Di Daniele Florian
L’ Uroboro, detto anche Oroboro o Uroboros, è un antico simbolo utilizzato nell’ alchimia e nell’ ermetismo, raffigurante un serpente che si morde la coda, ricreandosi continuamente in uno strano anello, formando così un cerchio.
L’ Uroboro rappresenta la natura ciclica delle cose, l’ eterno ritorno della vita e della morte, e tutto ciò che trova il proprio inizio dopo aver raggiunto la propria (apparente) fine.
E’ vagabondando per il sconfinato mondo del web (e su segnalazione di un amica ecologista) che pochi giorni fa mi sono imbattuto in Ecosia, il motore di ricerca che si autodefinisce “ecologico”.
Incuriosito da quale meccanismo potesse permettere ad un algoritmo di ricerca di aver salvato fino ad oggi 20,781,576 metri quadrati di foresta amazzonica (questa la dichiarazione sul sito) ho cercato qualche spiegazione.
In definitiva, il benefit ecologico non avviene ad ogni ricerca effettuata, ma solo qualora l’ utente clicchi su uno dei banner pubblicitari esposti all’ interno del motore. Ecosia infatti si appoggia in realtà ai motori di ricerca di Bing e Yahoo, e l’ 80% dei ricavi dovuti agli sponsor (ovvero l’ 80% della parte che Bing cede ad Ecosia) viene devoluta per sostenere un progetto di protezione della foresta pluviale gestito dal WWF.
Un pò più contorto del previsto, in effetti.
Ecosia, inoltre, garantisce di disporre di server alimentati ad “energia verde”, ma questa affermazione non è molto trasparente dal momento che i server utilizzati per la ricerca sono appunto quelli di Bing e Yahoo, e questi non dimostrano l’ utilizzo di particolari precauzioni ecologiche, se non la presentazione di un progetto futuro di alimentazione per il 90% dei server grazie all’attività energetica idroelettrica delle Cascate del Niagara.
Oltre alle perplessità lasciate da questo meccanismo, l’ esempio di Ecosia può portarci ad analizzare uno dei processi sociali ormai maggiormente diffusi e grazie al quale ilmodello consumistico procede a grandi passi.
Se da un lato è vero che con un click su questi banner il WWF avrà due centesimi in più per difendere un ebano venezuelano, così perchè non dovremmo pensare a quei due centesimi che Bing porterà alle casse di Microsoft, finanziando un colosso internazionale responsabile delle tante fabbriche-lager di Foxconn nelle quali lavoratori sottopagati ogni giorno valutano seriamente l’ idea del suicidio?
Siamo di fronte ad uno spettacolo già visto e rivisto, quello della soluzione proposta insieme al problema, della redenzione dal peccato del consumismo grazie ad un consumo ulteriore, e di un meccanismo davvero ben congegnato per suggestionare e moltiplicare le vendite di qualsiasi prodotto.
Come suggerisce Slavoj Zizek, è sufficiente entrare in un qualsiasi Starbucks per scoprire iniziative come il “Shared Planet”, grazie al quale la catena alimentare asserisce di favorire il commercio equo e solidale più di ogni altra azienda al mondo, garantendo agli agricoltori un prezzo equo per il loro duro lavoro.
Insomma un modo rapido, indolore e vicino a casa per garantire un futuro migliore a tanti bambini Guatemalesi.
Perchè una comunità agricola per garantirsi i diritti debba appoggiarsi ad una multinazionale e al suo relativo immenso sistema di distribuzione rimane un mistero, ma chiudiamo un occhio.
Che dire poi di McDonald’s, bersaglio preferito dai boicottatori di tutto il Mondo, e di cui sono ben note le criticità esposte anche in questo blog, dall’ utilizzo di OGM in collaborazione con Monsanto alla violazione dei diritti umani nelle fabbriche vietnamite produttrici di giocattoli.
Tuttavia McDonald’s è fiero di presentare i suoi progetti umanitari, tra i quali spicca la celebre Fondazione per l’ Infanzia Ronald McDonald’s, “organizzazione no profit che crea, trova e sostiene progetti che contribuiscono a migliorare in modo diretto la salute e il benessere dei bambini in tutto il mondo”, e sul cui sito possiamo venire a conoscenza della aberrante possibilità di donare il 5×1000 a McDonald’s!
Tutti questi esempi, oltre che mostrare palesi contraddizioni nel rispetto dei diritti umani da parte di questi organi, mettono alla luce la vera natura di queste iniziative pseudo-umanitarie: non sarebbe infatti necessario apportare il nome di un prodotto a progetti di questo tipo se il tutto non fosse solo un mero tentativo di campagna pubblicitaria di bassissimo livello.
Sfruttando gli stessi principi morali nel rispetto dei quali l’ opinione pubblica si oppone al modello consumistico, il mondo produttivo riesce a convincere il consumatore ad un ulteriore acquisto, considerato ora un “acquisto buono”, un “consumo sociale”, di un“capitalismo etico”.
Ma che il capitalismo sia ricco di contraddizioni non è cosa nuova: contraddizioni interne ed esterne, che portano significati fuorvianti ai termini di “produzione” e di “progresso”, che causano gli stessi problemi che il capitalismo si trova ad affrontare, e a causa dei quali esso è inevitabilmente condannato a collassare su sè stesso in quella crisi che è la crisi di un intero apparato sociale ed economico.
Attendere a braccia conserte ogni prossimo sviluppo può essere però pericoloso, quando la crisi che stiamo attraversando colpisce direttamente e realmente anche la sfera sociale, ambientale ed umana del nostro pianeta; e d’ altro canto non è certo grazie ai sandwich ecologici del pagliaccio Roger che la faunea del Borneo sentirà un miglioramento. Piuttosto vale forse la pena riconsiderare le nostre stesse abitudini di vita, sapendo che non è solo un boicottaggio che garantisce processi equi di produzione, che una qualsiasi scelta politica è reale solo se condivisa e che ai serpenti, per fermali, gli si deve tagliare la testa.
Da Liberarchia
http://informazioneconsapevole.blogspot.it/2012/03/gli-uroboro-del-capitalismo-gli-esempi.html
bell'articolo, cita particolareggiatamente i numerosi casi di quella sporca tecnica di marketing detta green washing