Richiama un’attenzione pettegola su un aspetto del tutto secondario del costo della politica, mentre lascia in ombra l’essenziale di Franco Cangini
Roma, 19 marzo 2012 - È il dito che indica la luna. Grazie ai rendiconti annuali delle paghe dei parlamentari, il popolo fa i conti in tasca ai suoi rappresentanti, ne ricava la conferma dei pregiudizi sulla esagerata sproporzione del rapporto tra costi e benefici del lavoro politico. Sempre più convinto che aspettarsi qualcosa di buono dalla vituperata partitocrazia significhi confondere la malattia con il medico.
La verità è che la pubblicità data alla paga dell’onorevole è ingannevole. Richiama un’attenzione pettegola su un aspetto del tutto secondario del costo della politica, mentre lascia in ombra l’essenziale. Può darsi che le buste paga di deputati e senatori siano più pesanti di quelle dei loro colleghi di democrazie più sparagnine della nostra, ma gravano come una piuma sul costo complessivo della nostra politica. Una placcatura dorata sulla piramide di piombo che schiaccia il Paese in zona retrocessione, in un’Europa già di suo in retrocessione rispetto allo sprint delle economie di altri continenti.
Non è una questione di stipendi, più o meno sudati. E nemmeno è questione dell’incidenza sul costo della politica della corruzione rampante che fa dell’Italia una barzelletta globale, raccontata dalle sadiche graduatorie che ci consegnano alla retroguardia dei regni del malaffare.
Alla faccia dell’epica dei paladini di Mani pulite. E — spiace dirlo — alla faccia delle sacrosante prediche del presidente Napolitano e della Conferenza episcopale, a contrappunto della grandinata degli scandali che dall’Alpi al Lilibeo unifica il sistema politico in un disinvolto tangentificio che non risparmia nessun partito.
È bello che qualcuno si preoccupi di richiamare i servitori della cosa pubblica al dovere di praticare le virtù repubblicane. Bello e ininfluente, perché nemmeno la corruzione è il nocciolo della questione italiana. Il problema è un altro. Identificabile con l’esistenza di una massa di persone, quantificata in mezzo milione, che vivono di politica, nazionale o locale con un costo complessivo di quasi 25 miliardi.
Come dire il 2% del Pil. Non sarebbero tante, se Stato e dintorni non fossero diventati enormi e invasivi come un gatto castrato, che succhia le risorse e blocca la ripresa. Lo sappiamo tutti, che se non si taglia la spesa pubblica l’oppressione fiscale finirà per schiacciarci e volgere in tempesta il vento di rivolta che è già nell’aria. Tra spread che scende, disoccupazione che sale e umor nero galoppante. Ma nessuno mette mano alla scure: nemmeno per tagliare (davvero) i 17 miliardi sprecati per le inutili Province.
di Franco Cangini
http://qn.quotidiano.net/politica/2012/03/20/683865-stipendi-parlamentari-costi-della-politica.shtml
... ora tenendo a mente i 500 mila che vivono di politica... incollati con il bostik sugli scranni delle Regioni Province e Comuni... indovinate un po' a chi tocca sacrificarsi per il bene del paese?
Per chi se lo vuole leggere, l'articolo 1 del dl 138/2011, interpretando e traducendo il burocratese, non sarà difficile rendersi conto di quello che si prepara. Al confronto, la stretta sulle pensioni è stata solo un buffetto sulla guancia. I primi ad esser fatti fuori - ma con loro sarà facile - saranno i quasi 450mila precari operanti nel settore pubblico, precari che ammontano ad oltre 230mila nelle amministrazioni e centrali territoriali, e ad oltre 200mila nella scuola.Subito dopo arriva il bello, il pezzo forte già deciso da tempo e di cui si evita accuratamente di parlare: il licenziamento di circa 200mila dipendenti statali. Invece si parla, tanto, della lotta all'evasione fiscale - per farci credere che servirà a pagarci tutti i conti, e si parla dell'art.18, la cui abolizione porterà tanti investimenti e tanta occupazione. Già, l'art. 18, nella sua efficacia di garanzia contro il licenziamenti per motivi economici! Considerato che - se è come dicono da più parti - non importa a nessuno, né ai sindacati, che vi si riferiscono adducendo quanto sia ridicolo il numero delle cause legali in corso, né - ancor meno - alle aziende che da tempo hanno trovato una pletora di sistemi per poter licenziare legalmente per motivi economici, vien da chiedersi il come mai di tale accanimento. La risposta è semplice assai. L'art.18 - da quando il rapporto di lavoro del pubblico impiego è stato privatizzato (art. 51, legge 165/2001) - rimane l'unico argine al licenziamento in massa di oltre 200mila dipendenti pubblici, contemplato dallo "spending review" italiano. E dall'Interesse Generale!
http://francosenia.blogspot.it/
... a questo punto disertare in massa le prossime elezioni amministrative sarebbe una bella rivoluzione. AMEN!
"Non è una questione di stipendi, più o meno sudati"
E si,i politici se li "sudano" i soldi sopratutto considerando che guadagnano il triplo nei confronti con i coleghi tedeschi o francesi o adiritura quintuplo dei spagnoli.
Poverini ma come fano a far tornare i conti.
Richiama un’attenzione pettegola su un aspetto del tutto secondario del costo della politica, mentre lascia in ombra l’essenziale di Franco Cangini
Roma, 19 marzo 2012 - È il dito che indica la luna. Grazie ai rendiconti annuali delle paghe dei parlamentari, il popolo fa i conti in tasca ai suoi rappresentanti, ne ricava la conferma dei pregiudizi sulla esagerata sproporzione del rapporto tra costi e benefici del lavoro politico. Sempre più convinto che aspettarsi qualcosa di buono dalla vituperata partitocrazia significhi confondere la malattia con il medico.
La verità è che la pubblicità data alla paga dell’onorevole è ingannevole. Richiama un’attenzione pettegola su un aspetto del tutto secondario del costo della politica, mentre lascia in ombra l’essenziale. Può darsi che le buste paga di deputati e senatori siano più pesanti di quelle dei loro colleghi di democrazie più sparagnine della nostra, ma gravano come una piuma sul costo complessivo della nostra politica. Una placcatura dorata sulla piramide di piombo che schiaccia il Paese in zona retrocessione, in un’Europa già di suo in retrocessione rispetto allo sprint delle economie di altri continenti.
Non è una questione di stipendi, più o meno sudati. E nemmeno è questione dell’incidenza sul costo della politica della corruzione rampante che fa dell’Italia una barzelletta globale, raccontata dalle sadiche graduatorie che ci consegnano alla retroguardia dei regni del malaffare.
Alla faccia dell’epica dei paladini di Mani pulite. E — spiace dirlo — alla faccia delle sacrosante prediche del presidente Napolitano e della Conferenza episcopale, a contrappunto della grandinata degli scandali che dall’Alpi al Lilibeo unifica il sistema politico in un disinvolto tangentificio che non risparmia nessun partito.
È bello che qualcuno si preoccupi di richiamare i servitori della cosa pubblica al dovere di praticare le virtù repubblicane. Bello e ininfluente, perché nemmeno la corruzione è il nocciolo della questione italiana. Il problema è un altro. Identificabile con l’esistenza di una massa di persone, quantificata in mezzo milione, che vivono di politica, nazionale o locale con un costo complessivo di quasi 25 miliardi.
Come dire il 2% del Pil. Non sarebbero tante, se Stato e dintorni non fossero diventati enormi e invasivi come un gatto castrato, che succhia le risorse e blocca la ripresa. Lo sappiamo tutti, che se non si taglia la spesa pubblica l’oppressione fiscale finirà per schiacciarci e volgere in tempesta il vento di rivolta che è già nell’aria. Tra spread che scende, disoccupazione che sale e umor nero galoppante. Ma nessuno mette mano alla scure: nemmeno per tagliare (davvero) i 17 miliardi sprecati per le inutili Province.
di Franco Cangini
http://qn.quotidiano.net/politica/2012/03/20/683865-stipendi-parlamentari-costi-della-politica.shtml
... ora tenendo a mente i 500 mila che vivono di politica... incollati con il bostik sugli scranni delle Regioni Province e Comuni... indovinate un po' a chi tocca sacrificarsi per il bene del paese?
Per chi se lo vuole leggere, l'articolo 1 del dl 138/2011, interpretando e traducendo il burocratese, non sarà difficile rendersi conto di quello che si prepara. Al confronto, la stretta sulle pensioni è stata solo un buffetto sulla guancia. I primi ad esser fatti fuori - ma con loro sarà facile - saranno i quasi 450mila precari operanti nel settore pubblico, precari che ammontano ad oltre 230mila nelle amministrazioni e centrali territoriali, e ad oltre 200mila nella scuola.Subito dopo arriva il bello, il pezzo forte già deciso da tempo e di cui si evita accuratamente di parlare: il licenziamento di circa 200mila dipendenti statali. Invece si parla, tanto, della lotta all'evasione fiscale - per farci credere che servirà a pagarci tutti i conti, e si parla dell'art.18, la cui abolizione porterà tanti investimenti e tanta occupazione. Già, l'art. 18, nella sua efficacia di garanzia contro il licenziamenti per motivi economici! Considerato che - se è come dicono da più parti - non importa a nessuno, né ai sindacati, che vi si riferiscono adducendo quanto sia ridicolo il numero delle cause legali in corso, né - ancor meno - alle aziende che da tempo hanno trovato una pletora di sistemi per poter licenziare legalmente per motivi economici, vien da chiedersi il come mai di tale accanimento. La risposta è semplice assai. L'art.18 - da quando il rapporto di lavoro del pubblico impiego è stato privatizzato (art. 51, legge 165/2001) - rimane l'unico argine al licenziamento in massa di oltre 200mila dipendenti pubblici, contemplato dallo "spending review" italiano. E dall'Interesse Generale!
http://francosenia.blogspot.it/
... a questo punto disertare in massa le prossime elezioni amministrative sarebbe una bella rivoluzione. AMEN!
Peccato che non ho le amministrative per cui non posso "disertare" le urne. Speriamo in un buon 50% di astenuti, sarebbe un bella cosa anche se, conoscendo il popolo italiano, ho qualche dubbio. Ma speriamo.