Fenomenologia dei black-bloc (e della sinistra che non c’è)
La rivoluzione è una cosa seria.
Sia per chi la fa sia per chi la subisce. Ma soprattutto è cosa seria per un popolo che si ritrova a viverne le conseguenze. Quali che siano.
VIOLENZA
Karl Popper, quasi unanimemente considerato il più efficace distruttore di Marx e delle sue idee rivoluzionarie, nel 1945 ebbe a scrivere che «la violenza è di gran lunga l’elemento più dannoso del marxismo».
Poche righe più avanti aggiungeva che soltanto in un caso la violenza poteva essere giustificabile: qualora il potere in carica non potesse essere pacificamente sostituibile dal popolo tramite delle libere elezioni.
Insomma, concludeva l’autore di The Open Society and Its Enemies, la democrazia è quel sistema in cui un potere può essere sostituito con un altro in maniera pacifica, attraverso delle elezioni generali da cui non fosse escluso nessun cittadino.
Sennonché, il buon Popper, che scriveva a seconda guerra mondiale appena conclusa, dimenticava che al tempo di Marx era proprio quella democrazia a mancare.
La grande maggioranza del popolo, infatti, veniva esclusa dal poter prendere parte alle libere elezioni.
A chi volesse rivoluzionare un sistema anti-democratico, insomma, in cui a fare il bello e il cattivo tempo nonché a sfruttare e umiliare le vite di milioni di lavoratori, era un «capitalismo selvaggio» e incontrollato (per ammissione dello stesso Popper), non rimaneva che la via impervia e suprema della rivoluzione violenta.
Rivoluzione violenta che però, sia chiaro, il grande pensatore ed economista di Treviri immaginava in forme sempre e comunque organizzate e razionali, senza affatto escludere, anzi, l’alleanza pacifica e prolifica con quegli elementi della borghesia che manifestassero l’intenzione di una società più giusta e democratica.
DEMOCRAZIA
Oggi deve essere chiaro che ci troviamo di fronte a poteri economici e finanziari che impongono misure drastiche e anti-democratiche alle popolazioni. In nome di dogmi mercatisti di cui si è già avuto modo di sperimentare abbondantemente gli effetti nefasti e ad esclusivo beneficio di face ristrettissime e privilegiate della popolazione.
Gli stessi governi nazionali, qualora democraticamente eletti (perché non dobbiamo dimenticarci che, per esempio in Italia, sono anni che a dettare l’agenda politica non è un governo nominato da una maggioranza eletta dal popolo), si trovano costretti a mettere in atto politiche imposte da istituzioni internazionali tutt’altro che democratiche, in seguito ad accordi e trattati stipulati alle spalle delle stesse popolazioni che si trovano a subirne gli effetti più devastanti.
Di capitalismo selvaggio si trattava ai tempi di Marx, di capitalismo selvaggio e sciagurato (perché c’è l’aggravante di non aver appreso nulla dalla Storia) si tratta oggi.
Milioni di giovani, ma anche adulti, famiglie, etnie, vedono il proprio futuro oscurato da un modello sociale che non offre speranze. Perché bloccato e imbarbarito da meccanismi impersonali che favoriscono soltanto il più forte e consentono il privilegio di chi vanta appoggi e protezioni altolocate.
RIVOLUZIONE
Allora come oggi la rivoluzione di un sistema così ingiusto e deleterio per le sorti di milioni di persone è una faccenda tremendamente seria e fondamentale.
Oggi come allora urgono programmi adeguati e concreti, proposte volte alla costruzione di un sistema alternativo e di una forza politica che possa raccogliere il consenso della maggioranza delle persone e dei loro bisogni.
Distruzioni, vandalismi, violenza fine a se stessa, manifestazioni disorganiche di esasperazione individuale e collettiva servono solo a dimostrare la rumorosissima, e tragica, assenza di un progetto politico serio, l’incapacità di rigenerazione culturale, morale ed estetica (sì, perfino estetica!) di un popolo (un’Europa!) allo stremo.
Certo, una buona dose di cretinismo irrimediabile, specie quando il disagio e il malessere si ritrovano in piazza, bisogna sempre metterlo nel conto.
Basti solo pensare a quello scempio settimanale che si verifica nel nostro Paese ogniqualvolta avviene una partita di calcio. Di serie maggiore o minore.
Ogni volta ci sono frange di tifoserie violente che si organizzano soltanto per dare sfogo alla propria frustrazione e violenza represse, per spaccare treni, teste, automobili, caschi della polizia. Per spaccare tutto.
IPOCRISIA
Ma nel caso dei violenti che spaccano tutto indossando la maschera di una rivoluzione finta e totalmente sterile si deve essere implacabili. Alcuni di loro sono figli di buone famiglie, quelle stesse buone famiglie che poi gli garantiranno posti privilegiati e rendite garantite molto spesso alla faccia di qualunque criterio meritocratico.
Nulla che il nostro Paese non abbia già visto, del resto, quando a cadere vittima di quella «malattia infantile» che è l’estremismo erano proprio quegli elementi provenienti da famiglie e condizioni sociali più privilegiate e protette. Che sfogavano i propri furori intellettuali producendo vittime assai concrete che quasi mai erano loro stessi.
Loro che, a battaglia finita, mentre i poveracci vedevano le proprie vite rovinate per sempre, si ritrovavano automaticamente in posti garantiti, ben pagati e socialmente prestigiosi.
Salvo poi, un bel giorno, prendersi anche il lusso estremo di dire che loro no, giammai loro erano stati comunisti, rivoluzionari, alla ricerca di un mondo più giusto e democratico.
Perché in fondo il mondo più giusto e adatto per loro è proprio quello che gli ha garantito qualunque cosa e qualunque privilegio, sia quando allora tiravano bombe molotov contro i poliziotti figli di famiglie umili, sia quando oggi vendono il proprio vino a chi lo deve comprare (coi soldi della gente che si unisce in cooperativa) o propinano i propri film ipocritamente nostalgici e comunque inguardabili a una finta intellighenzia comunque plaudente.
UNA NUOVA SINISTRA
Io qui, proprio qui dico che no, non si può applaudire a quei film inguardabili, che raccontano una storia tradita dagli stessi sciagurati registi, come non si può farlo di fronte a coloro che non trovano di meglio da fare, per reagire a un regime profondamente ingiusto e anti-democratico (sia chiaro!), che scendere in piazza per spaccare tutto, comprese le automobili e le vetrine di persone che adesso si troveranno in una difficoltà e in un disagio ancora più opprimenti e drammatici.
Una Sinistra degna di questo nome deve opporsi a tutto ciò e prenderne le distanze. Ma soprattutto deve saper ricreare un progetto serio, argomentato, credibile, un nuovo modello di società a cui possano aderire le energie pacifiche, radicali, progressiste e alternative di una popolazione che vuole un mondo migliore
e per ottenerlo non è disposta a passare attraverso quello peggiore, impregnato di violenza gratuita, sfascismo collettivo, estremismo velleitario e irresponsabile.
Una Sinistra che smetta di essere sempre e solo contro perché ha un suo progetto per cui essere a favore. Costruttiva. Propositiva.
Una sinistra che dopo tanto, troppo tempo torni a comprendere che la rivoluzione è una cosa terribilmente seria.
Paolo Ercolani
Fonte: www.ilmanifesto.info
4.05.2015
Già la signora Norma Rangeri domenica sul giornale "comunista" aveva usato parole di fuoco contro i BB.
A me queste parole ricordano quelle che usarono i dirigenti comunisti di allora (1962) all'indomani dei fatti di Piazza Statuto a Torino ( http://www.chicago86.org/archivio-storico/lotte-operaie-anni-60-70/scontri-di-piazza-statuto/103-la-rivolta-operaia-di-piazza-statuto-del-1962.html).
Insomma, potete pure citare Marx e il reazionario filosofo Popper, ma poi non si coglie il nocciolo della questione vera: se la rivoluzione è una cosa seria, a parlarne non possono essere certo quelli de "ilmanifesto" con gli stessi toni che usò il PCI per sputtanarli quando fondarono il giornale. Insomma, siete ammalati dello stesso male che si combatteva allora?
Compagno Berlinguer
Non lo scordare mai
Democrazia vuol dire
Armi agli operai.