Bagattelle per un massacro annunciato
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Il problema della narrazione della Shoah, tra falso e reale
Riprendiamo (una mia riflessione antecedente si può recuperarla qui: http://dottormabuse.blogspot.com/2006/12/gli-stermini-e-i-punti-di-vista.html) la questione della conferenza di Teheran sulla revisione dell'olocausto. Praticamente nessuno dei discorsi che hanno avuto luogo durante la conferenza di Teheran ha avuto il benchè minimo spazio sui media; giusto per concederci di capire ci che stavano discutendo davvero, in tale conferenza, di concederci di essere abbastanza maturi e LIBERI di CAPIRE che si diceva in tale conferenza sull'olocausto. Ciò che noi deduciamo piuttosto è che non siamo LIBERI, e non siamo in diritto di sentire, vedere, sapere, e CAPIRE. Ciò che non sappiamo, mediante i media di massa (vale a dire mediante i Feltri, i Riotta, i Mentana, i Ferrara, mediante i giornali di Berlusconi e di Debenedetti), è solo che i partecipanti alla conferenza son stati da essi stessi (giornalisti, ed editori-maestri-politici) definiti quali razzisti (antisemiti), senza che alcun punto della conferenza fosse reso pubblico dagli stessi proprietari delle informazioni. Perchè? Perchè? Perchè? Perchè gli studenti iraniani che protestano van bene soltanto se protestano contro Ahmadinejad, e non quando protestano contro l'Occidente? Perchè non è stato detto che alla conferenza di Teheran, organizzata dal pericoloso antisemita Ahmadinejad, erano invitati e presenti non pochi ebrei, tra cui molti rabbini, che altro non han fatto che esprimere il disgusto della "privatizzazione" sionista della tragedia della Shoah? E' assai probabile che tutto ciò partecipi alla produzione del consenso, alla disciplina del consenso (per gli USA e per Israele) alla macchina imperiale da guerra e alla sua guerra: qualcosa che Hitler e Stalin potevano soltanto sognar la notte, e che ora è reale, nella sua disciplina assoluta, nella sua assoluta uniformità. Gli informatori, più che giornalisti, non liberi, partecipano, e non raramente fomentano, forse per il soldo, a volte per potere, a volte per stupidità o ignoranza, la guerra contro dei paesi liberi, quale l'Iran. Gli informatori non informano in maniera corretta, perchè non son giornalisti: in Iran vivono ora decine di migliaia di ebrei che lì stanno perfettamente, che son perfettamente integrati con gli arabi (tanto quanto lo erano gli ebrei in Palestina), e non han mai espresso alcuna intenzione di emigrare in Israele. Perchè? Auguri all'Iran...
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Certo, se ci si consegna alla informazione dei media di massa, a Ferrara, a Rete4 o a Porta a Porta e alle ricostruzioni sommarie, non si potrà avere una visione profonda e complessa delle dinamiche a volte torbide, e non raramente sconvolgenti della Shoah, le quali son non raramente, poi, occultate per costituire questo blocco unico di memoria su cui vuole, pretende, di fondarsi Israele (di qui l’accusa di molti ebrei non sionisti di una “privatizzazione” della Shoah; è, questo, quanto è emerso da parte degli ebrei a Teheran). E così accade che chi tenta di acquisirne sapere e discuterne, sia questo fatto in modo fazioso, e forse – dico forse perché non ci è dato sapere ciò che accade effettivamente (e tuttavia intendo indagare, e portare alla luce ciò che è accaduto davvero a Teheran) – solo strumentale o sia fatto invece in modo attento, rigoroso, non strumentale. E vale a dire: non si può per forza di cose non parlare, quasi fosse cosa proibita parlare, porre interrogativi, portare alla luce problemi che non si posson ridurre, come invece vogliono i privatizzatori della Shoah, a una “mitologia fondativa” in nome della quale tutto, tutto ciò che Israele vuole e fa, è possibile.
Basta sfogliare un celeberrimo libro della ammirata filosofa ebrea di origine tedesca Hannah Arendt (La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, 1964, 2001) per trovare quanto invece è rimosso dalla tv (e di conseguenza dal sapere collettivo), e porsi questioni scomode che potrebbero ingenerare ripercussioni su quanto è accaduto e accade ora, o sulla sua percezione. Il libro di Hannah Arendt è una ricostruzione degli eventi del nazismo percorsi attraversando il processo a uno dei massimi autori dello sterminio degli ebrei in Germania; un processo, peraltro, con molti punti scuri, e con una sostanziale irregolarità (nelle condizioni di difesa sul piano linguistico e sul piano ambientale, nelle impossibilità di testimoniare, per la difesa, ecc.), che tuttavia qui non ci interessa, se non per un fatto che il libro della Arendt esplicita, e vale a dire l’assurdo fondamento giudiziario su cui si fondava il processo. Il problema è che il P.M. israelita affermò (trascrive la Arendt): se (…) ad Eichmann “contesteremo anche crimini contro non ebrei” questo avverrà non tanto perché li ha commessi, quanto “perché non facciamo distinzioni etniche” (sic!). Frase singolare, evidenzia la Arendt, per un P.M. Frase “che si rivelò essenziale per capire tutta l’impostazione data dall’accusa al processo: ché il processo doveva basarsi su quello che gli ebrei avevano sofferto, non su quello che Eichmann aveva fatto” (H. Arendt, p. 14); e tuttavia “al centro di un processo [penale] di può essere soltanto colui che ha compiuto una determinata azione (…) e se egli deve soffrire, deve soffrire per ciò che ha fatto materialmente, non per le sofferenze che ha provocato agli altri” (H. Arendt, p. 16). Tanto “singolare” suona poi alle orecchie della Arendt la frase secondo cui il tribunale dello stato d’Israele non intendesse usare distinzioni di natura etnica: in Israele, in quel tempo, anni 50-60 (per ciò che riguarda l’attualità, cfr. qui), era proibito il matrimonio misto “col risultato che un ebreo non può sposare un non ebreo; i matrimoni contratti all’estero sono riconosciuti, ma i figli nati dai matrimoni misti sono, per legge, bastardi (i figli nati da genitori ebrei fuori dal vincolo matrimoniale vengono legittimati), e se uno ha per caso una madre non ebrea, non può sposarsi e non ha diritto al funerale.” Il fatto è che il processo vuole la condanna delle “infami leggi” di Norimberga del 1935 “che avevano proibito i matrimoni misti e i rapporti sessuali tra ebrei e tedeschi” (H. Arendt, pp. 15-16).
Il libro offre un esempio di ciò che ora è rimosso da un punto di vista che vuole esser unico, privo di punti bui, e inattaccabile. Tento di riportare senza estrapolare oltremisura dalla descrizione, dal contesto descrittivo della Arendt: i sionisti – vale a dire i padri dello stato d’Israele – durante lo sterminio nazista – vale a dire ancor prima della costituzione dello stato in virtù dello sterminio – avevano dei rappresentanti in Europa, e cioè l’Alijah Beth, l’organizzazione per l’immigrazione clandestina in Palestina, il cui fine non era di salvare gli ebrei, dice la Arendt. Precisamente, “non s’interessavano di operazioni di salvataggio: Non era questo il loro lavoro. Volevano selezionare materiale adatto” e “scegliere giovani pionieri tra le persone internate nei campi di concentramento” per l’inesistente stato d’Israele, con una cooperazione tra sionisti e nazisti, tanto più che il loro problema non erano i nazisti, bensì gli inglesi che controllavano la Palestina (H. Arendt, pp. 68-70). A ciò si aggiunge il tremendo fatto della assidua cooperazione dei capi ebraici alla selezione e alla ricerca, alla cattura e alla deportazione degli ebrei nei lager – fatti che son stati posti in luce persino nei libri scolastici israeliani – in una sorta di gesti di selezione per via della importanza e delle conoscenze dei singoli (cfr. H. Arendt, pp. 125-130). Ulteriormente, la Arendt precisa che: “La verità vera era che sia sul piano locale che su quello internazionale c’erano state comunità ebraiche, partiti ebraici, organizzazioni assistenziali. Ovunque c’erano ebrei, c’erano stati capi ebraici riconosciuti, e questi
capi, quasi senza eccezioni, avevano collaborato coi nazisti, in un modo o nell’altro, per una ragione o per l’altra. La verità vera era che se il popolo ebraico fosse stato realmente disorganizzato e senza capi [come qualcuno sostenne], dappertutto ci sarebbe stato caos e disperazione, ma le vittime non sarebbero state quasi sei milioni. (Secondo i calcoli di Freudiger, circa la metà si sarebbero potute salvare se non avessero seguito le istruzioni dei Consigli ebraici). (…) In Olanda, dove lo Joodsche Raad presto divenne al pari di tutte le autorità olandesi uno strumento dei nazisti, 103.000 ebrei furono deportati nei campi di sterminio e circa 5.000 a Theresienstadt: tutti al solito modo, ossia con la collaborazione dei capi ebraici; ne tornarono solo 519. Invece, dei 20.000-25.000 ebrei che sfuggirono ai nazisti e cioè, anche, ai Consigli ebraici e si nascosero, ne sopravvissero 10.000, una cifra pari al 40 o 50%. La maggior parte degli ebrei inviati a Theresienstadt ritornò in Olanda” (H. Arendt, pp. 132-133).
La Danimarca, per la Arendt poi, ne fu un ulteriore esempio: “all’opposto dei capi ebraici di altri paesi, avevano comunicato apertamente la notizia [di un blitz di deportazione dalla Danimarca] ai fedeli, nelle sinagoghe, in occasione delle funzioni religiose del capodanno ebraico” (H. Arendt, p. 180). Insomma, può bastare leggere un libro – peraltro non di un pericoloso revisionista antisemita, bensì di una apprezzata pensatrice ebrea – per trovare prova del fatto che non tutto è totalizzabile, manicheo, che sussistono ombre sul passato, e che gridare alla accusa di antisemitismo per qualunque tentativo di comprensione del passato non è costruttivo. O è in mala fede in modo evidente, come possono esserlo alcune ricostruzioni da salotto televisivo, o dello storico da casalinga, e pure da parlamento populistico: ottime nella loro strumentalità per il consenso, nella loro strumentalità per comporre l’Alibi “misticheggiante” (e con ciò irrazionale), con cui nascondere o giustificare la delinquenza istituzionale di uno stato, o luogo, sul quale si addensano ombre nel presente tanto quanto del passato recente e lontano.
Fonte: http://dottormabuse.blogspot.com
(Marco Settimini)
(22 e 23 dicembre 2006)
Link (1)
http://dottormabuse.blogspot.com/2006/12/bagattelle-per-un-massacro-annunciato.html
Link (2)
http://dottormabuse.blogspot.com/2006/12/il-problema-della-narrazione-della.html
i milioni di morti comunque non sono un mito come non lo è il fatto che Israele si è sempre parata dietro alla Shoa per fare quel che gli pareva !
Assolutamente: i milioni di morti non son un mito, bensì qualcosa di reale; chi ne fa un mito - ciò che viene qui sopra chiamato "mitologia fondativa" - è Israele. E i milioni di morti son morti ebrei (e non soltanto), e non morti sionisti.