parliamo.


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materialeresistente
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Quindi secondo voi un europeo che si converte all'ebraismo e va ad insegnare il Talmud in Israele e' una buona cosa?

Adesso capisco tutto... 🙄

Veramente è ironico il riferimento.


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eresiarca
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Un vero capolavoro di logica!
Siccome poi si viene "bombardati ed invasi", tanto vale non alzare mai la testa, vero? Informiamo di questa mirabolante scoperta anche Hugo Chavez!
Sicuramente avrai imparato bene la filastrocca scolastica chiamata "Storia" nella quale c'è scritto che "la guerra l'ha voluta Mussolini". Chissà perché nel '38 lo chiamavano in Europa "l'uomo della pace" (v. i libri di Filippo Giannini), chissà perché siamo entrati in guerra solo nel '40 (e perché)...
Ti dice nulla un embargo di quasi tutta la "comunità internazionale" del tempo (la stessa combriccola del "bene" di oggi che minaccia, embarga e devasta a tutto spiano), al traino delle "grandi democrazie" (quelle che avevano asservito il mondo intero! da che pulpito la "predica"!), per la "immorale" ed "intollerabile" occupazione dell'Abissinia? E pensi davvero che le "grandi democrazie" si siano mosse in armi contro il Fascismo perché è "brutto e cattivo"? Questi "disinteressati benefattori"!?
Dunque, la prova che il Fascismo è "sbagliato" sta nella guerra persa, vero?
Era la risposta che volevo. La dimostrazione che tutti gli "antifascisti", di destra, di centro e di sinistra, si atteggiano a chi "la sa lunga" solo perché un'idea è stata sconfitta militarmente e non può 'difendersi', non come il Comunismo, svanito nel nulla dall'oggi al domani (comprese le sue appendici "occidentali") e che nell'immaginario collettivo - pilotato - sembra collocato nella Preistoria mentre si tratta solo di vent'anni fa, mentre il Fascismo, 'sto "spauracchio" eterno, sembra finito ieri tanta è l'insistenza nel ricordarcene la natura "terribile" e "sbagliata".
Quanto a "dimostrare" che il Fascismo è "sbagliato" come chiedevo, anche tu non l'hai fatto perché non sai come fare. Quali sarebbero i "risultati" che tu ironicamente virgoletti? Non sai dire nulla. Ti attacchi alla solita storia dello "squadrismo" che serve a giustificare la violenza delle "radiose giornate", come a dire: "chi la fa l'aspetti".
Ma l'hai proprio imparata bene la lezioncina a scuola!
Chi è in buona fede o non reagisce come un cane di Pavlov s'informi su fonti documentate sui fascisti morti ammazzati dai comunisti prima e dopo il '22. Ne scoprirà delle belle. S'informi sul "terribile" Tribunale Speciale per la Sicurezza dello Stato e le condanne a morte comminate in un ventennio. S'informi sul terribile "confino" e lo compari coi gulag e lo sfruttamento del mondo intero da parte della Francia, dell'Inghilterra, degli Stati Uniti, tutti affratellati, tanto per citare un'iniziativa edificante e "democratica", dalla partecipazione alla tratta degli schavi neri... Si pensi a come l'India, che si riprende solo adesso, è stata devastata da un'insignificante piccolo popolo di sfruttatori che si permetteva di "scandalizzarsi" per l'Abissinia. Si pensi a come hanno asservito altre nazioni dalla civiltà millenaria, come l'Egitto o la Cina.
Certo, per informarsi su questo "terribile" Fascismo (al quale guardavano tutti i patrioti delle nazioni asservite dalle "democrazie") bisogna anche sporcarsi le mani con libri scritti da fascisti (come gli studi di Gianantonio Valli) , ma non da "destri", che, come i "sinistri" e i "centri", non hanno alcun interesse a far conoscere la verità...
Quanto al "consenso", che voi "antifascisti" (ma non siete ancora stanchi di essere sempre "contro"?) non potete più negare, tu e tutti gli altri indottrinati dovete raccontare e raccontarvi che era di facciata. Resta perciò un mistero come 1 milione di giovani siano accorsi, su posizioni "perdute" (il che è sintomatico del tipo umano forgiato allora: oggi non si troverebbe nessuno per difendere questo sistema "magnifico"), nei ranghi della RSI. Ora, noi fascisti siamo onesti intelletualmente, e non abbiamo nessun problema nel riconoscere che se vi fu un atteggiamento disinteressato, "per la causa", anche in chi aderì alle formazioni partigiane, ciò lo si deve al "carattere" formatosi grazie al Fascismo, che aveva molto chiaro che senza un'adeguata formazione fisica e militare della gioventù ("libro e moschetto") non vi è alcuna reale sovranità. La sconfitta militare del Fascismo, prima, il "pacifismo" (importato dagli USA), poi, hanno fatto dimenticare questa banale verità: che per avere una reale indipendenza bisogna sapersela difendere, con le unghie e coi denti.
Ripeto, siccome noi fascisti siamo uomini onesti intelletualmente, e non c'interessa "mettere il cappello" su ogni cosa che per noi va nella direzione giusta, non abbiamo difficoltà ad approvare tutto quel che, sotto nuove forme (per esempio le nazioni latino-americane che stanno liberandosi), incarna la stessa idea, che adotta lo stesso "metodo", che nessuno (tanto meno il sig. "nessuno" del commento), ha saputo né saprà mai confutare.


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Devo uscire e non posso rispondere alla tua filippica.
Allora la guerra le vittime sono i soliti discorsi non contano sono quisquilie quello che conta è l'ideale.
Mi piacerebbe sapere da te che tanto sai più di me sul fascismo del perché
l'Italia è entrata in guerra al fianco dei tedeschi chi ha voluto la guerra visto che secondo te mussolini non l'ha voluta.
Documentami dei morti ammazzati dai komunisti prima del 22 circa i tribunali speciali qualcosina ho letto il confino( gente mandata in vacanza come dice berlosco?)
Non capisco cosa c'entrino altri stati limitati all'Italia senza divagare.
Quel milione di italiani che hanno aderito alla repubblica di salo tutta gente d'onore? Tutti che volevano continuare la guerra al fianco del camerata tedesco sul suolo italiano quali mirabili azioni hanno compiuto questi baldi giovani e non mi tirare fuori la decima mas.
Aspetto un tuo chiarimento illuminami sulla vostra onestà intellettuale e chi è questo luminare valli.
Quando torno ti rispondo perchè mi interessa capire come la pensate.
A più tardi


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Melkitzedeq
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Basta con questa storia che Alemanno e Berlusconi sono "fascisti", si legga questo articolo che dovrebbe chiarire i fatti:

http://www.cpeurasia.org/?read=23325


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Galileo
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Eresiarca…comprendo che qui non parli di una posizione politica, ma più precisamente un’idea.

Vedi “nessuno” Eresiarca non ha torto. Dal suo punto di vista sostiene un’ideologia. Ora chiamala come vuoi, ma se l’ideologia ha funzionato, ha funzionato.

“Libro e moschetto”. Non è quello che stà facendo Chavez? Non stà Europeizzando il Venezuela. Perchè? si stà inventando qualcosa di nuovo? (posso anche sbagliarmi).

Però ora la guerra non è più la stessa. Forse qui c’è un elemento sorpresa. Una volta gli uomini andavano in trincea, vivevano uno accanto all’altro e la loro vita dipendeva dagli altri e loro lo vedevano con i loro occhi. Oggi, coi “drones” i soldati stanno davanti ad uno schermo di computer ammassati in container calurosi o freddi, alienati, senza nessun senso di compagnerismo dovuto che ti ho salvato la vita. Ora i soldati, per quello che ho letto, tornano a casa con sindromi di tutti i tipi…ma chi cavolo vuole andarci?
Questò è il problema.

Così gli Americani, hanno deciso di andar ad arruolare minorenni (così ho letto sanza voler dire que questo è vero) e cercano arruolati nei bassifondi delle cittá.

Eresiarca…una volta avevamo dei patrioti, ora abbiamo degli arrualati alla meno peggio. Mercenari. BlackWarriors o BlackWater.

Tu davvero pensi, che oggi, si possa rifare quello che si fece? Dimmi, dove stà un ideologia da seguire? Dove stà l’idea che sa unire?


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afragola
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25 aprile. Luigi Maresca
di Giuseppe Aragno, venerdì 24 aprile 2009, 17:49
Archiviato in: Italia, Primo piano, Storia

E’ un 25 aprile che ha il governo all’opposizione. Un 25 aprile in cui non c’è un ministro nato alla cultura della Resistenza o un partito che faccia riferimento alla guerra di liberazione o ai valori della Costituzione. Ci governano gli ex secessionisti della Lega Padana, gli ex fascisti di Alleanza Nazionale e quei forzisti per i quali il 25 aprile, più che una festa nazionale, è sempre stato il trionfo dalla "vendetta e dell’odio dei vincitori a danno dei vinti. E’ un 25 aprile che annuncia tempesta. In attesa che il vento cominci a soffiare, è giusto che la parola passi ai testimoni.

Luigi Maresca

Luigi Maresca, liberale, antifascista e partigiano durante le "Quattro Giornate", nacque a Napoli sotto il segno della reazione, nel luglio del 1898, subito dopo i "moti della fame" e le cannonate di Bava Beccaris, mentre corti marziali e miopia di ceti dirigenti disperdevano nelle isole di confino o seppellivano sotto secoli di galera le voci del dissenso.

Cresciuto negli anni di Giolitti, Maresca, non scelse ruoli da "protagonista", ma non recitò da "comparsa" sul palcoscenico della storia e interpretò la sua parte con passione e dignità. Calato il sipario sulla sua vicenda umana e politica, gli toccò, tuttavia, una sorte amara - è accaduto più spesso di quanto si creda - e pagò due volte il prezzo delle distorsioni causate da quello che, con un eufemismo pudico da "addetti ai lavori", chiamiamo "uso pubblico della storia". All’alba della repubblica, infatti, negli anni del "frontismo", gli studiosi "organici", di ispirazione più o meno togliattiana, lo cancellarono dalla vicenda storica: la realtà concreta d’un moto popolare riuscito vittorioso nel cimento coi nazifasisti senza la direzione di "avanguardie politiche", mal si conciliava con la teoria del "partito di classe", guida del "proletariato rivoluzionario"[1] . Qualche decennio più tardi, con la caduta del muro di Berlino e il suicidio dei socialisti, rinnegata l’anima comunista, la sinistra ha cercato a centro spazio, credito e consensi, sicché un revisionismo di nuovo conio, ha condannato Maresca per una responsabilità che non gli compete. Esposta al tiro della destra rinascente e all’offensiva incalzante degli opinion-makers del circo mediatico, infatti, una sinistra in crisi di identità - e gli storici che ad essa fanno riferimento - nel tentativo di chiudere la partita col "secolo delle ideologie", hanno condiviso senza batter ciglio la sostanza ideologica dell’attacco: è vero - si è detto - "non vi è stato antifascismo senza il contributo decisivo del comunismo; ed è vero che il comunismo è finito male" sicché, "nonostante la loro estraneità personale agli orrori del Gulag", sui partigiani, su Maresca e sui "padri della patria" inevitabilmente si è allungata "l’ombra del comunismo, con il suo carico enorme di sofferenze e di atrocità, [...] sino a farli apparire improbabili come campioni di moralità e maestri di democrazia"[2] .
Un giudizio pesante, che, senza alcun fondamento, chiama direttamente in causa Maresca, del quale, per questo se non per altro, vale la pena di ricostruire la vicenda. Quando attira l’attenzione della polizia fascista, Maresca è un commesso postale che, in tema di politica, annota la Questura con le formule generiche del linguaggio burocratico, "ha mostrato sempre regolare condotta"[3]. In realtà le cose non stanno così. Piccolo borghese di media cultura, il giovane impiegato ha alle spalle non solo il fango e il sangue delle trincee che, non ancora diciottenne, lo hanno visto combattere da volontario la "grande guerra", ma anche un breve ma acceso passato di radicale maturato nel dibattito sull’industrializzazione del Sud aperto da Nitti negli anni delle "leggi speciali"[4] . L’avversione al fascismo si intreccia perciò inizialmente con la grande ammirazione che il giovane nutre per Nitti, costretto all’esilio dal minaccioso regime di Mussolini. Nessuna simpatia bolscevica, nessuna adesione a "partiti estremi", nessuna esperienza cospirativa[5] . Nulla di tutto ciò. Più semplicemente, un rifiuto "morale" mai apertamente manifestato e destinato probabilmente a non evolvere in una scelta di campo esposta ai rischi della dissidenza, se le autorità di Pubblica Sicurezza non avessero voluto fargli pagare l’innocua fedeltà a un ideale politico. Un antifascismo, quindi, figlio naturale del fascismo e della sua pretesa di imporsi non solo come regime reazionario e classista, ma anche, e soprattutto, come riferimento per le coscienze. Uscito allo scoperto per caso, come vedremo, Luigi Maresca diventa antifascista militante nel momento in cui il regime viola il confine tra pubblico e privato e si presenta nella sua natura reale di prigione del pensiero [6]. E’ il 28 dicembre del 1927 quando, spinto dal desiderio di manifestare la sua ammirazione, Maresca, invia a Nitti, fuoruscito a Bruxelles, gli auguri di buon anno:

"Eccellenza - gli scrive - io penso che il preciso dovere di ogni italiano sia quello di far giungere costì, in terra straniera, l’omaggio deferente e grato al Ministro che dopo Caporetto seppe vincere a Vittorio Veneto e che avrebbe guidato la nazione a ben altri destini: Ma purtroppo oggi non sono consentite certe manifestazioni al merito del nostro grande Ministro. Gli [sicJ sia di conforto però il pensare che il ricordo suo è più vivo che mai nella mente dei suoi compatrioti, che sperano, sperano, sperano, nel domani luminoso che non mancherà di venire. Voglia perdonarmi Eccellenza dell'ardire che mi prendo; io sono di quelli durissimi, e sono molti e sono quasi tutti gli italiani a pensare come me. Auguri, auguri devoti per il nuovo anno" [7].

Un’innocua e, tutto sommato, ingenua manifestazione di dissenso, che il regime, spietato, non perdona. Il 2 gennaio del 1928 la lettera, intercettata dalla censura che controlla con grande attenzione la corrispondenza di Nitti, giunge a Roma e, dopo una breve indagine e una stretta sorveglianza della posta, il Ministero dell’Interno non ha dubbi: Maresca, già processato per "abbandono di posto di fronte al nemico", si tiene accuratamente lontano dalle manifestazioni indette dal regime e, come non bastasse, ha un "misterioso" scambio di corrispondenza con la Francia [8] . Benché dalle lettere non emerga nulla che basti a tenere in piedi un’ipotesi di reato, il regime non esita: sospensione dal posto e dallo stipendio, poi licenziamento, fascicolo personale nello schedario politico, sorveglianza strettissima e nessuna possibilità di trovare un lavoro stabile per mantenere dignitosamente la famiglia [9] .
Seguono i mesi interminabili degli stenti e delle umiliazioni, col fascicolo personale che si riempie di inutili rapporti sul "comportamento che non dà adito a rilievi", il dissenso politico che si tinge d’odio e disperazione e l’etichetta di "antifascista" che non consente vie d’uscita. Inevitabile e doloroso, l’espatrio clandestino beffa militi e questurini: "a maggio del 1928 - scrive a Roma l’Alto Commissario Castelli - si è allontanato da Napoli per ignota destinazione"[10].
Segnalato nella "Rubrica di frontiera" per la perquisizione e la vigilanza, Maresca sembra svanire nel nulla, finché una cartolina inviata a casa da Saint Germain des Prés nel luglio del 1931 rivela alla polizia la sua presenza a Parigi, dove frequenta fuorusciti e si arrangia come può per tirare avanti [11] , finché, raggiunto dalla moglie, Elvira Urciuolo, e da Tonino, il loro piccolo figlio [12], si trasferisce a Charleroi, in Belgio, dove la vita non è meno stentata e, come riferisce a Roma un confidente di polizia, "vive a carico del Soccorso Rosso e dell’ex Presidente del Consiglio Francesco Nitti" [13] L’antifascista e il "patriota liberale" convivono senza problemi nella sua esperienza di fuoruscito sino alla guerra d’Africa, quando il groviglio di amor patrio
e nazionalismo che in fondo sono uno dei volti del suo antifascismo sembrano aver la meglio sui sentimenti democratici e l’ex combattente scrive a Mussolini: "Eccellenza. Nell’ora in cui si debbono compiere i grandi destini africani d’Italia, sento il dovere di mettermi a disposizione". E, tuttavia, firmandosi "Luigi Maresca, ex impiegato postale, rimosso per antifascismo", l’uomo ribadisce in qualche modo la sua avversione al regime, sicché all’ultimo momento, temendo di finire in galera invece che al fronte, decide di non muoversi dal Belgio [14].
Le condizioni di vita sono estremamente dure, la lontananza di amici e parenti rende tutto difficile e una forma d’ansia crescente sembra dominare la vita di due persone qualunque, che il caso, la dignità e un ideale politico, intrecciandosi tra loro in maniera impensabile, hanno precipitato in un’avventura dai caratteri indefiniti di cui non è facile immaginare l’epilogo. A suscitare timori basta poco:

"Miei cari, un’ora scarsa mi è giunta la vostra dell’8 e come vedete subito rispondo" - scrive al padre Maresca nel novembre 1939. "Cosa significa la frase di Nina: pregate perché attendiamo una grazia? Io frasi sibilline non ne voglio, perciò mi scriverete subito di che si tratta, facendo scrivere da tutti di casa. Di zio Filippo non sapevo niente. Poveretto, anche lui se n’è andato!" [15].

Nelle lettere alla famiglia abbandonata in tutta fretta anni primi, la lotta con la povertà emerge solo a tratti, tenuta per lo più nell’ombra dal desiderio di non rendere più penosa la lontananza, ma s’intreccia spesso con le riflessioni politiche, l’ammirazione per i belgi e la delusione a stento celata per l’inerzia degli italiani:

"Il mesale16 lo vendetti subito, 350 franchi, pochi in verità, ma fui costretto a venderlo. [...] Gli affari sono scarsi, ma che volete, questo è un popolo che pensa al lavoro, al divertimento e alla pace, mentre in altri luoghi si parla e si fa la guerra, così che gli altri sono giustamente disoccupati. [...] Ora attendo il medico per Tonino che come al solito ha la febbre e le viscere malate. Ma fortunatamente niente di grave ed oggi, giorno 16, è del tutto guarito"[17].

Tra il 1938 e il 1939, quando la situazione internazionale precipita e appare chiaro che la guerra si avvicina, i due coniugi prendono a scavare nella propria umanità e, tra incertezze e contraddizioni, riconoscono le ragioni più vere della loro ostilità al regime e giungono a definirle in maniera complessa e articolata. L’Austria è ormai tedesca e, dopo Monaco, la Germania ha ottenuto i Sudeti e si accinge ad aprire un conflitto che sconvolgerà l’Europa. Quando, dopo un lungo percorso, il 20 settembre del 1938, Elvira chiede alla madre notizie dei fratelli, le sue parole hanno un valore profondo, morale ancor prima che politico, sono parole che interrogano e ad un tempo esprimono un bisogno di solidarietà che si manifesti in un’aperta scelta di campo:

"Gigino di qui non si muove a fare la guerra per i tedeschi, che oggi mangiano nel vostro piatto e domani vi tradiscono. Qui hanno chiamato fino adesso 250.000 uomini. Prevedono quello che arriva. Scrivetemi, ditemi se Peppino e Arturo stanno ancora a casa, ma non mi scrivete che anche voi come mamma non potete fare differentemente perché non è per la nostra patria che si deve combattere, ma per gli altri"[18] .

Di lì a poco è il marito a scrivere alla madre. Una lettera in cui la speranza che si trovi un modo per scongiurare il conflitto non fa velo alla consapevolezza di un dissenso politico con la famiglia rimasta in Italia; un dissenso tanto più doloroso e forte, quanto più deboli si mostrano le possibilità di un cambiamento nel Paese. Speriamo, scrive alla madre Maresca,

"che a furia di concessioni sia da un parte che dell’altra l’Italia riesca a distaccarsi dalla Germania [...]. Nei giorni della mobilitazione la calma, la serenità e l’assoluta osservanza dei doveri dei cittadini fu cosa veramente ammirabile. [...] Mi si domandava: gli italiani che faranno? Niente! rispondevo. Neutri o per gli ex alleati. Che volete: è ancora troppo vivo nei cuori il ricordo dei 700 mila italiani morti contro i tedeschi [...]. L’Italia riprenderà la vecchia politica di amicizia con la Francia e l’Inghilterra, unico mezzo per arrestare i tedeschi che vogliono più che mai governare l’Europa. [...] E non vi scandalizzate se qualche mia frase non sarà troppo gradita alle vostre orecchie, [...] voi conoscete la mia opinione di ieri, di oggi e di domani"[19].

In realtà, tempo per discutere non ce n’è più: il dramma personale di Luigi Maresca e di sua moglie Elvira si intreccia ormai in maniera inestricabile con la tragedia che incombe e, poiché la strada scelta dal fascismo non conduce a un distacco dalla Germania, sono loro, i due coniugi, a doversi separare. Nonostante la resistenza opposta, Elvira Urciuolo sa bene che il marito ha ragione. Da mesi scrive alla madre perché la convinca "a rimpatriare in caso di guerra. [...] L’armistizio segnato a Monaco - sostiene convinto - non avrà una lunga durata" e ne va della sicurezza del figlio [20]. A novembre del 1939, ottenuto il rinnovo del passaporto, la donna non ha più nulla da opporre e non le resta che tornare a Napoli con la morte nel cuore: i nazisti sono entrati a Praga, gli italiani a Tirana, Ciano ha firmato il "Patto di Acciaio", la guerra si avvicina e il Belgio è in pericolo [21] . Scrivendo al padre da Charleroi, Maresca osserva con rabbia:

"somme fantastiche si spendono per gli armamenti e ogni giorno si scatenano minacce a destra e a sinistra. Tutto ciò fa sì che il commercio si paralizzi. È tempo, è gran tempo, di riunirsi tutti e concentrarsi per un’era di pace e di lavoro, ma ciò avverrà difficilmente" [22].

Se la guerra dovesse scoppiare, prosegue,

"se per dannata ipotesi ciò si dovesse verificare, noi creperemo di fame e ne usciremo con tutte le ossa rotte, perché amici nel mondo non ne abbiamo e [...] la guerra è un disastro" [23].

Maresca è lucidissimo: la Germania, sostiene, è pronta per aprire un conflitto feroce, dagli sviluppi e dagli esiti imprevedibili, che ridurrà in cenere l’Europa. Enormi gli appaiono pèrciò le responsabilità di Mussolini:

"i tedeschi hanno occupato la Cecoslovacchia - scrive a casa con angoscia - e così ci avviciniamo a passi di gigante verso il disastro finale. Oggi ancora il nostro paese potrebbe salvare la situazione; alleandosi alla Francia e all’Inghilterra; [...] otterrebbe tutto: aiuti finanziari, morali e soddisfazioni territoriali. Ma non farà niente, ostinandosi nella politica pro-tedesca che è la razza nemica nostra"[24].

Ex combattente, da giovanetto Maresca ha probabilmente sperato che Nitti facesse grande l’Italia, ma in mente aveva una grandezza conquistata con le armi del progresso sul terreno della civiltà, non quella insanguinata e oscena della barbarie militare e dell’orrore razzista. A guardarle oggi, con lo sguardo sereno di chi non indulge a pregiudizi ideologici ma non fa appello ad una pretesa neutralità dello storico, "sacerdote dei fatti", per sottrarsi al dovere di formulare un giudizio etico, a guardarle oggi, le ragioni più profonde e meditate del suo antifascismo sono complesse. Se la guerra in Etiopia ha potuto smussarne gli angoli sino al punto di indurlo a mettersi a disposizione della "patria in armi", il rapporto sempre più stretto che lega il fascismo alla Germania nazista, risulta incompatibile con il suo "patriottismo liberale" e determina il rifiuto definitivo di un regime sempre più estraneo e incapace di rappresentare i bisogni reali del paese. È un passaggio delicato, decisivo e per molti versi emblematico di una svolta che non segna semplicemente l’allontanamento definitivo del Maresca dal fascismo, ma la separazione del regime da strati consistenti della popolazione; una svolta che non solo matura molto prima di quanto si pe
nsi, ma ha un chiaro significato politico e non è riconducibile a processi spontanei avviati successivamente dai rovesci militari e dalla tragedia dei bombardamenti [25] . Certo, per un momento, quando la moglie, rientrata in patria, scopre che da tempo un’amnistia avrebbe consentito all’uomo di tornare a casa, Maresca vacilla e sembra lasciarsi andare, com’è naturale che sia, come accade di solito nella vita di uomini comuni che il destino fa eroi: non a caso Brecht, in un capolavoro che guarda all’eterno, scrive che "beato è quel popolo che non ha bisogno di eroi" ma se ne sceglie uno che, di fronte alla solitudine e alla paura del dolore fisico, rinnega le proprie convinzioni [26] .
Per ricongiungersi e restituire al figlio una famiglia, Maresca e la moglie cercano ogni via, si piegano al regime e hanno lampi di orgoglio. Così, nella bufera della guerra che si avvicina, la donna "rimpatriata [...] con un bambino e costretta a vivere una vita precaria e incerta", si affida "alla bontà del duce" e gli chiede di far rientrare in Italia il marito a spese dell’erario. Il Maresca però, rifiuta orgogliosamente ogni aiuto [27]. Disperata, la donna presenta allora al Consolato "una [...] istanza con la quale chiede che al marito sia rilasciato il passaporto per Ungheria, Jugoslavia e Grecia, ove si recherebbe per ragioni di commercio" [28]. Maresca, coinvolto ormai nel conflitto, si piega, sceglie di collaborare con la moglie e, "ottemperando alle nuove disposizioni, quale ex combattente", rivolge una petizione "onde ottenere l’iscrizione al PNF" senza la quale non può sperare che il Console lo aiuti [29]. Finalmente, il 9 maggio 1940, lo spettro della guerra sembra allontanarsi: a Charleroi il Console rilascia al Maresca un passaporto [30]. Come egli riesca a uscire dal Belgio in fiamme è difficile dire, sta di fatto che solo il 16 giugno del 1940, in una lettera partita dal Lussemburgo e passata per Monaco prima di giungere in Italia, il Maresca può scrivere alla moglie: "Mia cara Elvira, è l’ora della gioia e del trionfo. Sto bene, mi trovo alla legazione d’Italia [...] in attesa che formino un treno per rientrare in Patria. Ti raccomando il nostro piccolo Tonino. Statemi bene"[31]. Lo accompagnano verso casa le notizie delle fulminanti vittorie tedesche e l’illusione che la guerra, nella quale l’Italia si è comunque cacciata, sia finita ancor prima di cominciare. Il 15 luglio, però, al Brennero, la polizia di frontiera, la "perquisizione e la segnalazione per la vigilanza" prescritte per gli antifascisti lo riconducono bruscamente alla realtà [32]. Tornato a Napoli dopo dodici anni, non più fuoruscito e tuttavia "sovversivo", vede la guerra abbattersi sulla città con una ferocia inaudita e sembra chiudersi in se stesso. Diventato prudente, non dà "luogo a rilievi", riferiscono gli uomini della squadra politica che non lo perdono di vista. In effetti, i conti col fascismo sono tutti aperti. Maresca lo chiuderà rischiando la vita sulle barricate delle Quattro Giornate, poi si farà da parte.
Travolto dalle macerie di un mondo che pretendeva di costruire e aveva saputo solo distruggere, Mussolini, il suo spietato nemico, chiuderà la sua tragica esistenza a Piazzale Loreto. Molti dei suoi uomini, invece, tenendosi a galla nel fiume di sangue nato della guerra che avevano contribuito a provocare, si fecero a poco a poco nuovamente spazio e qualcuno ancora si muove sulla scena pubblica che fa da sfondo sconcertante alla vita della repubblica nata dal sacrificio e dalle lotte di uomini come Maresca. Non è un paradosso, né un scherzo del destino "cinico e baro" se per i relitti d’un orribile naufragio troviamo marmo, vie e piazze in un Paese che sembra non avere più storia e memoria. Il destino non c’entra. Sono i frutti amari di quel revisionismo per il quale Luigi Maresca, liberale, patriota e partigiano è diventato solo un "comunista compromesso coi gulag", di cui, tutto sommato è meglio tacere, per non vergognarsi.

Note

1) A proposito di quanti, come Maresca, furono combattenti partigiani nelle Quattro Giornate di Napoli e, più in generale, sulla Resistenza in area meridionale, Luigi Cortesi ha osservato con sfortunata precocità che "lo studio di Napoli e della Campania negli anni della seconda guerra mondiale consente [...] di far giustizia della tentazione di relegare il Sud ad un ruolo soltanto passivo o frenante, ad una estraneità alle tensioni e alle scelte degli anni dell’esperienza fascista, delle lotta antifascista e della ricostruzione". Luigi Cortesi, introduzione a Luigi Cortesi, Giovanna Percopo, Sergio Riccio, La Campania dal fascismo alla Repubblica. Società e politica, Regione Campania, Napoli, 1977, I, pp. 7-8. Più recentemente, Luigi Parente ha ricordato le distinzioni ideologiche tra "effimeri fuochi di paglia" della lotta al nazifascismo che si sarebbe registrata nel Mezzogiorno rispetto alla "vera" Resistenza e alla "vera" Liberazione, accennando ad una "congiura del silenzio" e ricordando come la vicenda meridionale, con la sua "atipicità", abbia avuto il "torto" di non rientrare nella "nota classificazione di Henry Michel che vede la lotta della Resistenza prendere origine dalla ribellione della singola coscienza o gruppo sociale per arrivare dopo, passata la fase dell’organizzazione, alla conclusiva insurrezione armata". Luigi Parente, prefazione a Corrado Barbagallo, Napoli sotto il terrore nazista. 28 settembre-1° ottobre 1943, La Città del Sole, Napoli, 2004, p. IX, ed Henry Michel, La guerra dell’ombra. La Resistenza in Europa, tr. it., Mursia, Milano, 1973, pp. 13-14. Una concezione dura a morire, ha osservato a sua volta Sergio Muzzupappa, se a distanza di decenni, persino Claudio Pavone, di fronte a masse che si muovono senza una guida politica, "riprende i giudizi datati espressi a caldo da Benedetto Croce e Palmiro Togliatti nel 1943-44" per esprimere una valutazione insufficiente, incentrata "ancora una volta sulla lotta pro aris et focis, sulla considerazione che era la prima volta che i lazzari si trovavano nella storia dalla parte giusta". Sergio Muzzupappa, introduzione a Corrado Barbagallo, Napoli sotto il terrore…, cit., p. XXXVII e Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p. 138.
2) Sergio Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, Einaudi, Torino, 2004, p. 8. E’ singolare che Luzzatto, studioso attento e preparato, si lasci guidare da un criterio anzitutto politico e, dopo aver giustamente assegnato alla sua generazione "una responsabilità retrospettiva ben precisa: non consentire che la storia del Novecento anneghi nel mare dell’indistizione", non senta il bisogno di distinguere, nell’antifascismo accorso in Spagna, gli anarchici, i socialisti liberali di Giustizia e Libertà e i comunisti internazionalisti dagli stalinisti. In quanto alla Resistenza, il tentativo di impedire l’indistinzione produce purtroppo solo figure di partigiani così fortemente indistinte che "per un patetico paradosso [...] gli uomini e le donne che scegliendo a vent’anni l’antifascismo anziché il fascismo contribuirono in maniera straordinaria a redimere l’Italia dalla colpa storica della dittatura, si trovano adesso, da ottuagenari, a doversi confessare per peccati che non hanno materialmente commessi". Scontano così il loro presunto silenzio "sui crimini staliniani nella guerra di Spagna o sulle nefandezze del socialismo reale". Un lavoro di distinzione che non distingue i Vidali dagli Arfè ha caratteri non meno ideologici delle ideologie che dice di voler combattere. Finisce così che persino Luzzatto, che ha un’indiscutibile dignità culturale, nello sforzo di non "calarsi nei panni di chi è stato schiavo dell’una o dell’altra utopia novecentesca", non si avveda che un Novecento sottratto alle sue utopie si legge fatalmente attraverso le lente deformante della peggiore di tutte le ideologie: quella che dichiara di rifiutare l’ideologia. Ivi, pp. 8-9.
3) Archivio Centrale dello Stato di Roma, Casellario Politic
o Centrale (da qui in avanti ACS, CPC), busta (d’ora in poi b.) 3051, fascicolo (da questo momento f.) "Maresca Luigi", Profilo biografico, febbraio 1928.
4) Le tesi di Nitti sull’industrializzazione dell’area napoletana, esposte poi in un saggio rigoroso per l’ampiezza della visione socio-economica e la modernità dell’impianto, aprirono un dibattito che coinvolse non solo le realtà locali ma influì sulle scelte politiche di Giolitti e ispirò una legge che intese pianificare lo sviluppo economico di intere aree del mezzogiorno. Sul tema si vedano Francesco Saverio Nitti, Napoli e la Questione Meridionale, Pierro, Napoli, 1903, ristampato in Domenico De Masi, Napoli e la questione meridionale. 1903-2005, Guida, Napoli, 2005; Marcella Marmo, L’economia napoletana alla svolta dell’inchiesta Saredo e la Legge dell’8 luglio 1904 per l’incremento industriale di Napoli, "Rivista storica italiana", a. 31, fasc. 4. 955-1023 e Giuseppe Aragno, Il Risorgimento industriale di Napoli a inizio secolo, in "Prospettive Settanta", 1988, nuova serie, anno X, n. 2-3-4, pp. 513-534.
5) ACS, CPC, b. 3051, f. "Maresca…", cit, Profilo biografico.
6) Sul rapporto tra sfera privata e pubblica durante il regime, Pier Giorgio Zumino, L’ ideologia del fascismo: miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Il Mulino, Bologna, 1985; Erminio Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari, 1993; Idem, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002.
7) La lettera, spedita da Napoli, è in ACS, CPC, b. 3051, f. "Maresca…", cit. Il termine "fuoruscito" usato per gli antifascisti costretti a espatriare, fu contestato da Arturo Labriola, protagonista di un’avventurosa fuga da Napoli. "Il vezzo di chiamar fuorusciti gli esuli politici", egli scrisse, "non è giusto nell’ordine storico, né nell’ordine filologico. I nostri storici classici chiamavano fuorusciti i membri di una fazione armata vinta in patria o uscitane che si riproponevano di rientrare in patria con le armi in pugno. I dizionari chiamano fuoruscito il bandito, lo scacciato; il che non è di persone che purtroppo se ne vanno di nascosto, e sprovvisti di documenti necessari per passare legalmente le frontiere". Arturo Labriola, Spiegazioni a me stesso, Centro Studi Sociali Problemi Dopoguerra, Napoli, sd, ma 1945.
8) ACS, CPC, b. 3051, f. "Maresca…", cit., nota n. 52 del 31-1-1928 da Alto Commissario per la Città e la Provincia di Napoli a Direttore Provinciale Regie Poste.
9) Ivi, nota senza n. del 9-2-1928 e nota n. 107360 del 4-71940, entrambe dal Prefetto di Napoli al Ministero dell’Interno (d’ora in avanti MI).
10) Ibidem, nota n. 13889 del 17-8-1931 da Alto Commissario per la Città e la Provincia di Napoli a MI.
11) Ibidem, appunto protocollato col n. 500 il 29-11-1935 senza mittente e destinatario.
12) Elvira Urciuolo era figlia del socialista Francesco Urciuolo, che partecipò a Napoli ai moti della Settimana Rossa e fu perciò condannato a due anni di carcere. Su di lui si vedano Archivio di Stato di Napoli, Questura, Polizia Amministrativa e Giudiziaria, b. 390, f. "Caserma dei RR.CC. di Sant’Onofrio alla Vicaria", fonogramma del 28-8-1914 da Ufficio P.S. di Castelcapuano a Questura; Corriere Giudiziario. Echi dei fatti di giugno, "Roma", 30-8-1914; Giuseppe Aragno (a cura di), La Settimana Rossa a Napoli, presentazione di Michele Fatica, La Città del Sole, Napoli, 2000, p. 102; Fabrizio Giulietti, L’anarchismo napoletano agli inizi del Novecento. Dalla svolta liberale alla settimana rossa (1901-1914), Angeli, Milano, 2008, p. 185.
13) ACS, CPC, b. 3051, f. "Maresca…", cit., appunto n. 500 del 29-11-1935, senza mittente e destinatario.
14) Ivi, Lettera del 28-10-1935, trasmessa a Mussolini con telegramma del 14 novembre. Come scoprirà la moglie anni dopo, la condanna per espatrio clandestino pronunziata nel 1931 era stata ormai amnistiata e il Maresca avrebbe probabilmente evitato l’arresto. Ibidem, nota n, 107360 del 12-6-1940 da Prefetto di Napoli a MI. Come scrive Anne Morelli, la "comunità italiana on Belgio, fortemente politicizzata", fu "molto sensibile ai grandi avvenimenti politici del periodo tra le due guerre" che dimostravano sempre più come il fascismo non "fosse più un fenomeno tipicamente italiano, ma, come avevano predicato gli antifascisti, stava diventando un fenomeno pericoloso per l’Europa e il mondo". Anne Morelli, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio. 1922-1940, Bonacci Editore, Roma, 1987, p 245 e, più in generale pp. 245-262. Un pericolo che già nel 1933 Louis De Brouckére al congresso del PSI di Bruxelles, quando, rivolto ai compagni italiani, dichiarò: "Il vostro problema è diventato il problema del mondo". Gaetano Arfè, Il Partito socialista nei suoi congressi. I congressi dell’esilio, vol. IV, Avanti, Milano, 1963, p. 10. Anne Morelli osserva giustamente che una "delle forme più spettacolari dell’appoggio dell’emigrazione italiana alla spedizione italiana contro l’Etiopia è il ritorno in Italia del ‘volontari’ destinati a combattere in Africa". Si trattava soprattutto, scrive a sua volta del Boca, di membri dei "fasci all’estero", ed è vero, ma il caso di Luigi Maresca e ancor più quello di Arturo Labriola dimostrano la complessità dell’adesione. Anne Morelli, Fascismo e antifascismo…, cit., p 247 e Angelo del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, vol. II, La conquista dell’impero, Laterza, Roma-Bari, 1979, p. 33. Labriola, che era iscritto al PSI e viveva a Bruxelles, accettò la tesi fascista della possibile aggressione etiope, scrisse all’ambasciatore italiano a Bruxelles per garantirgli i "sentimenti di piena solidarietà col mio paese al di sopra e al di là tutte le mie preferenze politiche" e a dicembre del 1935 rientrò in Italia, offrendo al regime più d’un motivo per agitare la grancassa contro l’antifascismo. ACS, Segretria del Duce. Carteggio riservato (1922-1943), b. 168/R, f. "Labriola prof. Arturo"; Renzo De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, 1929-1936, Einaudi Tascabili, 1996, p. 772; Lucio Labriola, Storia e leggenda di Arturo Labriola, Edi Europa, Casoria, 1967, pp. 234 e sgg.
15) ACS, CPC, b. 3051, f. "Maresca…", cit., copia di lettera del 16-11-1939, proveniente dal Belgio, firmata Gigino e indirizzata dal Maresca al padre Alberto.
16) Dialettale. Sta per "panno di lino, per lo più tessuto a opera, con cui si copre la mensa. Tovaglia". Raffaele Andreoli, Vocabolario Napoletano-Italiano, Istituto Grafico Editoriale Italiano, Napoli, 1988, p. 233.
17) ACS, CPC, b. 3051, f. "Maresca…", cit., lettera del 16-11-1939, proveniente dal Belgio, firmata Gigino e indirizzata dal Maresca al padre Alberto.
18) Ivi, lettera inviata da Elvira Urciuolo alla madre il 29-9-1938.
19) Ibidem, copia di lettera del 16-11-1939, proveniente dal Belgio, firmata Gigino e indirizzata dal Maresca al padre Alberto.
20) Ibidem, lettera inviata dal Maresca alla madre da Charleroi il 10-101938.
21) Ibidem.
22) Ibidem, lettera del 16-11-1939, proveniente dal Belgio, firmata Gigino…, cit.
23) Ibidem.
24) Ibidem. Maresca non può saperlo, ma in quei mesi Mussolini, pieno di sé, gioca a fare lo statista. Nelle riunioni del Gran Consiglio, quando si discute della "questione tedesca", ascolta da Buffarini Guidi che "dà lettura del Bollettino riservato della Cultura Popolare sulla stampa estera [...] con una mimica espressiva: ironia, ira, noia, disgusto, disprezzo, passano sulla sua maschera. Si crea così uno stato d”animo già definito, che regolerà la discussione. Se discussione ci sarà". Egli crede che la guerra non ci sarà, ma è pronto a ogni avventura e alza la voce coi gerarchi: "Voglio farvi una dichiarazione cinica: nei rapporti internazionali non c’è che una morale: il successo. Noi eravamo immorali, quando abbiamo assalito il Negus. Abbiamo vinto e siamo diventati morali, moralissimi. [...] Cosa ci si chiede oggi? Di
mollare i nostri amici? Di fare un giro di valzer? Arrossisco pensando che si possa ancora pensare l’Italia capace di un giro di valzer. [...] Il problema per noi è un altro. E’ il rapporto di forze all’interno dell’Asse. [...] Fronte unico delle democrazie? Non se ne farà nulla. Gli Stati Uniti daranno cannoni a contanti. Insomma dobbiamo accresce la nostra statura nei confronti del nostro compagno dell’asse. Quando? dove? Lo vedremo". La questione tedesca al Gran Consiglio nel Diario di G. Bottai, in Renzo De Felice, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario. 1936-1940, Einaudi tascabili, 1996, pp. 878-79, ora in Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, a cura di Giordano Bruno Guerri, Rizzoli, Milano, 1989.
25) Come ha notato Mancini, la rappresentazione mussoliniana di una società italiana divisa in tre categorie - i fascisti, gli indifferenti e gli oppositori - risulta, alla prova dei fatti, un’astrazione del tutto inadeguata di fronte alla complessità della natura umana e, nello specifico, di una società segnata da una molteplicità di approcci alla politica. L’antifascismo di Maresca, che non è mai un "indifferente", ha radici in valori che il fascismo ha professato o fatto suoi per anni, sicché la sua opposizione può cedere il passo a un consenso che convive col dissenso, come nel caso della guerra d’Africa. Maresca, quindi, sfugge sia alla "classificazione" di Mussolini che alla categoria defeliciana del "consenso". L’una e l’altra, infatti, misurano su valori statici la dinamica della vicenda storica. Ugo Mancini, Il fascismo dallo Stato liberale al regime, Rubettino, Soveria Mandelli, 2007, p. 9.
26) Bertold Brecht, Vita di Galileo, traduzione di Emilio Castellani, Einaudi, Torino, 1974.
27) ACS, CPC, b. 3051, f. "Maresca…", cit., telegramma n. 2233 dell’8-5-1940 da Console di Charleroi a MI.
28) Ivi, telegramma n. 34/R 06848 del 13-5-1940 Da Ministero degli Esteri a Consolato di Charleroi.
29) Ibidem, telegramma n. 2233 dell’8-5-1940 da Consolato Charleroi a MI.
30) Ibidem, telegramma n. 63/1346 dell’11-6-1940, da Consolato di Charleroi a MI.
31) Ibidem, nota n. 107360 del 4-7-1940 e copia di una lettera inviata alla moglie dal Lussemburgo in data 16-5-1940 e intercettata dalla polizia dopo che è giunta inspiegabilmente a Monaco. .
32) Ibidem, nota n. 107360 del 21-7-1940, da prefetto di Napoli a MI.


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afragola
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Che bell’Italia quella di oggi!

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Prima: se si lavorava, si lavorava male (spesso “in nero”); paga misera; vita poco allegra.
Ora c’è la crisi: si lavora peggio (sempre più spesso “in nero”); molti di noi non lavorano più (perché licenziati o in cassa integrazione) e non sanno dove “sbattere la testa”; le indennità di cassa integrazione, di mobilità e di disoccupazione (quando ci sono) si aggirano sul 50-60% della paga “normale”; il costo della vita continua a crescere; si vive peggio, soprattutto se si ha da pagare l’affitto o il mutuo-casa.

E alla massima sicurezza “zero” del posto di lavoro si unisce la massima insicurezza “zero” sul posto di lavoro, dove gli operai continuano a subire infortuni devastanti, con la conseguenza di gravi invalidità (spesso permanenti e totali) e di morte.

Giornali, televisioni, politicanti ci raccontano che se stiamo male, se molti di noi si trovano in frangenti disperati, la colpa è solo nostra perché non ci accontentiamo mai (addirittura!); o perché facciamo troppi scioperi (non se n’è mai fatti così pochi da decenni!); o perché andiamo troppo in mutua (ci vorrebbero a lavoro anche con la febbre a 40!); o perché sul lavoro siamo fannulloni (come dice il ministro Brunetta, uno che s’è sempre fatto stipendi da nababbo, senza muovere un dito!).

Oppure, ci raccontano che la colpa è degli extra-comunitari, che vengono ad attentare alla nostra sicurezza e a quella delle donne italiane (prima, in Italia mafiosi, camorristi, trafficanti e spacciatori di stupefacenti, stupratori non sapevamo neppure cosa fossero!!!).

Insomma, ci raccontano che i nostri nemici siamo noi stessi e sono gli extra-comunitari.

Ma questa crisi drammatica riguarda tutto il mondo, anche i Paesi dove non si sciopera, perché non se ne ha il diritto; o dove i lavoratori in malattia non prendono il becco di un quattrino e le paghe sono molto basse; o dove la giornata lavorativa arriva a 12 ore e più; o dove non ci sono gli immigrati.

A proposito di immigrati, c’è da dire che anche le altre accuse che gli vengono fatte, di rubarci il lavoro e le case popolari, sono completamente false, non solo perché di questi tempi loro, come noi, vengono licenziati a decine di migliaia, ma pure perché occupano posti di lavoro che noi cerchiamo di non occupare per non farci distruggere la salute; e perché le case popolari non ci sono quasi per nessuno e loro vivono ammassati in alloggi di fortuna.

Allora, bisogna dire che responsabile di questo caos economico e sociale è la forma di organizzazione del lavoro più diffusa e generalizzata nel mondo, quella gestita dai capitalisti (parola che si dovrebbe riprendere a usare!), signori e signore che sfruttano il lavoro di miliardi di operai e non guardano tanto per il sottile, fino al punto che, se gli affari gli vanno male, per salvare se stessi ti buttano come un ferrovecchio.
Quindi i nostri veri nemici sono quelli che fanno i padroni del nostro lavoro e della nostra vita, e contro questi sarà il caso che lavoratori italiani e lavoratori extra-comunitari si uniscano tra loro, anziché farsi la guerra, come tenta di spingerli a fare il mucchio di menzogne che ci viene rifilato come informazione.

E, responsabile di prima grandezza, è il Governo. Perché ha regalato miliardi di euro a Colaninno&Compari per accaparrarsi Alitalia per 4 soldi e licenziare 10mila lavoratori; ai banchieri per continuare a prosperare sugli strozzinaggi praticati su chi ha bisogno di mutui; alla Fiat per ristrutturare e gettare sul lastrico 10mila lavoratori in provincia di Napoli; ai padroni di piccole e medie aziende per gratificarli con prestiti a fondo perduto e garantirsene il voto; ai grandi dirigenti pubblici per continuare a godere di stipendi e premi da “mille e una notte” e a portare allo sfascio le loro aziende.

E perché, dopo aver fatto finta di offrire un aiuto economico ai cittadini più poveri con una specie di elemosiny card (spesso trovata priva di credito!) del valore di un cappuccino al giorno, non scuce un quattrino in più della solita miseria delle indennità di cassa integrazione e di disoccupazione per chi viene sospeso dal lavoro o licenziato.
E non scuce un quattrino in più di un’elemosina per garantire reddito a lavoratori sospesi, dipendenti da aziende non coperte dalle leggi sulla cassa integrazione, o a lavoratori licenziati senza avere maturato il diritto all’indennità di disoccupazione.

La prospettiva è che arriveranno presto a 1 milione i lavoratori cassa-integrati e a 1milione i licenziati, ai quali entro il 2010 si prevede che se ne aggiungerà un altro milione; e che circa 150mila famiglie resteranno senza casa per non riuscire a pagare l’affitto nei prossimi 12 mesi, dopo che circa 100mila l’hanno persa per lo stesso motivo nell’ultimo anno.
In compenso, mentre i salari restano miseri e le pensioni ancora di più, il Governo sta progettando di portare da 60 a 65 anni l’età pensionabile per le donne lavoratrici e di bloccare la liquidazione per i dipendenti pubblici fino al 2013!!!

In questo quadro di estrema gravità economica e sociale, il Governo si prepara a fronteggiare possibili movimenti di lotta e di protesta, con leggi di persecuzione degli immigrati e contro il diritto di sciopero e la libertà di manifestazione. E, intanto, ricorre a provvedimenti prefettizi che vietano cortei in determinate zone di città come Bologna e Roma; scatena sempre più spesso poliziotti e carabinieri in tenuta anti-sommossa contro manifestanti operai e studenti; sguinzaglia l’esercito a dare man forte alle “forze dell’ordine”, come se le nostre città fossero sotto tiro di qualche nemico.
Una situazione, in cui si stanno facendo le prove per l’instaurazione di un “governo forte”, basato su leggi e pratiche da “stato di polizia”, funzionante cioè come un regime di tipo dittatoriale.

In questa stessa prospettiva il Governo e le Associazioni dei padroni, prima fra tutte Confindustria, si muovono per disciplinare l’attività sindacale, cercando di rendere impraticabile l’esercizio del diritto di sciopero, di ridurre al minimo le rivendicazioni salariali e di cancellare quel poco che resiste di democrazia nei posti di lavoro. E trovano la piena disponibilità di Cisl, Uil e Ugl, totalmente asservite a questo progetto antipopolare, che la Cgil e i sindacati di base sono, invece, impegnati a contrastare.

E non potevano mancare i fascisti, quelli delle squadracce (adesso chiamate “ronde”, che il Governo intende elevare ad organismi che collaborano al mantenimento dell’ “ordine”!), composte da individui appartenenti a partiti della destra di governo (in particolare, AN e Lega) e di quella extraparlamentare (Forza Nuova, La Destra, Casa Pound, Fiamma Tricolore, Fronte Nazionale, ecc.) e più o meno infarcite di “manovalanza” appartenente alla criminalità organizzata.
Hanno la funzione di mazzieri, di picchiatori, che ”eroicamente” aggrediscono con bastoni, coltelli e spranghe persone inermi che fanno parte di circoli culturali e politici di sinistra, studenti dei movimenti di lotta, omosessuali, mendicanti, migranti: tutti, visti e trattati come nemici del modello di società prediletto dalla classe dominante e dal suo Governo, e quindi da far vivere nel terrore.

Ma questa marmaglia è addestrata per “fare politica” anche in altro modo, infiltrandosi nelle tifoserie o nei quartieri popolari, per istigare all’odio contro le stesse persone bersaglio delle loro spedizioni punitive e per agitare demagogicamente temi economici e sociali: il costo della vita, gli affitti e le abitazioni, le bollette dell’acqua, della corrente e del gas, la disoccupazione. Tutto per inscenare proteste finalizzate non a raggiungere risultati utili a risolvere quei problemi, ma a determinare situazio
ni tali di tensione da legittimare provvedimenti governativi d’emergenza autoritari e liberticidi.

Fascistizzazione del tessuto statale e fascistizzazione del tessuto sociale: due facce della stessa medaglia, due percorsi che procedono, talora separati, talora intrecciati, a sopprimere la democrazia e, insieme, ogni diritto e ogni libertà. Non è un caso che, al tempo stesso, mai come in questo periodo, è tutto un cancellare e nascondere le vicende tanto simili a quelle che oggi in parte già sono realtà e in parte vengono preparate: le vicende orribili durate un quarto di secolo nell’Italia fascista del Novecento.
Cancellare la memoria e la conoscenza di questo passato, come ulteriore strategia per spianare la strada a progetti propri del fascismo.

A tutto questo attacco contro le nostre condizioni di vita e di lavoro e contro i nostri diritti e la nostra libertà, c’è bisogno di costruire una opposizione forte. Non come quella ufficiale recitata in Parlamento, che è inetta e inesistente, quando non subalterna. Un’opposizione sociale, di massa, nei quartieri popolari, nelle scuole e nell’Università, nei posti di lavoro. Un’opposizione che conquisti ciò di cui abbiamo bisogno.

Osservatorio sul fascismo - Pisa

fonte: [email protected]


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Anonymous
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Basta con questa storia che Alemanno e Berlusconi sono "fascisti", si legga questo articolo che dovrebbe chiarire i fatti:

http://www.cpeurasia.org/?read=23325

a no?
alemanno lo è sicuramente e berlusconi non solo è un fascistoide ma è un pregiudicato associato a mafiosi e delinquenti un buffone e se gli italioti lo votano vuol dire che gli assomigliano.
Per non parlare della p2.
Definire berloscazzo uno statista e come dire che almirante era comunista..
Inoltre per fascista intendo quelle persone che vogliono anzi pretendono di essere sempre e comunque nel giusto.


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Melkitzedeq
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Eresiarca…comprendo che qui non parli di una posizione politica, ma più precisamente un’idea.

Vedi “nessuno” Eresiarca non ha torto. Dal suo punto di vista sostiene un’ideologia. Ora chiamala come vuoi, ma se l’ideologia ha funzionato, ha funzionato.

“Libro e moschetto”. Non è quello che stà facendo Chavez? Non stà Europeizzando il Venezuela. Perchè? si stà inventando qualcosa di nuovo? (posso anche sbagliarmi).

Però ora la guerra non è più la stessa. Forse qui c’è un elemento sorpresa. Una volta gli uomini andavano in trincea, vivevano uno accanto all’altro e la loro vita dipendeva dagli altri e loro lo vedevano con i loro occhi. Oggi, coi “drones” i soldati stanno davanti ad uno schermo di computer ammassati in container calurosi o freddi, alienati, senza nessun senso di compagnerismo dovuto che ti ho salvato la vita. Ora i soldati, per quello che ho letto, tornano a casa con sindromi di tutti i tipi…ma chi cavolo vuole andarci?
Questò è il problema.

Così gli Americani, hanno deciso di andar ad arruolare minorenni (così ho letto sanza voler dire que questo è vero) e cercano arruolati nei bassifondi delle cittá.

Eresiarca…una volta avevamo dei patrioti, ora abbiamo degli arrualati alla meno peggio. Mercenari. BlackWarriors o BlackWater.

Tu davvero pensi, che oggi, si possa rifare quello che si fece? Dimmi, dove stà un ideologia da seguire? Dove stà l’idea che sa unire?

Secondo me e' ovvio che un fascismo esattamente come era tanti anni fa non potra' mai piu' tornare, il fascismo di Mussolini e' morto e sepolto.

Pero' mi sono sempre chiesto perche' nonostante il fascismo sia morto e sepolto dopo ormai tantissimi anni la propaganda antifascista continua incessante e anzi sembra aumentare con il passare degli anni. Sembra quasi che le classi dirigenti al potere in Europa, l'alta borghesia e gli intellettuali, vivano nel massimo terrore che il fascismo "torni" da un momento all'altro. Ma appurato che Mussolini non puo' resuscitare io penso che questa massiccia propaganda serva ad impedire che a tornare non sia tanto il fascismo "storico" ma la sostanza del fascismo ovvero la sovranita' nazionale e popolare, ovvero l'italianita' che si fa volonta' di potenza.

Questo discorso e' spiegato in maniera piu' articolata in questi articoli il cui contenuto condivido in pieno:

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http://www.cpeurasia.org/?read=19937
http://www.cpeurasia.org/?read=19421
http://www.cpeurasia.org/?read=16777
http://www.cpeurasia.org/?read=7479
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http://www.cpeurasia.org/?read=19937
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Melkitzedeq
Eminent Member
Registrato: 2 anni fa
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Tratto da Emilio Gentile, "Fascismo, storia e interpretazione":

La distinzione tra fascismo e destre tradizionali, conservatrici o reazionarie, è stata ribadita dagli storici contemporanei. Rene' Remond ha affermato che il fascismo non può essere identificato con la reazione pura e semplice, con la controrivoluzione, perchè sono profondamente diverse le loro caratteristiche storiche, ideali, sociali e politiche:

"Fra la controrivoluzione nel senso originale del termine, cioè la tendenza che, nel XIX secolo, lotta per cancellare le conseguenze della rivoluzione francese, e che esprime una volontà sistematica di restaurazione del passato, di ritorno all'antico regime, e il fascismo, le differenze sono considerevoli. A suo modo, il fascismo deriva dalla democrazia. Senza la rivoluzione del 1789 e il trasferimento di sovranità dal monarca al popolo, il fascismo sarebbe inconcepibile. Il fascismo si richiama alla sovranità nazionale. Senza dubbio se l'accaparra, però la presuppone. La sua legittimità non ha nulla a che fare con la legittimità dell'Antico Regime, che trovava la sua giustificazione nel passato, nell'ordine naturale e nella tradizione(1)."

1) R. Remond, Introduzione alla storia contemporanea. Il XX secolo, trad. it., Milano 1976, p. 127.

Quindi:

1) Non puo' esserci alcun fascismo se PRIMA non c'e' il requisito minimo necessario della sovranita' nazionale.

2) I vari sedicenti fascisti e neofascisti (estrema destra), anche se sono antiamericani a parole, proprio perche' non pongono il recupero della sovranita' nazionale (e continentale) al primissimo posto del loro programma sono, per questo motivo, per nulla fascisti, ma anzi utili idioti.

Se esiste in Italia un movimento che si richiama in maniera netta e chiara alla sovranita' nazionale e alla cacciata di tutte le basi militari e ingerenze straniere sul territorio, quello e' sicuramente un movimento "fascista".


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