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Finisce la crisi economica e comincia quella politica


Tao
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Prima l'Islanda, poi l'Irlanda, ora la Grecia. Gran parte dell'Europa è intrappolata in ineludibile debito e paesi in bancarotta, il risultato di banche che crollano, di salvataggi bancari e di disoccupazione rapidamente crescente. Gli USA ed il Regno Unito osservano a distanza, sapendo che il loro turno è prossimo. L'elite corporativa europea — come la sua controparte americana — ha profuso incessante plauso alla "audace tuttavia necessaria" decisione di salvare le banche; presumibilmente l'economia è stata salvata dal "crollo imminente". Ma ad ogni azione corrisponde una uguale ma opposta reazione. Salvare le banche ha salvato le estremità di dozzine di banchieri europei, ma ora milioni di lavoratori stanno per sperimentare un fragoroso calcio nel sedere. All'insaputa della maggior parte degli europei, il denaro pubblico che ha finanziato i salvataggi bancari ha creato un massiccio problema di debito pubblico, da risolversi tagliando drasticamente i programmi pubblici che vanno a vantaggio dei lavoratori e dei poveri. Ciò ammonta ad uno sfacciato trasferimento di miliardi — forse di trilioni di dollari — di ricchezza pubblica, lontano dalla maggioranza dei cittadini verso una crosta parassitica di banchieri.

Queste "dure decisioni" dovrebbero funzionare da avvertimenti per la classe lavoratrice americana, dal momento che anche l'elite corporativa USA ha progetti ben delineati su chi deve pagare per i suoi colossali bagordi di spesa in regali alle banche e guerre all'estero. (suggerimento: non sono loro). Il massiccio ammontare di obbligazioni governative stampate per pagare i salvataggi bancari globali sono stati acquistati da investitori globali (capitalisti). Per questi avvoltoi, le obbligazioni governative sono un eccellente investimento quando l'economia crolla e giocare d'azzardo sulle azioni diventa aspro. Ora questi investitori vogliono essere certi che i governi pesantemente indebitati siano in grado di saldare. E stanno diventando impazienti. Una buona sbirciata nella mente dell'investitore globale può vedersi in una qualsiasi delle tre "agenzie di valutazione del credito" globali — Moody’s, Standard and Poor’s e Fitch. Queste società danno dei "voti" ai debitori — governi federali, società, governi statali e comunali ecc. — basati sul loro "valore di credito". Avere il voto abbassato significa che gli investitori dovrebbero indietreggiare e chiedere tassi di interesse sui prestiti più alti, se vengono fatti affatto dei prestiti. Ricevere una "B" invece di una "A" può fare la differenza per un paese povero che voglia costruire un'autostrada, un ospedale o una scuola. Recentemente Moody’s ( http://www.nytimes.com/2009/12/19/business/economy/19charts.html ) ha pubblicato il suo famigerato "indice della miseria" — i paesi che sono affondati di più nel debito e meno in grado di ripagarlo, che richiede che vengano intraprese delle "misure speciali" per provare agli investitori che questi governi siano in grado di rimborsare i prestiti. I maggiori perdenti dell'indice della miseria non sono stati una sorpresa e hanno incluso i summenzionati paesi europei. Comunque, classificatisi giusto dietro la fallita Islanda vi erano gli Stati Uniti:  l'un tempo fiera superpotenza è ora una carcassa oppressa dal debito, con avvoltoi investitori che le girano attorno in alto. Moody’s sta avvisando i ricchi investitori di essere cauti con i paesi precedentemente ricchi insolventi sui prestiti, che, in altre parole, stanno andando in bancarotta. Pierre Cailleteau ( http://www.finfacts.ie/irishfinancenews/article_1018682.shtml ) , direttore della valutazione del credito delle nazioni di Moody’s, spiega perché: "Ciò è principalmente a causa della crisi delle finanze pubbliche [salvataggi bancari più disoccupazione] che ha assediato molti paesi ricchi in quello che Moody's ritiene sarà lo stadio finale — ed in modo sconvolgente durevole — della crisi".

Questo è quello che oggigiorno passa per ottimismo. Moody’s chiede che le nazioni meno ricche, come Grecia, Irlanda, Spagna ecc., intraprendano delle azioni immediate per rendere felici i ricchi investitori. il Washington Post ( http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2009/12/21/AR2009122103522.html?hpid=topnews ) spiega la situazione dell'Irlanda: "Più di $4 miliardi di tagli,,,ridurranno drasticamente i salari di 400.000 dipendenti statali mentre costituiranno dolorose riduzioni di benefici per gruppi come le vedove e le madri singole, i ciechi ed i bambini disabili". Sono stati tagliati anche i sussidi alla disoccupazione di almeno il 30%". (22 dicembre 2009). Gli USA ed il Regno Unito non necessitano di tagli immediati, ma devono concepire dei piani immediati per porre in atto tagli importanti, spiega il portavoce di Moody’s Cailleteau: "...questo sarà l'anno [2010] nel quale entrambe i governi degli USA e del Regno Unito dovranno articolare un piano credibile per affrontare i loro problemi di grande debito". John Chambers di Standard & Poor’s è stato più sincero: "Il governo USA, come il governo del Regno Unito, i greci e gli irlandesi, avrà bisogno di contrarre lo stimolo fiscale, ridurre le spese [fare tagli], aumentare le entrate [tasse] e probabilmente di guardare con attenzione ai tagli nei loro programmi sui diritti acquisiti" — sicurezza sociale, sanità, istruzione ecc. Questa non è una notizia per il presidente Obama. Mentre estendeva i salvataggi bancari di Bush, Obama ha preso tempo per calmare i nervi degli investitori, che ha visto un'esplosione del debito della quale si sarebbe dovuto presto occupare. E' per questo che Obama ha promesso al Washington Post <http> che avrebbe "riformato i programmi sui diritti acquisiti". (16 gennaio 2009). Questo doveva farsi dopo che l'economia si era stabilizzata. E' quasi ora. I media mainstream andranno sicuramente all'offensiva per appoggiare il nostro presidente di proprietà delle corporations nel suo assalto ai programmi sociali da lungo amati dalla classe lavoratrice americana. Ci sarà raccontato che non vi è "nessun'altra opzione", quando di fatto ve ne sono. Non soltanto la spesa militare potrebbe essere ridotta di centinaia di miliardi di dollari l'anno, ma potrebbero essere aumentate significativamente le tasse per i molto ricchi. Se il vertice dell'1% degli americani più ricchi fossero tassati al 90%, centinaia di milioni di americani se ne avvantaggerebbero, dal momento che l'istruzione pubblica, assieme alla sanità ed alla sicurezza sociale verrebbero salvate. Barack Obama presto perseguirà una politica che George Bush Jr. non avrebbe mai osato tentare. Deve essere respinto ad ogni passo.

I sindacati americani dovrebbero guardare all'Europa per l'ispirazione su come trattare con l'assalto imminente: dimostrazioni di massa ed azioni di sciopero unitarie saranno l'unico modo per mettere pressione sufficiente su un governo che applica un programma corporativo solidamente di destra. L'instabilità politica che attualmente inghiottisce l'Europa verrà presto esportata negli Stati Uniti — non dobbiamo essere sorpresi non preparati. La questione del giorno è chiara: a qualcuno la crisi economica deve essere fatta pagare. L'elite corporativa progetta di portare il suo peso sulla classe lavoratrice. La classe lavoratrice deve respingerla. I sindacati e le organizzazioni delle comunità dovrebbero cominciare ad organizzarsi ora in anticipo, con richieste di tassare i ricchi e le corporations e di salvare la sicurezza sociale, la sanità e l'istruzione pubblica.

Versione originale

Shamus Cooke ( [email protected] ) operatore dei servizi sociali, sindacalista e giornalista per Workers Action.
Fonte: http://www.workerscompass.org/
23.12.2009

Versione italiana:

Fonte: http://freebooter.interfree.it/
28.12.2009

Traduzione
a cura di FREEBOOTER


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