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Il Momento è delicato


GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 2196
Topic starter  

Ci sono eventi vissuti così intensamente nella memoria collettiva da imprimersi nel tempo smettendo di avere "un tempo". Così questi eventi sono intuibili per i più sensibili che li fanno propri, li interiorizzano per cercare di capire come affrontarli, quando affrontarli e soprattutto, quali sono i momenti in cui si presentano tali eventi "catastrofici" con la massima precisione possibile.

Così il catastrofismo diventa anche una sindrome, certamente, ma questo non dipende dagli eventi in sé ma da come sono vissuti e nemmeno dall'intensità, ma in specifico dalla qualità di tale intensità, cioè la direzione che vogliamo imprimere alle nostre energie interiori per dare senso a tali eventi.

Posso convergere tutte le mie energie emotive per trovare soluzioni o anche per cercare la calma in me e scoprire così che quelle che potevo ritenere fino a un minuto prima "catastrofi", sono l'equivalente letterale di "butt kick", letteralmente "calci nel culo" nella nostra strarodinaria lingua, ma dovremmo intenderli come "calci" dati alla coscienza perché si dia una mossa.

Come sa bene ogni insegnate, ci sono alunni che imparano da soli e alunni che hanno bisogno di spinte per apprendere, perché da soli non ce la fanno. Se il tempo è il migliore degli insegnanti non può quindi non saperlo.

In particolare, ci piace molto stare fermi, al calduccio e comodi. Magari se poi c'è da fare qualcosa la fuori, al freddo e nel dramma, tra fatica e disagi crescenti, meglio che lo faccia qualcun altro al nostro posto che a noi ci viene da ridere. Certo rideremo, ma meno sapendo poi che su tutto questo nel palinsesto ideologico-emotivo si fonda la difesa e la motivazione della guerra con essa.

 

Come sempre, ricordo che non ho idea se quel che scrivo sia Vero, non cerco e non mi occupo di verità anche se per me rimane sacra. Semplicemente mi limito a porre argomenti di riflessione e mi preoccupo di indurre alla riflessione il mio prossimo, sbilanciando prospettive e punti di vista in maniere inusuali.

 

Già in altri miei interventi ho citato "la forma del pitone" o del serpente costrittore. Per forza di cose deve attorcigliarsi intorno alla vittima perché le sue spire facciano il lavoro di stritolamento che gli è congeniale. Se noi siamo quindi la vittima è un po' come se prendessimo "a forza" la forma contorta che la costrizione comporta. Se da quella posizione scomoda dovessimo "guardare il Mondo" ci apparirebbe contorto per forza di cose. Perché il Mondo è sempre lo specchio dell'animo e se l'animo in oggetto sono le emozioni, più contorte esse sono più difficile sarà per noi guardare il Mondo e dargli un senso semplice, immediato, facile da descrivere.

Dobbiamo quindi partire dal presupposto che le cose che osserviamo sono semplici, ma è impossibile che ci appaiano tali dalla prospettiva in cui ci troviamo. Che il Mondo ci costringa in qualche modo ad avere una ridda incredibilmente contorta di emozioni, è un dato che possiamo constatare senza molta fatica. Magari è più difficile capire perché ciò avvenga e da qui partono gli emboli più pindarici e sofisti, dove non sembra prevalere mai la sostanza ma il contortume "fantasioso" e affascinante. Certo è un fascino orrendo, blasfemo, repellente e insieme grandioso. Qualcosa che ci attrae lo sguardo come una calamita come fosse in un certo senso per noi obbligatorio "guardare" in quella direzione senza essere distratti da altro.

Ovunque questa "forza forte" eserciti la sua influenza e sembra a volte che non vi sia fine in essa, ci sentiamo obbligati a ricadere nella paura, ad esempio in quella di non riuscire, di scoprirci inadeguati nell'affrontare quello che si prospetta davanti al nostro naso. Così lo cancelliamo sperando "passi da sé". La stragrande maggioranza di noi si comporta così, come il topino che ravvisato un pericolo corra a nasconersi nel suo buco ad attendere che le "acque si calmino".

A qualcuno potrebbe venire in mente leggendomi di chiedere se sto indicando un passato (per esempio il famigerato diluvio universale) o un futuro come quello che ci minaccia e che è ben riassundo dall'immagine che ho messo in allegato per presentare questa mia ennesima "fatica".

Ebbene, indico entrambe le cose e nessuna delle due. Quando un emozione è forte abbastanza stabilisce un trauma e tale trauma si imprime ben oltre il nostro corpo (secondo me). Rimane impresso "nel Mondo" e così è percepitbile indipendentemente da dove si trova temporalmente. Esso però si espande, come le onde di un sasso gettato in un tranquillo stagno e perturba le zone circostanti come per tentare di attirare su di se l'attenzione. Come fosse una specie di richiamo, tipo l'urlo di tarzan nella foresta o l'ululato del lupo in una notte di luna piena. Non vedi niente, ma avverti distintamente. Da uscirne pazzi.

Alla fine ciò che importa non è mai l'accadere "fuori" ma dentro di noi. Quando cioè residuo controllo ci rimane tra le dita rispetto agli accadimenti che provocano tutto questo. Cioè quelle emozioni di cui si continua a parlare e girarci intorno senza riuscire ad arrivare a un dunque.

Eppure il dunque è lì a portata di mano e per chiunque. Perché non lo afferriamo? Perché non riusciamo a riconoscerlo? Perché rimaniamo impassibili e inamovibili?

Se avessimo coerentemente controllo emotivo, cosa rimane ad imprimere un trauma nel Mondo? Nulla. Quindi non esisterebbero traumi e quindi... Saremmo forse impreparati ad affrontare eventi concretamente nefasti come le catastrofi? No, tutt'altro. Saremmo viceversa ben più "pronti" e capaci perché nella catastrofe, quella vera, non premia mai la risposta avventata.

Quindi la risposta emotiva negativa come la paura è sbagliata, @GioCo? No, è corretta ma solo se inserita nel giusto contesto che è motivato quando localmente e temporalmente delimitato in misure molto ridotte e per singoli soggetti. Per esempio l'aggressione di un predatore che nella logica di un adattamento ambientale ha senso sia inscritto in una razione emotiva che deve precedere quella razionale, per dare modo di trarre in salvo il salvabile ma sempre orientando tale reazione perché sia specie specifico.

Una catastrofe ha ben altri presupposti che non centrano niente con quelli di un ordine ecologico.

Vanno per ciò affrontati in un altro modo. O No?


Citazione
mystes
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1439
 
Pubblicato da: @gioco

Ci sono eventi vissuti così intensamente nella memoria collettiva da imprimersi nel tempo smettendo di avere "un tempo". Così questi eventi sono intuibili per i più sensibili che li fanno propri, li interiorizzano per cercare di capire come affrontarli, quando affrontarli e soprattutto, quali sono i momenti in cui si presentano tali eventi "catastrofici" con la massima precisione possibile.

Così il catastrofismo diventa anche una sindrome, certamente, ma questo non dipende dagli eventi in sé ma da come sono vissuti e nemmeno dall'intensità, ma in specifico dalla qualità di tale intensità, cioè la direzione che vogliamo imprimere alle nostre energie interiori per dare senso a tali eventi.

Posso convergere tutte le mie energie emotive per trovare soluzioni o anche per cercare la calma in me e scoprire così che quelle che potevo ritenere fino a un minuto prima "catastrofi", sono l'equivalente letterale di "butt kick", letteralmente "calci nel culo" nella nostra strarodinaria lingua, ma dovremmo intenderli come "calci" dati alla coscienza perché si dia una mossa.

Come sa bene ogni insegnate, ci sono alunni che imparano da soli e alunni che hanno bisogno di spinte per apprendere, perché da soli non ce la fanno. Se il tempo è il migliore degli insegnanti non può quindi non saperlo.

In particolare, ci piace molto stare fermi, al calduccio e comodi. Magari se poi c'è da fare qualcosa la fuori, al freddo e nel dramma, tra fatica e disagi crescenti, meglio che lo faccia qualcun altro al nostro posto che a noi ci viene da ridere. Certo rideremo, ma meno sapendo poi che su tutto questo nel palinsesto ideologico-emotivo si fonda la difesa e la motivazione della guerra con essa.

 

Come sempre, ricordo che non ho idea se quel che scrivo sia Vero, non cerco e non mi occupo di verità anche se per me rimane sacra. Semplicemente mi limito a porre argomenti di riflessione e mi preoccupo di indurre alla riflessione il mio prossimo, sbilanciando prospettive e punti di vista in maniere inusuali.

 

Già in altri miei interventi ho citato "la forma del pitone" o del serpente costrittore. Per forza di cose deve attorcigliarsi intorno alla vittima perché le sue spire facciano il lavoro di stritolamento che gli è congeniale. Se noi siamo quindi la vittima è un po' come se prendessimo "a forza" la forma contorta che la costrizione comporta. Se da quella posizione scomoda dovessimo "guardare il Mondo" ci apparirebbe contorto per forza di cose. Perché il Mondo è sempre lo specchio dell'animo e se l'animo in oggetto sono le emozioni, più contorte esse sono più difficile sarà per noi guardare il Mondo e dargli un senso semplice, immediato, facile da descrivere.

Dobbiamo quindi partire dal presupposto che le cose che osserviamo sono semplici, ma è impossibile che ci appaiano tali dalla prospettiva in cui ci troviamo. Che il Mondo ci costringa in qualche modo ad avere una ridda incredibilmente contorta di emozioni, è un dato che possiamo constatare senza molta fatica. Magari è più difficile capire perché ciò avvenga e da qui partono gli emboli più pindarici e sofisti, dove non sembra prevalere mai la sostanza ma il contortume "fantasioso" e affascinante. Certo è un fascino orrendo, blasfemo, repellente e insieme grandioso. Qualcosa che ci attrae lo sguardo come una calamita come fosse in un certo senso per noi obbligatorio "guardare" in quella direzione senza essere distratti da altro.

Ovunque questa "forza forte" eserciti la sua influenza e sembra a volte che non vi sia fine in essa, ci sentiamo obbligati a ricadere nella paura, ad esempio in quella di non riuscire, di scoprirci inadeguati nell'affrontare quello che si prospetta davanti al nostro naso. Così lo cancelliamo sperando "passi da sé". La stragrande maggioranza di noi si comporta così, come il topino che ravvisato un pericolo corra a nasconersi nel suo buco ad attendere che le "acque si calmino".

A qualcuno potrebbe venire in mente leggendomi di chiedere se sto indicando un passato (per esempio il famigerato diluvio universale) o un futuro come quello che ci minaccia e che è ben riassundo dall'immagine che ho messo in allegato per presentare questa mia ennesima "fatica".

Ebbene, indico entrambe le cose e nessuna delle due. Quando un emozione è forte abbastanza stabilisce un trauma e tale trauma si imprime ben oltre il nostro corpo (secondo me). Rimane impresso "nel Mondo" e così è percepitbile indipendentemente da dove si trova temporalmente. Esso però si espande, come le onde di un sasso gettato in un tranquillo stagno e perturba le zone circostanti come per tentare di attirare su di se l'attenzione. Come fosse una specie di richiamo, tipo l'urlo di tarzan nella foresta o l'ululato del lupo in una notte di luna piena. Non vedi niente, ma avverti distintamente. Da uscirne pazzi.

Alla fine ciò che importa non è mai l'accadere "fuori" ma dentro di noi. Quando cioè residuo controllo ci rimane tra le dita rispetto agli accadimenti che provocano tutto questo. Cioè quelle emozioni di cui si continua a parlare e girarci intorno senza riuscire ad arrivare a un dunque.

Eppure il dunque è lì a portata di mano e per chiunque. Perché non lo afferriamo? Perché non riusciamo a riconoscerlo? Perché rimaniamo impassibili e inamovibili?

Se avessimo coerentemente controllo emotivo, cosa rimane ad imprimere un trauma nel Mondo? Nulla. Quindi non esisterebbero traumi e quindi... Saremmo forse impreparati ad affrontare eventi concretamente nefasti come le catastrofi? No, tutt'altro. Saremmo viceversa ben più "pronti" e capaci perché nella catastrofe, quella vera, non premia mai la risposta avventata.

Quindi la risposta emotiva negativa come la paura è sbagliata, @GioCo? No, è corretta ma solo se inserita nel giusto contesto che è motivato quando localmente e temporalmente delimitato in misure molto ridotte e per singoli soggetti. Per esempio l'aggressione di un predatore che nella logica di un adattamento ambientale ha senso sia inscritto in una razione emotiva che deve precedere quella razionale, per dare modo di trarre in salvo il salvabile ma sempre orientando tale reazione perché sia specie specifico.

Una catastrofe ha ben altri presupposti che non centrano niente con quelli di un ordine ecologico.

Vanno per ciò affrontati in un altro modo. O No?

Secondo la dottrina dei yuga, noi ci troviamo nel kali-yuga e secondo Esiodo noi siamo mel collo dell'imbuto del ciclo del ferro, l'ultimo dei quattro. Pertanto allo stato attuale, tutto è possibile, ma i segni evidenti di questo finale apocalittico è rappresentato dalla mescolanza e quindi dalla inversione di cose di valori e di idee, Soprattutto di idee. Non passerà molto tempo (in buona parte ci siamo già) e cercheranno di farci dire, tanto per fare un esempio, che tuttò che era nero adesso è bianco e il cielo azzurro è viola. E non è un discorso moralista!!! L'ultimo episodio di questo processo, in ordine di tempo, si è avuto con la pandemia, quando ci oridanavano a iniettaci un rimedio peggiore del male!!!

 


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Luca VFR
Estimable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 118
 

Il momento è delicatissimo. Mai come adesso siamo stati sull'orlo dell'Armageddon, per definirlo con un termine biblico. E se mai succederà sarà solo ed esclusivamente colpa nostra e non di nessun Dio o Satana che sia. E, per rispondere all'aforisma di Einstein, la Pirlaggine umana è sicuramente infinita al contrario dell'universo.


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