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Tao
 Tao
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E Gorbaciov sussurrò "È molto più della sua metà"

Elena Bonner, la donna minuta che diede forza al fisico critico dell’Urss

L’ ultima volta che la vidi fu sei anni fa, a Torino. Il Forum della Politica Mondiale aveva organizzato un grande incontro internazionale sui 20 anni della perestrojka. Mikhail Gorbaciov, che quel Forum presiedeva, aveva curato personalmente la lista degli oratori e degl’invitati, cioè di coloro che riteneva doveroso chiamare a ricordare un grande momento di cui erano stati testimoni. In qualche caso protagonisti.

Voleva che ci fossero tutti, amici naturalmente, ma anche nemici, coloro che lo avevano aiutato e coloro che lo avevano tradito.

Era stato proprio Gorbaciov a proporre di includere Elena Bonner tra le personalità invitate. Ne fui sorpreso perché tra Elena Georgievna e Gorbaciov non era mai corso buon sangue. Lei, anticomunista irriducibile, combattente da una vita per i diritti umani, era stata, tra gl’intellettuali filo-occidentali, nella schiera di coloro che fino all’ultimo, fino alla caduta di Gorbaciov, avevano ritenuto non sincero, non affidabile un leader che guidava il Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Semplicemente non gli credevano, ritenevano impossibile che, da quell’apparato, anzi dal suo vertice supremo, potesse venire qualche cosa di buono.

Lei non gli credeva. Non gli credette nemmeno quando il nuovo segretario generale del Pcus, meno d’un anno dopo essere salito alla carica, nel 1986, scambiò con Andrei Sacharov una corrispondenza rispettosa e definitiva e lo fece tornare a Mosca dal lungo esilio in cui era stato costretto.

Gorbaciov sapeva di questa inimicizia e sapeva che non sarebbe mai stata superata. Lo sapeva lui anche perché di questa inimicizia gli veniva riferito da Nikolai Kriuchkov, allora capo del Kgb e, in seguito, il vero numero uno del golpe di agosto del 1991.

Spesso era stata lei, Elena Georgievna, a spingere il marito verso posizioni sempre più radicali, fino alla rottura quasi totale con quel Gorbaciov che lo aveva fatto tornare con tutti gli onori dall’esilio di Gorkij, che gli era stato comminato da Leonid Breznev per avere criticato con la massima durezza l’intervento sovietico in Afghanistan.

Dopo Breznev era arrivato Jurij Andropov, poi Konstantin Cernenko e Sacharov era rimasto in quel di Gorkij (oggi Nizhnij Novgorod) senza comunicazioni con l’esterno. Era città chiusa agli stranieri e Elena Georgievna faceva la spola tra l’esilio del marito (un piccolo appartamento di tre stanze in un quartiere popolare, al primo piano) e Mosca, dove l’aspettavano i giornalisti occidentali per riferire al mondo le parole di un Sacharov che non taceva.

Ma Gorbaciov guardava dall’alto di chi ha già salito i gradini della storia. «Andrei Dmitrievic non c’è più ma Elena Georgievna era molto più della sua metà, quando lui era in vita, ed è dunque giusto che ci sia a celebrare la perestrojka», disse con un sorrisetto, strizzando gli occhi come fa di solito quando è sicuro di avere ragione. La vera questione era se Elena Bonner avrebbe accettato quell’invito. A suo modo era una verifica interessante. Gorbaciov disse: «Verrà, quando avrà visto la lista degl’invitati». E, infatti, venne, e parlò. E, tra la sorpresa generale, rese, per così dire, l’onore delle armi all’ex nemico in un discorso quasi affettuoso. La ricordo, in una pausa dei lavori, in un momento che, sfortunatamente, nessuno dei fotografi e dei cineoperatori riuscì a fissare. Lei, Gorbaciov e Andrei Sharanskij.

Andrei Sacharov era morto da qualche anno e Elena aveva preso in mano le redini di quella che sarebbe diventata una fondazione: il luogo della sua memoria politica e, soprattutto, morale. Sacharov era stato un genio della fisica, a cui l’Unione Sovietica era debitrice di tutti i più importanti sviluppi della «bomba», di quella atomica, s’intende, cioè della «parità strategica» di cui proprio Leonid Breznev era divenuto il padre politico. Poteva essere represso in un solo modo, esiliandolo. Se non ci fosse stata lei sarebbero riusciti a renderlo muto. Se non ci fosse stato Gorbaciov, Andrei Sacharov non sarebbe diventato membro del Parlamento Sovietico, con un sistema elettorale così lambiccato e stravagante che sembrava fatto apposta affinché l’Accademia delle Scienze dell’Urss potesse eleggere Sacharov.

Dietro di lui, attimo per attimo, a sostenerlo, a guidare i suoi incontri, a preparargli l’agenda, a suggerirgli ogni mossa, c’era Elena, alias Lusik Alikhanova. L’aveva sposato, in seconde nozze, nel 1972, quando lui era ancora nell’ombra politica, ma era da tempo nell’empireo della fisica mondiale. Con lei Andrei Dmitrievic fece il grande salto dalla scienza alla politica. Nel 1975 fu Elena ad andare a Oslo a ritirare per conto del marito, prigioniero della sua scienza «sovietica», il Premio Nobel per la Pace.

Fu lei - questo il mio primo ricordo di Elena Bonner - ad aprirci la porta dell’appartamentino in cui vivevano, nella via Chkalova, sul Sadovoe Kolzo, non lontano dalla stazione Kurkskaja, in quello stesso giorno del suo ritorno da Gorkij. Eravamo in due. Io, allora corrispondente da Mosca per L’Unità , e con me Fiammetta Cucurnia, corrispondente della Repubblica . Eravamo andati alla stazione Jaroslavskaja, per aspettare quel treno che lo avrebbe restituito a una vita che non sarebbe più stata normale, né per lui né per nessuno di noi. Alla stazione c’era una folla di giornalisti di quella che avremmo visto nelle grandi occasioni degli anni successivi. Non c’era, sulla banchina, un centimetro quadrato disponibile. Le telecamere erano già diventate aggressive come cani rabbiosi. Tutti volevano una dichiarazione, ma Andrei Dmitrievic non si fermò, non disse molto, sorrideva come un bambino di fronte a un assalto che sembrava coglierlo di sorpresa.

Noi - ancora adesso non so capacitarmi del colpo di fortuna, anzi dei diversi colpi di fortuna che ci capitarono quella mattina - sgattaiolammo fuori dalla calca infernale e corremmo in via Chkalova dove, qualcuno ci aveva detto, forse sarebbe andato Andrei Sacharov. Ma era una scommessa. Ufficiosamente era stato detto che non avrebbe fatto dichiarazioni.

Salimmo sull’ascensore di un portone dignitoso, come quelli che spettavano a un modesto professore universitario. Con l’idea che non avremmo trovato nessuno. Invece Elena Bonner venne ad aprire. Io pensavo che, se le avessi detto che ero corrispondente di un giornale comunista, mi avrebbe sbattuto la porta in faccia. Invece non lo fece. Si spostò di lato e fece cenno di entrare. Seduto in poltrona, nella stanza attigua all’ingresso, Andrei Dmitrievic sembrava assorto. Entrammo, eravamo solo noi due, ed eravamo i primi. Così incontrai, per la prima volta, Andrei Sacharov e Elena Bonner. In casa loro.

Nella foto: Elena Bonner e Andrei Sacharov nel 1987 a Mosca di ritorno dall’esilio a Gorkij

Giulietto Chiesa
Fonte: www.lastampa.it
19.06.2011


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